L'Unità 26 Giugno 2005
DA LOTTO A PIRANDELLO
In mostra ad Aosta quattro secoli di «psicologia» attraverso le opere di grandi pittori
Dall’analista o dal pittore?
Guardarsi dentro con un ritratto
di Ibio Paolucci
Secondo Vittorio Sgarbi, Lorenzo Lotto, in anticipo di quattro secoli su Sigmund Freud, avrebbe inventato la psicanalisi. Curatore della mostra aostana sul ritratto interiore, occorre dire che, in fatto di estrosi paradossi, Sgarbi non la cede a nessuno. Se ne sono dette e scritte di cose sul grande maestro veneto, che, però, scelse per operare zone di provincia, soprattutto la Bergamasca e le Marche. Ma ci voleva il bizzarro talento di Sgarbi per scoprire il predecessore del medico viennese. In ogni caso rivedere il grande Lotto, comunque trattato, fa sempre piacere. Due sono le opere in mostra: Il ritratto di giovane in nero, di collezione privata e Ludovico Grazioli, già collezione Otto Neumann di New York. Non si può certo dire che sia rappresentato al meglio, ma insomma è pur sempre un bel vedere.
La rassegna del Ritratto interiore. Da Lotto a Pirandello, promossa dalla Regione Autonoma,in corso al Museo archeologico di Aosta, aperta fino al 2 ottobre con catalogo Skira, comprende circa 150 opere fra dipinti e sculture di tutti i secoli, dal Cinquecento al Novecento. Non mancano le presenze di grossi nomi, da El Greco a Tiziano, al Bernini, al Baciccio, al Guercino, al Pitochetto a Fra Galgario ai più vicini De Chirico, Max Ernst, Nathan, Zoran, Scipione, Warhol, Wildt, a tantissimi altri. Finire con Fausto Pirandello, figlio del grande padre, ma grande pure lui anche se meno riconosciuto di quanto meriterebbe, è stata una bella idea, non soltanto perché ci pone di fronte a quattro suoi stupendi dipinti, ma anche per l’universo figurativo che rappresentano, rivelatore di una umanità fatta «di uomini e donne spesso nudi, fragili, sofferenti». «Maschere nude», come quelle del grande drammaturgo e pur tanto diverse, comunicanti i laceranti conflitti fra padre e figlio. Felice, anche se su un altro piano, la scelta delle gallerie di ritratti di Tullio Pericoli e di Flavio Costantini. Garcia Lorca, Jung, Freud, Rimbaud di Costantini; Beckett, Gombrowicz, Borges, Walser, Schnitzler di Pericoli. Notevole la presenza del Guercino col ritratto di Francesco Righetti, già del Kimbell Art Museum di Fort Worth nel Texas, colto in un classico atteggiamento, con accanto la sorprendente libreria, che ricorda quella dipinta un mezzo secolo dopo dal bolognese Giuseppe Maria Crespi, forse la più alta «natura morta» del Settecento italiano. Strabiliante la rutilante figura del capitano del seicentista Sebastiano Mazzoni, del museo civico di Padova e, sempre all’interno di questo secolo, spiccano i tre dipinti, ma soprattutto l’autoritratto, del genovese G.B. Gaulli, detto il Baciccio.
Insomma una panoramica di ritratti che lo Sgarbi vorrebbe fossero letti tutti in chiave psicanalitica. A domanda precisa, infatti, il curatore risponde «direi di sì», fornendo anche qualche esempio: «Birolli che si ritrae con un libro di Pascal in mano, Gianfranco Ferroni che si mostra a chi guarda di spalle, che altro rappresentano se non il racconto del loro Io segreto?». Dunque, anche l’autoritratto di Antonio Ligabue? Perché no? Scorrendo la mostra ci assale il dubbio che anche Vittorio Sgarbi sia un soggetto da psicanalisi con quel suo gesto continuo di ravviarsi i capelli, segno di indecisione costante e con quel suo modo irritante di arrivare sempre in ritardo alle conferenze stampa. Ma tant’è. Una mostra a tesi, si sa, corre sempre dei rischi. Sgarbi sa illustrare con sapiente oratoria e con brillanti giochi di parola le proprie scelte, anche quando non sono per niente condivisibili. Trattandosi di ritratto interiore, tuttavia, non avrebbe dovuto mancare la presenza dell’inarrivabile Rembrandt, anche se di non facile acquisizione.
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