domenica 26 giugno 2005

psichiatri...
dal New Tork Times

Liberazione 25.6.05
Guantanamo, psichiatri in prima linea per "far cantare" i detenuti
La denuncia del "New York Times": i medici militari offrivano la propria consulenza per gli interrogatori, indicando come sfruttare
le paure dei prigionieri e aumentare il loro livello di stress per costringerli a parlare. Nessuna smentita dal Dipartimento della Difesa
Neil A. Lewis

Stando a nuove testimonianze rese da ex responsabili degli interrogatori, i medici militari di Guantanamo, a Cuba, hanno collaborato a condurre e a perfezionare interrogatori coercitivi nei confronti dei detenuti, e hanno anche offerto consulenze su come incrementare il livello di stress con la paura.

Le testimonianze, rese da psicologi e psichiatri nel corso di interviste al "New York Times", giungono proprio mentre è in corso una polemica sulla possibile violazione del codice deontologico da parte di questi professionisti nel noto campo di prigionia. Le problematiche etiche sono al vaglio del Pentagono e di un team di psicologi e psichiatri.

Gli ex responsabili degli interrogatori sostengono che il ruolo dei medici militari consisteva nel consigliarli su come incrementare la sofferenza psicologica dei detenuti, talvolta sfruttandone le paure, nella speranza di farli collaborare e di convincerli a rivelare informazioni. Ad esempio, nella cartella clinica di un detenuto figurava che questi era affetto da un terrore patologico del buio, e i medici avrebbero indicato come sfruttare questa fobia per indurlo a collaborare.

Inoltre, gli autori di un articolo uscito sul "New England Journal of Medicine" di questa settimana sostengono che, da interviste con i medici che hanno collaborato a strutturare e a supervisionare il regime degli interrogatori a Guantanamo, emergerebbe che il programma è stato esplicitamente costruito per incrementare la paura e la tensione nei detenuti, come metodo per estorcere confessioni.

Le testimonianze illustrano le modalità degli interrogatori e sollevano nuovi interrogativi sui confini della deontologia medica nel quadro della lotta al terrorismo combattuta dagli USA. Bryan Whitman, portavoce del Pentagono, si è rifiutato di parlare dei casi specifici affrontati nelle testimonianze, ma ha lasciato intendere che i medici che svolgevano il ruolo di consulenti per gli interrogatori non erano soggetti al codice deontologico in quanto non svolgevano alcun compito di cura, ma fungevano da scienziati del comportamento.

Secondo Whitman, alcuni operatori sanitari sono incaricati del "trattamento umano dei detenuti", mentre altri "possono avere altri ruoli", tra cui quello di scienziati del comportamento, incaricati di stilare un profilo del carattere dei soggetti da interrogare. L'esercito ha negato al "New York Times" il permesso di intervistare il personale medico attivo presso l'isolato campo di Guantanamo: anche la rivista medica, in un articolo che attaccava questo programma, non nominava le persone intervistate. I pochi ex addetti agli interrogatori che hanno risposto alle domande nel "New York Times" hanno chiesto l'anonimato e alcuni hanno detto di aver trovato utile la collaborazione dei medici.

Gli ufficiali del Pentagono intervistati hanno affermato che le procedure seguite a Guantanamo non violano alcun codice deontologico e hanno messo in discussione le conclusioni dell'articolo comparso sulla rivista medica e riproposto sul sito Web della rivista stessa mercoledì scorso. Diversi esperti di etica esterni all'esercito hanno sostenuto che la condotta dei medici è gravemente discutibile, specialmente per quanto riguarda le unità chiamate Behavioral Science Consultation Team, o BSCT (soprannominate "biscuit"), che prestano consulenza agli addetti agli interrogatori. «La loro funzione consisteva nell'aiutarci a snervarli», ha detto al "New York Times" un ex responsabile degli interrogatori qualche mese fa. Nel corso di interviste più recenti, ha aggiunto che un medico del team "biscuit", dopo aver letto la cartella clinica di un detenuto, aveva consigliato di sfruttare la nostalgia per sua madre per convincerlo a collaborare.

Secondo Stephen Xenakis, psichiatra ed ex generale di brigata nella sanità militare, «questo comportamento non è coerente con la deontologia medica né con altri codici che stabiliscono la condotta degli operatori sanitari». L'utilizzo di psicologi negli interrogatori ha indotto il Pentagono, la scorsa settimana, a diffondere un comunicato che, secondo i funzionari, avrebbe dovuto far sì che i medici non assumessero comportamenti non etici.

Il codice dell'American Psychiatric Association vieta espressamente ai propri membri abilitati all'esercizio della professione medica i comportamenti descritti dagli ex addetti agli interrogatori: per gli psicologi, le regole sono meno chiare. In un'intervista, il Dott. Spencer Eth, docente di psichiatria al New York Medical College e presidente della commissione etica dell'American Psychiatric Association, ha sostenuto che nessuno psichiatra attivo a Guantanamo è autorizzato, dal punto di vista etico, a prestare consulenza per incrementare il livello di tensione psicologica dei detenuti. Tuttavia, in una dichiarazione resa in dicembre, l'American Psychiatric Association ha precisato che il coinvolgimento dei propri affiliati in "operazioni di sicurezza nazionale" è un fatto nuovo.

Intervistato questa settimana, Stephen Behnke, a capo della divisione etica dell'Associazione, ha informato che il prossimo fine settimana, a Washington, si terrà una riunione di 10 membri dell'associazione, alcuni dei quali sono militari. Il dottor Behnke ha sottolineato che i codici di condotta non necessariamente consentono la partecipazione di psicologi a operazioni di questo tipo, ma è più corretto dire che l'argomento non è mai stato affrontato prima in modo specifico. «Si pone un problema che la nostra professione deve affrontare e il punto a cui siamo è il seguente: sono comportamenti etici o non etici?», si è chiesto.

Secondo il dottor William Winkenwerder Jr., sottosegretario alla difesa per gli affari sanitari, le nuove linee guida del Pentagono spiegano a chiare lettere che ai medici è proibito tenere una condotta contraria all'etica. Tuttavia Winkenwerder ha negato di aver mai detto che le linee guida vietino pratiche come quelle descritte dagli ex addetti agli interrogatori, e ha precisato che il personale medico «non teneva le fila degli interrogatori, ma si limitava a prestare consulenza». Le linee guida contemplano il divieto da parte dei medici di partecipare ad abusi, ma sottolineano sempre che gli interrogatori "legali" fanno eccezione. Dal momento che l'esercito continua a sostenere che gli interrogatori sono legali e che i prigionieri a Guantanamo non sono soggetti alle Convenzioni di Ginevra, queste clausole sembrano comunque permettere i comportamenti descritti dagli addetti agli interrogatori e dalla rivista medica citata. L'articolo, redatto da due ricercatori che hanno intervistato i medici impegnati nel programma "biscuit", recita: "Fin dalla fine del 2002, psichiatri e psicologi sono stati coinvolti in una strategia che si fonda sullo stress estremo, in combinazione con ricompense volte a modificare i parametri comportamentali, allo scopo di estorcere confessioni". L'articolo è stato scritto dal dottor M. Gregg Bloche, docente alla Georgetown University Law School e ricercatore presso la Brookings Institution, e da Jonathan H. Marks, avvocato britannico e ricercatore di Bioetica alla Georgetown University e John Hopkins University.

Bloche ha sostenuto che l'utilizzo di operatori sanitari per mettere in atto strategie violente negli interrogatori è contrario al codice deontologico e al diritto internazionale. Il dottor Winkenwerder ha ribattuto che l'articolo rappresenta una "plateale distorsione" della situazione sanitaria di Guantanamo. (...)
"New York Times"
traduzione di Sabrina Fusari