La Stampa Tuttolibri 25.6.05
La Germania nazista è stata il contrario dell’antica Roma
Maurizio Viroli
HITLER è «il Salvatore della storia dei Tedeschi», anzi il profeta tedesco la cui missione è quella di annunciare l'opera salvifica di cui deve farsi carico il popolo con l'aiuto di Dio: non il Dio cristiano che vive nei cieli, ma il Dio conforme alla visione tedesca, quello che vive in terra, nel suolo «lavorato dall'uomo vigoroso», nel sole, nel cielo azzurro, nelle stelle, nel mare mosso da temporali e da tempeste, nel piccolo filo d'erba e nelle montagne eterne. Tutti i cristiani, protestanti e cattolici, devono diventare neopagani, ovvero adepti della nuova religione che si dà canti e riti specifici, ha i suoi martiri e per fine principale quello di salvare la razza tedesca.
Queste proposizioni, tratte da un documento che Alfred Rosemberg, delegato di Hitler per la vigilanza sull'educazione e la formazione intellettuale e ideologica, pubblicò nel 1934, danno l'idea della profonda avversione del nazismo contro il cristianesimo. Ancora più chiare sono le regole del testo in tredici punti del 1940 che scioglie le associazioni della gioventù cattolica e protestante in favore della gioventù hitleriana, impedisce alle società religiose la proprietà di edifici e terreni (in particolare dei cimiteri, al fine di poter organizzare i funerali pagani di partito), chiude monasteri e congregazioni religiose perché contrarie alla morale germanica e alla politica demografica del Reich, e decreta che la preparazione alla cresima, intesa quale introduzione alla pubertà, non spetta alle chiese, ma al partito nazista. Proprio perché era una religione politica che intendeva forgiare le coscienze, infondere la fede nel Führer, animare la devozione per lo Stato, il nazismo non poteva tollerare il cristianesimo. Come scrisse il pastore Martin Niemdler, tenuto in carcere per una decina d'anni, i nazisti contestavano il credo luterano che l'anima appartiene al Signore e non allo Stato. Al cristianesimo opponevano, accanto alla religione nazista, l'antica religione germanica. Nel saggio Germanesimo e romanità Onorato Bucci, dell'Università del Molise, mette tutto questo assai bene in risalto sulla base di un ampio e attento lavoro di scavo delle fonti storiche e giuridiche. Ma la tesi più importante ed originale del libro è che il nazismo non fu solo anticristiano, ma antiromano, e che la sua profonda natura antiromana aiuta a capire meglio anche la sua natura anticristiana.
Il nazismo fu antiromano fin dagli inizi. L'articolo 19 del programma in venticinque punti del Partito Nazionalsocialista del 25 febbraio 1920 invocava infatti la «soppressione nelle università dello studio del diritto romano ritenuto asservito all'ordinamento materialista del mondo». Fu antiromano perché la sua stessa ragion d'essere era distruggere il principio dell'universalità del diritto. Roma, spiega Bucci nelle pagine a mio giudizio più importanti del saggio, rappresentava «il trionfo dell'idea di universalità sul principio della nazionalità». Il nazionalsocialismo esasperò invece il principio di nazionalità e lo interpretò nella maniera più particolaristica possibile. Proclamò ed impose infatti, quale fondamento della nazione, la razza. Roma concedeva a tutti di diventare cittadini romani e di accedere alle più alte cariche dello Stato; la Germania nazista escludeva dalla vita pubblica i cittadini non ariani, e negava ad essi anche i più elementari diritti privati. Ma era antiromano anche perché rifiutava il principio che la legge deve essere sempre generale e mai retroattiva. A giudizio dei teorici nazisti, la legge non può avere carattere generale perché non esistono due sole persone e due soli casi per i quali valga la medesima norma. Persone e azioni devono essere affrontate con norme particolari e decisioni individuali ispirate dal principio della difesa della razza tedesca. Al criterio giuridico si sostituisce quello politico: la più alta realizzazione del diritto, per usare l'espressione di Carl Schmitt, è l'applicazione della volontà del Führer, per definizione, e di fatto, del tutto arbitraria. Il nazismo fu dunque «un incredibile sovvertimento» di tutta la tradizione giuridica romanistica in nome della preminenza e della superiorità del diritto consuetudinario germanico, «con le sue assemblee, con i suoi riti magici e con le sue conclamate iniziazioni». Del resto, il diritto romano era per i nazisti diritto di popoli inferiori, e dunque inadatto alla razza dei dominatori, così come il cristianesimo era, secondo l'insegnamento di Nietzsche, fede dei deboli. Solerti cooperatori dell'opera di restaurazione dell'antico diritto germanico contro il diritto romano furono ovviamente i giuristi (chi altro avrebbe potuto farlo?). Essi «non potevano dire di non sapere perché tutti non potevano che sapere», scrive Bucci, e sarebbe augurabile un serio esame di coscienza che ancora non c'è stato.
viroli@princeton.edu
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