domenica 26 giugno 2005

storia della psicoanlisi
...e anche Groddeck era un nazista

La Stampa Tuttolibri 25.6.05
Groddeck, pioniere dell’Es: un Rabelais della psicoanalisi
(...) profeta, guru, analista selvaggio, cattivo maestro con simpatie hitleriane e fantasie temerarie, che fece scandalo teorizzando il corpo «come anima»
Alessandro Defilippi

IL risultato della vita umana è essere bambini». Georg Groddeck pronunciò queste parole a cinquant'anni. Oggi, a settantuno dalla sua morte, è ancora difficile collocarne ed interpretarne il pensiero. Groddeck fu, nei primi decenni del secolo scorso, un uomo di non limpida celebrità, diviso tra un'attività terapeutica allora rivoluzionaria - che accompagnava massaggi e diete alla psicoterapia - e quella di scrittore e pensatore. Pensatore sovente ridondante, mai scolastico, sempre provocatorio; in una parola: scomodo. Si considerò, forse a ragione, il vero pioniere della medicina psicosomatica e del concetto di Es; fu corrispondente, talora amico, di uomini come Freud, Ferenczi (una sorta di gemello), Keyserling. Un turbine intellettuale d'inizio secolo. Psicoterapeuta, massaggiatore, profeta, guru, analista selvaggio, cattivo maestro, nazista: non sono che alcune delle definizioni date a un tedesco poco sassone e molto meridionale. A darci una mano in questo ginepraio ha provato Wolfgang Martynkewicz, il cui libro, dottissimo e ponderoso, dà peraltro adito a non poche perplessità, non tanto sulla sua attendibilità storica, quanto sull'atteggiamento del biografo. Perché si scrive una biografia, soprattutto di densità e lunghezza quasi letali per il lettore? Le risposte immediate sono: per un comune sentire, per ammirazione, per il fascino che comunque esercitano figure che non è possibile amare, dai tiranni ai serial killer; o ancora per un dovere morale. I libri su Hitler di Fest e di Bullock non nascono certo dalla simpatia, ma dalla necessità di porre ordine nel caos. Il caso di Martynkewicz sembra diverso. Groddeck non è un assassino seriale, ma nel libro dello studioso tedesco non emergono né ammirazione né simpatia umana, e nemmeno una valutazione equilibrata del suo contributo al pensiero del primo Novecento. Già Giancarlo Stoccoro, nella prefazione, nota «l’opinione di scarsa originalità di Groddeck», sostenuta dall'autore; allo stesso lettore non può sfuggire d'altronde una sensazione di soffocamento dovuta ad una dovizia di particolari e di giudizi impliciti che finiscono con lo sminuire l'uomo ed il pensatore. Insomma: a Martynkewicz Groddeck sembra proprio antipatico, per nulla affascinante e poco originale. Ma perché allora imbarcarsi in un'impresa così complessa? Come annota ancora - acutamente - Stoccoro, il libro è «un'opera composita che, con risposte univoche e sature, tende a restringere più che ad allargare orizzonti di senso». Per dirla più chiara, appare l'opera d'un moralista un po' pedante. Ma in tal caso, perché recensire un libro, tutto sommato, noioso? Perché ha l'indiscutibile merito di riportare alla nostra attenzione la figura unica di Groddeck e i suoi libri, tra cui quel Libro dell'Es (edito in Italia da Adelphi) che rimane tuttora una delle opere più libere e più affascinanti del secolo trascorso. A proposito dell'epistolario di Patrick Troll, alter ego letterario di Groddeck, Ingeborg Bachmann nel '67 scrive: «A ciascuno dovrebbe essere prescritto il vecchio Libro dell'Es, insieme alle gocce per la tosse o alle iniezioni». E Freud stesso in una lettera a Groddeck dice, sempre a tal proposito: «… il libro non potrà incontrare il gusto di tutti. Non è facile sopportare pensieri così intelligenti, audaci e impertinenti». Chiosa che sembra valere anche per l'autore di questa biografia. Certamente può non essere facile amare Groddeck/Troll o seguirlo nelle sue fantasie più temerarie. L'idea che «non è vero che noi viviamo, in gran parte siamo vissuti» dall'Es, questo inconscio così profondamente corporale, è inquietante; come disturbante può essere l'attenzione che il vecchio «Satana», come veniva talvolta chiamato, dedica al corpo e alle sue funzioni più basse e scandalose. Un Rabelais della psicoanalisi, e dio sa quanto ce ne sia bisogno ancor oggi, tra pallidi scienziati e inquisitori del setting. Anche Groddeck, come molti suoi contemporanei, teorizza l'abbandono, il ritorno a se stessi (il «divieni te stesso» pindarico) e la semplicità. È facile pertanto tacciarlo di antimodernismo, non è facile invece cogliere, tra rischi new age e derive autoritarie, il sincero bisogno da lui espresso di naturalezza e di fisicità. La scissione mente/corpo che ci accompagna dal romanticismo viene combattuta da Groddeck con le sue terapie psicosomatiche, ma soprattutto attraverso la riproposta della figura del Maestro, di colui che insegna con il paradosso e con il gesto. Con il rischio. Al di là di questo, Groddeck è l'autore che con più chiarezza insieme a Freud teorizza il concetto di Es, che in lui è però un inconscio intimamente affondato nel corpo, come l'anima di Duns Scoto, legata alle ossa, o come la Loba, la vecchia delle leggende del Texas ispanico, che dalle stesse ossa sa risuscitare un corpo. Perché è questo il dono di Groddeck e di Patrick Troll: che il corpo è anima. E che l'entusiasmo è un dono del dio. Dice Troll: «Vi sono strade misteriose nella vita, che a volte sembrano circoli viziosi, ma, in ultima analisi, a noi mortali non resta che una cosa sola: lo stupore».