Il Mattino 17.7.05
Bocciata dalla sinistra radicale, la bozza di Prodi potrebbe essere presentata come una semplice dichiarazione
CLAUDIO SARDO Roma. Sul documento Prodi, ormai, la mediazione è impossibile. I partiti della sinistra radicale non sono disposti a sottoscrivere una mozione sull’Iraq, che non contenga la richiesta perentoria di un «ritiro immediato» delle truppe italiane. Mentre Romano Prodi, sostenuto da Ds, Margherita e Sdi, non intende arretrare dalla sua exit strategy, come «se l’Unione fosse già al governo». Ieri è stata una giornata di contatti tra i leader del centrosinistra. Il voto della Camera sul decreto di rifinanziamento della missione Antica Babilonia slitterà probabilmente a mercoledì. Ma il tempo è comunque stretto per dipanare l’ingarbugliata matassa. L’orientamento che sembra prevalere è di rinunciare alla mozione parlamentare. Il documento Prodi diventerebbe una dichiarazione del leader dell’Unione, anzi del candidato-leader, dal momento che sull’Iraq si è di fatto aperta la competizione delle primarie. E a sostegno della dichiarazione di Prodi scenderebbero in campo i segretari di Ds, Margherita e Sdi (la Federazione ulivista) con una conferenza stampa. Ma le posizioni dell’area riformista - contrarietà alla missione, coinvolgimento nella stabilizzazione dell’Iraq dei Paesi non belligeranti, ritiro graduale delle nostre truppe e trasformazione della presenza italiana in funzione di addestramento e sostegno alla sicurezza interna - non si tradurrebbero in uno strumento parlamentare. In questo modo i partiti dell’Unione (salvo l’Udeur, che ha annunciato il sì al decreto del governo) voterebbero tutti no al rifinanziamento. E le diversità sull’exit strategy si manifesterebbero nel dibattito. Per questa soluzione sta lavorando Piero Fassino. Che fa leva su un impegno preso da Fausto Bertinotti: Rifondazione non presenterà una sua mozione, a meno che non sia l’area ulivista a muovere il primo passo. Lo stesso Prodi è su questa linea. Anche se è molto contrariato. Aveva infatti preparato due versioni della sua bozza: una in forma di mozione, l’altra in forma di dichiarazione. Ha distribuito la prima per verificare compatibilità e dissensi. E ora un ritorno alla dichiarazione politica sarà letto da molti come un passo indietro. L’esito, comunque, non è scontato. E l’incognita principale è il comportamento della Margherita. Che è schierata tutta a sostegno delle posizioni di Prodi. Ma Francesco Rutelli ha fin qui dato l’impressione di non temere, anzi di cercare, un chiarimento con la sinistra radicale anche in Parlamento. «Mi piacerebbe votare il documento Prodi» ha detto ieri Franco Marini. Subito, però, gli ha risposto Alfonso Pecoraro Scanio: «Se depositeranno quel documento, noi presenteremo una mozione per il ritiro immediato firmata dai parlamentari pacifisti». La minaccia è di aprire una frattura nei Ds, dove il correntone è da sempre schierato a fianco della sinistra radicale. Anche per questo Fassino vuole evitare mozioni contrapposte. Rutelli potrebbe essere tentato a forzare: anche lui, tuttavia, deve tener conto che il capogruppo Pierluigi Castagnetti e gli ulivisti lavorano per ridurre al minimo le divisioni. Le diversità, piuttosto, si misureranno alle primarie, dove, spiega Arturo Parisi, «le priorità del candidato vincente, diventeranno le priorità della coalizione». Come dire: saranno le primarie a definire la linea sull’Iraq. Ma non è detto che Bertinotti accetti.
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