l'Unità 17 Luglio 2005
Marx, dittatura e democrazia
Bruno Bongiovanni
È vero. Il Greatest Philosopher Result emerso il 13 luglio dal certamen philosophicum della Bbc, con tanto di «top ten positions», è niente più che l’esito di un gioco estivo. E tuttavia bene ha fatto l’Unità di giovedì, con gli articoli di Eric Hobsbawm e di Bruno Gravagnuolo, a segnalare la netta vittoria di Marx, che si è avvalso del 27,93% dei suffragi, contro il 12,67% di Hume, ottimo secondo in nome dell’oggi bestemmiato illuminismo. Non so se Marx avrebbe gradito l’epiteto britannico di Philosopher. Avrebbe senz’altro preferito, come ebbe modo di affermare, il germanico, e kantiano (oltre che giovane-hegeliano), Kritiker. L’interesse suscitato da Marx, più che dai proclami volti a far cambiare il mondo, deriva senz’altro dalla formidabile, e ancora intatta, capacità di far comprendere il mondo stesso. Non credo tuttavia che la sua nozione di dittatura del proletariato abbia a che fare, come è stato rilevato, con i disastri del totalitarismo novecentesco. La filologia ha ragioni che spesso l’ideologia non conosce.
L’espressione «dittatura del proletariato» compare infatti in soli 12 passi all’interno dell’intera opera di Marx ed Engels. Non compare nel Manifesto, dove si introduce la «conquista della democrazia». La si trova per la prima volta, e in ben 3 dei 12 passi, nelle Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, testo scritto tra il gennaio e l’aprile del 1850. Non si possono negare in quell’anno alcuni contatti blanquisti, ma l’espressione, come ha persuasivamente avanzato Hal Draper, è ricalcata, in modo brillantemente rovesciato, sulle definizioni antidemocratiche della democrazia contenute ne La démocratie en France, testo ben noto a Marx e pubblicato nel 1849 a Bruxelles dal fuggiasco Guizot. Per questi, liberale antidemocratico, la democrazia è «il grido della guerra sociale». Sono del resto i liberali moderati che, in questi anni, individuano nella democrazia, e nella sovranità popolare, la dittatura sociale dei più. E per lo stesso Marx, che certo sbaglia a pensare che il proletariato (inteso come working class all’interno del factory-system) possa mai diventare «immensa maggioranza», la democrazia è il governo forte, e provvisorio, dell’immensa maggioranza, ovvero del proletariato. Nel 1891, nell’ultimo e dodicesimo passo, Engels sostiene che «la repubblica democratica è la forma specifica della dittatura del proletariato». Ben altra storia è invece quella dei bolscevichi russi. Per i quali il proletariato resta, inesorabilmente, una minoranza. Per di più - senza il partito politico artefice unico della dittatura - sprovvista di coscienza.
una segnalazione di Dina Battioni:
su Liberazione del 16.7:
«il Manifesto del partito comunista" di Marx ed Engels, con la prefazione di Fausto Bertinotti.
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