giovedì 22 gennaio 2004

il miracolo cinese

Corriere della Sera 22.1.04
WORLD ECONOMIC FORUM
Il miracolo cinese


DAL NOSTRO INVIATO
DAVOS (Svizzera) - L'America torna a essere la locomotiva dell'economia globale. Ma il carburante viene dall'Asia, in primo luogo dalla Cina. Sempre di più. «Sono i loro capitali a permettere ai consumatori Usa di continuare a spendere e a vivere con un tasso di risparmio privato ormai a livello zero - osserva Laura Tyson, docente della London Business School ed ex consigliere economico dell'amministrazione Clinton -. Già oggi è detenuto da stranieri il 25% di tutto l'indebitamento americano e la quota è destinata a salire al 40% entro breve tempo». La conferma dei luoghi di provenienza di quelle risorse che stanno consentendo agli Stati Uniti una crescita basata su enormi deficit arriva anche da Jacob Frenkel, ex capo economista dell'Fmi, ex governatore della banca centrale d'Israele e ora presidente di Merrill Lynch International: «Solo fra il 2001 e il 2003 - spiega - il Giappone e, soprattutto, la Cina hanno acquistato titoli Usa per 320 miliardi di dollari».
Pechino, insomma, è ormai uno dei grandi attori che determinano i delicati equilibri dell'economia mondiale. E non si limita più a recitare il suo ruolo nell'ombra. Tutt'altro. Non c'è più palcoscenico internazionale, specie in Occidente, dove i suoi uomini non conquistino i riflettori. Lo si era già visto alla conferenza della Wto, lo scorso settembre a Cancun, in Messico. E lo stesso succede adesso a Davos, sulle Alpi svizzere, dove da ieri sono riuniti per l'annuale World Economic Forum oltre 2000 fra leader politici, star dell'economia, banchieri, imprenditori, operatori sociali di tutto il pianeta. Qui, per la prima volta, dall'Impero di Mezzo è arrivato un manipolo di economisti, tecnicamente sofisticati e di età vertiginosamente bassa, che non si limitano a osservare ma espongono idee, mettono in dubbio le tesi di colleghi occidentali. Gente come Fu Jun, giovanissimo docente dell'Università di Pechino, che ieri ha spiegato che per il 2003 il prodotto lordo cinese è cresciuto «fra il 10 e l'11%», ben oltre il 9,1% ufficiale, senza «segni di surriscaldamento». E a chi gli chiedeva quando la Cina rivaluterà la moneta nazionale, come vorrebbe l'amministrazione Bush, Fu Jung ha replicato che «non ci saranno cambi di politica valutaria nel breve e medio periodo», perché «non servono né allo sviluppo della Cina né dell'economia mondiale». Solo in prospettiva si può semmai pensare a «un legame dello yuan non più solo con il dollaro ma con un paniere di diverse valute». Una posizione che trova d'accordo lo stesso Frenkel, secondo il quale le scelte dirigiste della leadership cinese sono la strada giusta per inserire gradualmente maggiori elementi di mercato nell'economia del Paese, mentre una brusca correzione di rotta rischierebbe di interromperne il processo.