giovedì 22 gennaio 2004

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)

La Repubblica 22.1.04
PARLA CHRISTOPH WOLFF, AUTORE DI UN LIBRO SUL COMPOSITORE
sotto Bach c'è la scienza
la sua musica è paragonabile alla svolta di Newton
di LEONETTA BENTIVOGLIO


Impresa di densità vertiginosa, il racconto della vita e della monumentale opera di Bach scorre nell´ultimo saggio sul compositore: Johann Sebastian Bach, La scienza della musica, (Bompiani, pagg. 656, euro 38), scritto dal musicologo tedesco Christoph Wolff, docente alla Harvard University (Cambridge, Massachusetts) e direttore del Bach-Archiv di Lipsia, che allo studio e alle ricerche sul musicista ha dedicato la sua vita.
Lo testimonia questo volume impressionante per mole di notizie, e capace di muoversi con disinvoltura tra i territori della divulgazione colta e la specificità degli apparati musicologici, con tabelle sinottiche, elenchi cronologici e catalogazioni dettagliate. Il saggio piacerà agli esperti anche per la completezza delle informazioni biografiche, conquistata da Wolff grazie al ritrovamento a Kiev, in Ucraina, di documenti preziosi sulla famiglia di Johann Sebastian, già custoditi nella Sing-Akademie di Berlino, e dispersi dalle rapine dei sovietici durante la seconda guerra mondiale.
Tra i percorsi del libro, il più centrale e interessante è quello che a Bach, gigante musicale del secolo dei lumi, attribuisce un approccio alla creazione implicitamente scientifico. Lo fa, per esempio, ricorrendo molto spesso al paragone con Newton: «Premetto che l´idea non mi appartiene», chiarisce Christoph Wolff all´inizio della nostra conversazione. «A segnalare quel parallelismo furono alcuni studenti di Bach, che equipararono quanto il maestro aveva fatto in campo musicale alla rivoluzione newtoniana. Tra il mondo di Bach e quello di Newton non c´è relazione diretta, ma entrambi sono caratterizzati da uno straordinario stimolo alla scoperta. Le invenzioni di Bach furono fondamentali per lo sviluppo della musica: l´uso di 24 tonalità maggiori e minori, lo sviluppo senza precedenti dello stile polifonico e in particolare della tecnica della fuga, la sperimentazione di strumenti diversi nelle più varie combinazioni sonore. Si pensi ai Concerti brandeburghesi, che dimostrano come Bach stesse esplorando ogni possibilità di mescolanza di colori strumentali. Per non parlare della sua incredibile padronanza della tecnica contrappuntistica, testimoniata dai due libri de Il Clavicembalo ben temperato e dall´Arte della Fuga. Sviluppò inoltre il linguaggio della tastiera, realizzò esperimenti virtuosistici nel campo della tecnica organistica nelle sue Toccate, applicò la sua esperienza alla costruzione di nuovi organi e del nascente fortepiano».
Perché gli scienziati, e in particolare i matematici,sono sempre stati affascinati da Bach?
«La sua musica possiede una logica molto specifica, e segue sempre, nella maestosa sicurezza dei suoi mezzi formali, criteri rigorosamente costruttivisti. È un mondo lontano dalle dimensioni musicali orientate alla mera ricerca di belle melodie».
Nel libro lei parla spesso del rapporto del compositore con Dio: dettato dall´assolutezza della fede o conquistato con strumenti razionali?
«Al pari di Newton, convinto che i pianeti e l´intero sistema del cosmo fossero organizzati da Dio, Bach credeva in una potenza erogatrice di doni preesistenti all´uomo: cercava proporzioni di intervalli che mostrassero il nesso tra l´organizzazione del cosmo e la struttura interna del fenomeno musicale. La musica era per lui un regalo divino, che recava in sé il segreto della propria genesi».
Può fare un esempio?
«La traiettoria musicale ben organizzata: il cosiddetto sistema temperato. L´esistenza delle 24 tonalità, che ha una base nella natura del suono e può misurarsi fisicamente. Ci sono cose che non s´inventano: semplicemente sono date. Un compositore si trova a lavorare con i dodici suoni della scala cromatica, che gli si affidano dall´esterno e coi quali deve confrontarsi».
Bach fu condizionato dal pensiero filosofico del suo tempo?
«Era molto legato a Leibniz e a Johann Christoph Gottsched, uno dei massimi esponenti dell´illuminismo tedesco».
Come definirebbe il suo ruolo nella storia della musica e del pensiero?
«A Bach guardano Haydn, Mozart e Beethoven. Quando Mozart compone i Quartetti per archi, per vedere come scrivere una partitura a quattro voci si riferisce alla Fuga in quattro parti di Bach. Più tardi Wagner e Schoenberg, nelle loro tecniche di base, cercano di definire il proprio ruolo non in relazione a Monteverdi o a Palestrina, ma ai traguardi di Bach. Quanto alla storia del pensiero, Bach, nella sua musica, ha segnalato l´importanza dell´essere e dell´intelletto individuale in opposizione al principio di autorità. È stato uno dei creatori che hanno più segnato in senso umanistico i processi cognitivi, paragonabile in tal senso a Kant, a Newton e ai grandi illuministi».
In che modo Bach riflette la prospettiva umanistica?
«La sua è una musica che parla all´individuo. Pur derivando da strutture astratte, sa esprimere amore e dolore, sentimenti vasti e profondi. Il suo non è mai soltanto un bel suono: è un universo carico di significati».