giovedì 22 gennaio 2004

infibulazione

due segnalazioni di Lucia Ianniello

il manifesto 22.1.04
Il sequestro del piacere
Mutilate, solo un po'
di GIULIANA SGRENA


E' possibile ridurre il danno dell'infibulazione? Una pratica aberrante che, attraverso varie forme di mutilazioni sessuali più o meno invasive, garantisce il controllo della vita sessuale di una donna, fin dai primi anni di età, attraverso la privazione del piacere e la chiusura della vagina? A sostenerlo è un medico somalo che vive a Firenze e che ha escogitato un'«alternativa» - una semplice puntura di spillo sul clitoride anestetizzato, sostiene - per sottrarre le bambine alle mammane e agli effetti devastanti del rituale tradizionale. Una puntura di spillo che però i medici pronti a praticarla - guarda caso - per premunirsi chiedono una autorizzazione scritta dei genitori. Già, perché l'infibulazione è la mutilazione del corpo di un minore e con che diritto un genitore può autorizzarla? E' difficile immaginare che i fautori dell'infibulazione si accontentino di una puntura di spillo, ma se anche così fosse e si volesse semplicemente mantenere il rituale è inaccettibile che una struttura pubblica (le Asl) possa legittimare, anche simbolicamente, una pratica così aberrante come una mutilazione ritenuta una violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine dalla Convenzione internazionale sui diritti umani e dalla Carta africana sui diritti umani e dei popoli. Proprio dieci anni fa la Conferenza del Cairo, e quella di Pechino poi, si ponevano come obiettivo la sua abolizione.
L'inviolabilità del corpo è un valore universale che non può essere mercanteggiato in nome della riduzione del danno irreversibile che peraltro non è solo fisico ma anche psicologico. E guarda caso a firmare l'accordo sul progetto alternativo sono stati tutti maschi, che si sono guardati bene dall'interpellare le donne (immigrate) interessate che, a giudicare dalle reazioni, sono assolutamente contrarie. Togliendo così ogni giustificazione anche ai fautori del relativismo culturale.
Perché invece di ridurre il danno non si è pensato ad evitarlo con una campagna di informazione che denunci tutti i danni di questa pratica e ne sveli le mistificazioni che la vogliono legata alla religione - l'infibulazione ha un'origine precristiana e si è diffusa in alcune società cristiane animiste, musulmane e anche tra gli ebrei falascia. Se sconfiggere la pratica dell'infibulazione è difficile ancor più ardua è la battaglia per togliere ai maschi il controllo della sessualità della donna. Ma non possiamo rinunciare.

il manifesto 22.1.04
Infibulazione morbida per le straniere

Un ginecologo dell'ospedale Careggi di Firenze propone un rituale alternativo e simbolico a una delle più diffuse mutilazioni genitali femminili. La Regione Toscana chiede il parere dell'ordine dei medici e del comitato di bioetica
di RICCARDO CHIARI


FIRENZE. La conferenza stampa ufficiale insieme alla commissione pari opportunità è prevista per oggi a mezzogiorno in palazzo Panciatichi. Ma già ieri pomeriggio le immigrate cittadine di Firenze affollavano una saletta del consiglio regionale. Donne somale, eritree, senegalesi, capoverdiane e ivoriane. Tutte infibulate. Da paesi diversi, con un pensiero solo: «L'infibulazione alternativa proposta del dottor Omar Abdulcadir è inaccettabile. Rappresenta sempre e comunque l'avallo simbolico di una pratica aberrante che deve essere cancellata, e che può esserlo solo facendo una prevenzione, capillare e costante, attraverso l'informazione». Parole senz'appello, che per loro chiudono sul nascere la discussione aperta dal Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili e dal suo responsabile, il ginecologo Abdulcadir.
Dal centro fiorentino, allestito nell'azienda ospedaliera di Careggi all'interno della clinica ostetrica e ginecologica, il medico somalo ha avanzato a regione Toscana e ordine dei medici una proposta. Un'alternativa «rituale» all'infibulazione. Grazie ad una pomata anestetica, e poi una puntura di spillo sulla clitoride per far uscire qualche goccia di sangue. Abdlucadir dirige un centro unico in Italia per la prevenzione e la cura delle mutilazioni genitali femminili. Dai suoi ambulatori passano in media, anche se l'attività non è mai stata monitorata puntualmente, dalle quattrocento alle cinquecento donne ogni anno. Tutte per complicazioni dovute a mutilazioni genitali. «Se con il rito alternativo riuscirò a salvare anche solo una donna - spiega - avrò vinto una battaglia».
Gli risponde a distanza la somala Ghanu Adam: «Le donne come me sono sfuggite ai fucili della guerra in Somalia, ma non alle mammane dell'infibulazione. Oggi viviamo in Italia, in un paese civile. E non vogliamo che di quel rito resti qualcosa. Nemmeno il simbolo, perché alle nostre figlie insegniamo che non si deve fare e basta».
Ora parla la senegalese Diye Ndaye: «I capi delle nostre comunità hanno firmato un accordo sul progetto alternativo con il dottor Abdulcadir. Lo hanno fatto senza sentire il nostro parere. Se ci avessero sentito, avremmo detto di no ed avremmo spiegato il perché». Proprio la lettera inviata dai rappresentanti delle comunità africane per promuovere la proposta ha scatenato il caso. L'associazione Nosotras che riunisce molte immigrate in Toscana è insorta. Lo stesso ha fatto l'Aidos di Roma, associazione italiana donne per lo sviluppo. La proposta è arrivata anche al comitato di bioetica della regione Toscana. «Quello fatto dal centro di Careggi è uno sforzo lodevole - osserva il medico senese Mauro Barni, che guida il comitato - ma credo che da parte nostra non sarebbe corretto accettare dei surrogati di una ritualità incivile. Attraverso la procedura alternativa ammetteremmo un principio sbagliato». L'assessore regionale al diritto alla salute, Enrico Rossi, si fida del parere del comitato: «Comunque sia, è giusto che si discuta senza preconcetti» .
Insieme alle immigrate in palazzo Panciatichi ci sono anche le consigliere regionali diessine Marisa Nicchi e Alessia Petraglia, Mara Baronti della commissione pari opportunità e l'assessore comunale all'immigrazione Marzia Monciatti. «L'infibulazione alternativa non può passare come una pratica di riduzione del danno - spiega Nicchi - perché non può essere autogestita da un minore. Una bambina subisce comunque un rito che la pone in uno stato di sudditanza psicologica». Da parte sua, Alessia Petraglia osserva: «L'unica alternativa è quella di continuare la battaglia contro le mutilazioni genitali, al fianco delle tante donne che nei loro paesi sono in prima linea, in solitudine. E la regione Toscana può e deve fare di più». Chiude Marzia Monciatti: «E' necessario creare che coinvolga gli enti locali, le scuole, i medici di base e gli ospedali. Solo sconfiggendo l'ignoranza si sconfiggono le mutilazioni, non certo trasformandole in un rituale».