Gazzetta del Sud 14.9.04
Suspense psicologica di Gianrico Carofiglio La verità si allontana e il mistero è più vicino
Giuseppe Amoroso
GIANRICO CAROFIGLIO Il passato è una terra straniera Rizzoli pagine 266 - euro 15,00
Siamo a Bari. Un giovane sta per affrontare una comune giornata quando la comparsa di una donna lo proietta in un «vortice», lontano, in un «posto misterioso, straniero». Condizionato da questa ipoteca di sgomento l'io narrante di Il passato è una terra straniera di Gianrico Carofiglio si appresta a reggere i fili di un thriller compatto, dinamico in ogni segmento, teso ma non misurato interamente sull'esigenza della sorpresa immediata, della svolta tanto intrigante quanto, talvolta, meccanica. Qui si punta con decisione sulla strategia dei tempi, delle azioni, del taglio dei personaggi: però si concede pure lo spazio opportuno alla scheda psicologica, al dettaglio imperioso e determinante, al supporto descrittivo utile al giusto funzionamento dell'intreccio. Non v'è, certo, la corsa al superfluo per impiantarvi un esercizio di stile. La prosa scarna, tutta oggetti e cose, si mostra come un meccanismo adottato per la sua funzionalità: duttile, al limite della relazione clinica, ma non grigia, banale. Semplicemente secca, sollecitata dal suo bisogno di comunicazione. L'ordine, con un'ombra di perplessità, guida lo sviluppo di un'avventura incentrata intorno al personaggio di Giorgio, ventiduenne studente di Giurisprudenza, di famiglia intellettuale, che, incontrato il quasi coetaneo Francesco, avverte subito la sensazione di «essere sul punto di attraversare una soglia». Animato da un senso un po' snobistico di tenersi discosto dalla società borghese opulenta alla quale appartiene la fidanzata Giulia, il giovane prova tuttavia anche un po' di curiosità per quel mondo diverso, e, insieme, una specie di invidia. Baro («La fortuna è un'entità mutevole. È elastica. Accetta di fare anche dei favoritismi, se sai come chiedere»), affascinante, Francesco vive un'esistenza disordinata, passando da un tavolo da gioco all'altro di una città ritratta tra splendori e miserie in una teoria di flash dagli stridenti contrasti: i paesaggi si alternano con l'analisi dei costumi, con le vistose crepe di una società affacciata sulla propria angosciosa degradazione. A volte «la crosta della finzione va in frantumi», rivelando debolezze e sconfitte e risentimenti. Coinvolto nel gioco da Francesco, Giorgio si imbatte in un campionario umano molto variegato, che finisce per condizionarlo riducendone le difese e ponendolo di fronte a un'immagine di se stesso stravolta, irriconoscibile, che può prendere una «specie di esultanza ottusa». È l'inizio di uno sdoppiamento, la scoperta di un nuovo modo di entrare nella realtà, nei suoi trucchi («I giochi di prestigio – o il barare alle carte – sono una metafora della realtà quotidiana, dei rapporti fra le persone») e anche del gelo della solitudine e della paura. Carico di noia e di vuoto, il giovane si sente come «programmato». È sopraffatto da eventi accelerati e ha l'impressione di essere vicino a un «punto di non ritorno». Diversa da ciò che ha dentro, ma secondo un'altra vicenda, è pure la figura che il tenente dei carabinieri Chiti vede guardandosi allo specchio: «Schegge, frammenti, vapori, lapilli incandescenti, ombre, bagliori. Urla improvvise. Abissi dove non si poteva nemmeno guardare». Segnato dalla malattia mentale della madre, morta suicida, introverso, amante della musica e della pittura, l'ufficiale ama disegnare a memoria le facce della gente innestandovi la sua inquietudine, i suoi turbamenti. Incaricato di scoprire il colpevole di una catena di stupri, avvia la caccia a un fantasma sfuggente, «un maledetto filo di fumo». Il suo profilo, costruito con un chiaroscuro di indubbia efficacia, si colloca in una posizione di rilievo e garantisce al corso della storia una spinta che finisce per accentrare l'interesse del lettore lungo un percorso di sottolineature stilistiche e scelte lessicali idonee a determinare il rialzo creativo della scrittura. In prevalenza portato alla nudità essenziale del racconto, Carofiglio enuclea, in una cadenza che diviene uno stilema, alcuni scarti espressivi, isole nelle quali il realismo di fondo si arroventa in stravolgimenti linguistici arditi, paragoni spiazzanti, sintesi fulminee. Si spalanca un territorio percosso da una fantasia affilata: appare una Valencia torrida, surreale, leggermente incantata; v'è la malinconia breve dell'estate che sta finendo; e una partenza, al mattino, significa «andare incontro alla gioia sconosciuta dell'universo». Qualcosa perfora la barriera uniforme della cronaca e fa scattare un indizio di perplessità. Una frase rimbalza letteralmente «come un oggetto fisico consistente»; un episodio di violenza è «il film di un pazzo, girato con una vecchia cinepresa superotto»; e «l'angoscia della pazzia ringhia con gli occhi arrossati e paurosi del mastino dei Baskerville». Racconto amaro sulla manipolazione e sul senso della fine che aggredisce l'esistenza, il libro di Carofiglio vuole mettere a nudo le ipocrisie, gli inganni, l'imprevedibilità del destino, l' «ottusa brutalità del caso». E si affida a un arpeggio di ambienti e di personaggi, di sconcertanti enigmi dell'inconscio e di anestesia dell'anima. Sonda l'immenso serbatoio dei ricordi, ora con fotogrammi/nitidi, ora con sbiadite emersioni di echi. Un giallo che elegge la suspense non tanto come strumento di seduzione narrativa, quanto di cattura dei più reconditi impulsi interiori. Verità svelate si allontanano, mentre i misteri più fitti sembrano, a un tratto, a portata di mano.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»