martedì 14 settembre 2004

uno studio USA:
la guerra produce anche malattie mentali tra gli aggressori

tempomedico.it 14 settembre 2004
Il conflitto pesa sulla salute mentale
Disturbi psichiatrici in aumento tra i militari delle ultime missioni
di Raffaella Daghini - Tempo Medico n. 782

La guerra ha un costo che va oltre quello calcolato in vite perse o in numero di feriti. Le conseguenze sulla salute mentale di chi ha preso parte ai combattimenti e ha visto morire i propri compagni si fanno sentire anche a distanza di decine di anni, come dimostrato dagli studi condotti a metà degli anni ottanta sui veterani della guerra in Vietnam. Per la prima volta, però, uno studio ha analizzato l'incidenza di alcuni disturbi mentali sui soldati statunitensi di ritorno dalle missioni in Afghanistan e in Iraq, dove la guerra è ancora in corso.
La ricerca, condotta da un gruppo di studiosi del Walter Reed Army Institute of Research guidato da Charles W. Hoge, presenta diversi aspetti di assoluta novità rispetto a studi analoghi compiuti, per esempio, dopo i conflitti in Vietnam e la guerra del Golfo. Prima di tutto, appunto, la coincidenza dello studio con il protrarsi del conflitto; poi, la disponibilità di dati ottenuti da indagini condotte sui soldati prima della loro partenza. Infine è stata compiuta anche un'analisi dell'atteggiamento dei soldati nei confronti delle cure psichiatriche, che ha messo in luce una diffusa resistenza a sottoporsi ai necessari trattamenti, anche quando c'è la consapevolezza della presenza di un disturbo.
I risultati, ottenuti attraverso un'indagine anonima, suggeriscono un legame tra l'effettiva attività sul campo e l'incidenza dei disturbi mentali. "Solo il 31 per cento dei soldati impiegati in Afghanistan è stato coinvolto in scontri a fuoco" dice Hoge. "Per i militari della missione in Iraq questa percentuale sale al 71 per cento, e all'86 per i marines. E proprio i militari impegnati in Iraq presentano disturbi mentali in percentuali più elevate". Aumenta la prevalenza della depressione, dell'ansia, dell'abuso di alcol, ma soprattutto del disordine da stress post traumatico (PTSD), che cresce del 15,6 per cento tra i militari di fanteria e del 17,1 per cento tra i marines rispetto ai dati relativi al periodo pre bellico. Per i soldati di ritorno dall'Afghanistan, invece, la crescita dell'incidenza dei disturbi mentali considerati è dell'11,2 per cento.
Numeri preoccupanti, soprattutto se si considerano alla luce delle reazioni dei soldati. "Tra i militari che presentano un disturbo mentale" sottolinea Hoge "solo una parte compresa tra il 38 e il 45 per cento dimostra interesse a ricevere aiuto". Le motivazioni sono legate alla percezione, da parte dei militari ancora in attività, di un possibile giudizio da parte dei commilitoni. " Queste persone sono i grado di riconoscere i propri disturbi" spiega Matthew J. Friedman del National Center for PTSD del Department of Veterans Affairs. "Ma nel sottoporsi alla cura c'è la paura di rovinare la propria carriera, di trovarsi in difficoltà con i pari grado e i superiori, e di dare l'impressione di essere deboli".
I dati sono in accordo con una tendenza generale presente nel mondo militare, e già messa in evidenza anche in situazioni esterne ai conflitti, che porta solo il 19 per cento del personale attivo a ricercare la cura per i disturbi mentali; tra i civili questa percentuale sale al 28,5 per cento. E la situazione è particolarmente seria per quanto riguarda il disordine da stress post traumatico, perché proprio questo disturbo risulta il meno curato: solo il 4,1 per cento dei soldati affetti da PTSD si sottopone alle cure necessarie.
Le contromisure per arginare i possibili effetti di questo atteggiamento devono essere previste all'interno di politiche sanitarie che tengano conto di quanto si sa oggi del disordine da stress post traumatico. Dopo che si è manifestato, infatti, la sua persistenza è legata alle condizioni in cui la persona affetta si trova in quel momento, alla presenza di un sostegno emotivo e sociale, al periodo che sta vivendo. "L'imbarazzo dei militari nel ricorrere alle cure" sostengono Hoge e i colleghi autori dello studio "potrebbe essere ridotto potenziando il sostegno alla salute mentale nei centri di prima assistenza e mettendo a disposizione consulenze confidenziali". Misure auspicabili ma che, per quanto riguarda l'ultima ipotesi, si scontrano con le scarsa fiducia che il personale militare ripone nella possibilità che riservatezza venga mantenuta.
La validità dei risultati ottenuti in uno studio così tempestivo dovrà comunque essere valutata nel tempo, e per ora non è possibile prevedere se i casi di disordine da stress post traumatico crescerà nei prossimi anni. Gli studi sui veterani di precedenti conflitti mostrano infatti una tendenza all'aumento dell'incidenza della malattia nei due anni immediatamente successivi al ritorno. Inoltre, come già mostrato dagli studi compiuti sui militari di ritorno dalla missione in Somalia, una crescita dei casi di disturbi mentali può manifestarsi quando il conflitto cambia le sue caratteristiche, svestendo i panni dell'intervento di liberazione per assumere quelli di un vero e proprio scontro armato. Una certa cautela, quindi, è necessaria per valutare i dati raccolti perché, come sostiene Friedman: "potrebbe essere troppo presto per determinare la reale portata degli effetti sulla salute mentale dei soldati di queste missioni".

Fonte: New Engl.J.Med. 2004; 351:13 e 75