martedì 14 settembre 2004

madri assassine

Repubblica, edizione di Bologna 14.9.04
Un libro ispirato dai dibattiti tv sulla morte del piccolo Samuele
Grazia Verasani, l'autrice, ha fatto ricerche negli archivi dei manicomi
La tragedia di quattro madri tra Medea e il delitto di Cogne
Esce la pièce dell´omonimo spettacolo teatrale che raccoglie monologhi su un dramma eterno
AMELIA ESPOSITO

Quattro donne in una stanza, all´interno di un carcere psichiatrico giudiziario. Marga, Vincenza, Rina ed Eloisa - età e vissuti diversi -, fanno i conti con la loro comune, terribile colpa: l´assassinio del proprio figlio. L´infanticidio, il più inquietante e oscuro dei delitti. Queste donne sono le protagoniste dell´ultimo libro di Grazia Verasani, quarantenne scrittrice bolognese, già autrice di tre romanzi, una raccolta di racconti e diverse sceneggiature.
Grazia Verasani ha scelto di misurarsi con questo delicatissimo tema in seguito al delitto di Cogne. Ha sentito la necessità di affrontarlo nella sua complessità, nel tentativo di superare le letture semplicistiche fatte sull´onda emotiva del momento. Da questo bisogno, e da un intenso lavoro di documentazione, è nata una piece teatrale, ?From Medea´, dal nome del personaggio della tragedia classica, madre infanticida per antonomasia. La pièce, pubblicata da Sironi Editore, uscirà nelle librerie il 23 settembre.
Molti lettori potrebbero restare spiazzati da questo libro. Sorpresi da come si possa provare empatia e persino tenerezza per queste madri assassine. La stessa reazione che ha suscitato "From Medea" quando è andato in scena, a Roma, nell´autunno del 2002, per la regia di Pietro Bontempo. «Calandosi nelle vite dolorose o estremamente grigie delle protagoniste non si può non sentire per loro pietà», spiega l´autrice. Una pietà laica per Grazia Verasani, quella che si prova nel momento in cui si smette di giudicare e si inizia a cercare di comprendere. In effetti, in "From Medea" non c´è traccia di giudizio nei confronti delle quattro donne, ma neppure di giustificazione e, tanto meno, di assoluzione. C´è semplicemente la fotografia delle loro vite, raccontate dal luogo dove stanno scontando la pena e, contemporaneamente, cercando di «curarsi» con il supporto di psichiatri.
«Conoscere la storia pregressa delle infanticide - prosegue l´autrice - aiuta a capire come l´istinto materno non sia obbligatorio, come la maternità sia qualcosa di estremamente complesso e come la depressione post partum, se non compresa, possa sfociare anche nell´assassinio del proprio figlio, che, poi, altro non è che un suicidio». Durante la stesura del libro la scrittrice bolognese si è ampiamente documentata su depressione post partum e maternity blues, sindromi legate alla maternità studiate soprattutto negli Stati Uniti, dove i casi di infanticidio sono numerosi. «Ho letto molti libri e saggi - spiega - e mi è stato molto utile il supporto di un amico psichiatra che si occupa di questi temi. Poi, naturalmente ho letto centinaia di articoli di giornale e visto i programmi televisivi nei quali andavano in scena i casi di infanticidio». Come il caso Franzoni: «Mi hanno indignato la facilità di giudizio e le valutazioni approssimative di tutti, colpevolisti e innocentisti. Mi ha colpito come l´attenzione non fosse rivolta al bambino o agli altri bimbi che, se Annamaria Franzoni è davvero colpevole, devono essere protetti, quanto piuttosto alla ricerca del "mostro". Alla sua individuazione attraverso primi piani ed espressioni del viso».
«Ma la mente umana è un pozzo profondo», dice la scrittrice. Spesso insondabile. Figuriamoci con una telecamera. La depressione post partum esiste. Sta lì, minacciosa. Lo dimostra una vasta letteratura in materia. Lo dimostrano le storie vere delle donne detenute nel carcere psichiatrico giudiziario di Castiglione dello Stiviere, nel mantovano, e le storie immaginate di Marga, Vincenza, Rina ed Eloisa. Allora meglio guardarla in faccia. Pensare che si può provare a fare almeno un piccolo sforzo di comprensione.