mercoledì 20 ottobre 2004

Giorgio Colli, lo "scopritore" di Nietzsche

La Stampa 20.10.04
UN GRANDE STUDIOSO INGIUSTAMENTE DIMENTICATO
Colli, la durezza dell’inattualità
Eccelso filologo
e storico della filosofia,
tra Nietzsche
e la sapienza greca
Estraneo al cattolicesimo
come al marxismo, e pure
al liberalismo: esce la sua
«biografia intellettuale»
di Angelo d’Orsi

NEGLI ambienti accademici torinesi l'espressione «maestro dei maestri» si riferisce a Gioele Solari, titolare di Filosofia del diritto dal 1918 fino al 1948, quando la cattedra passò al suo allievo prediletto Bobbio. Ma la «covata» di Solari è numerosa quanto prestigiosa: dai primi suoi laureati nell'estate del 1922 (Piero Gobetti e Alessandro Passerin d'Entrèves) a Luigi Bulferetti, Felice Balbo, Dante Livio Bianco, Luigi Firpo, Ettore Passerin d'Entrèves, Filippo Barbano... Fra loro, laureatosi nel 1939 con una tesi su Platone, Giorgio Colli. Nato nel 1917 - suo padre, Giuseppe, era stato amministratore della Stampa, licenziato dal fascismo, per poi essere reintegrato nel dopoguerra, prima di concludere nello stesso ruolo al Corriere: dunque l'antifascismo era di casa - Colli era stato allievo di un altro luogo «obbligato» della torinesità, il Liceo D'Azeglio. Dopo la laurea, fu per un paio d'anni assistente di Solari, per poi passare all'insegnamento nella scuola superiore, finendo a Lucca, dove tra i suoi allievi vi fu Mazzino Montinari, che avrebbe avuto a sodale e continuatore nella straordinaria impresa dell'edizione critica di tutte le opere di Friedrich Nietzsche.
Il grande pensatore tedesco, da una parte, la sapienza greca - da Zenone ad Aristotele - furono i due filoni di lavoro principali di Giorgio Colli, negli anni della maturità, e su entrambi egli avviò lavori di peso, sempre rigorosi quanto originali. Strappato al lavoro e alla vita da una morte improvvisa quanto precoce (all'inizio del 1979, a poco più di 61 anni), benché oggetto di attenzione in sedi specialistiche, Colli rimane un personaggio caduto nell'oblio: assai ingiustamente, perché fu davvero fuori del comune. Arriva ora un libro (Federica Montevecchi, Giorgio Colli, Bollati Boringhieri, pp. 174, e18,00) a riportarlo all'attenzione, e anche se il sottotitolo di «biografia intellettuale» appare francamente inadeguato: la biografia intellettuale di Giorgio Colli deve ancora arrivare. L'autrice, filosofa di professione, ma priva degli strumenti storiografici che sono indispensabili per una «biografia intellettuale», offre comunque un sensibile percorso di lettura interno all'opera di Colli, che non è stato solo un eccelso filologo e storico della filosofia, ma anche un filosofo, la cui originalità è ad abundantiam sottolineata dalla Montevecchi, mossa qua e là da uno spirito polemico i cui destinatari non sempre risultano chiari. Certo, se si riflette a un dato, la polemica è più che legittima. Colli, libero docente nel 1948, non andò mai oltre il ruolo di professore incaricato (di Storia della filosofia antica), che tenne con onore, sebbene con pochissimi studenti, a Pisa, dal '49 alla morte: una delle tante vergogne della storia universitaria italiana. E Torino, in particolare, sembra piuttosto dimentica di siffatto personaggio, che sotto la Mole fu attivissimo operatore culturale, prima nell'Einaudi, quindi nella Boringhieri, dove diresse, insieme con Montinari, una bellissima Enciclopedia di autori classici (90 titoli in 9 anni!): pagine fondamentali, spesso poco note, della cultura occidentale - da Aristotele a Pascal, da Voltaire a Newton, da Leibiniz a Darwin - ma anche testi-base delle grandi culture d'Oriente, in uno sforzo volto a dare un panorama mondiale e sempiterno della classicità. L'orizzonte di una cultura non destinata, come scrisse Montinari, al consumo ideologico immediato.
Torino, ingrata patria, sia con l'Università, sia con l'attività editoriale, dunque? Sembra di poterlo dire, anche se qualche elemento conoscitivo in più sarebbe stato utile: il libro, qua e là allusivo, risulta alla fine elusivo. Sta di fatto che, anche sul piano editoriale, le due grandi proposte, quella sull'opera omnia di Nietzsche e quella altrettanto gigantesca e originale sulla Sapienza greca, Colli fu costretto a portare altrove il suo talento; nel caso editoriale, le sue proposte vennero accolte dalla casa Adelphi, grazie al suo fondatore Luciano Foà, conosciuto ai tempi dell'Einaudi.
Con i suoi limiti, il libro è interessante, se non altro per la vivida passione che la Montevecchi mostra per il suo autore, di cui ci disvela i percorsi solitari della mente, tra Eraclito e Schopenhauer, tra Aristotele e Nietzsche. Ma fino a quando qualcuno non tornerà sulla sua vita, oltre che sul suo pensiero, carte alla mano, non capiremo mai la verità, che qui possiamo solo intuire, dell'opinione di Colli in merito al tema doloroso dell'«inattualità»: essa, scrisse, accomuna «tutti coloro che parlano al presente con vera durezza». Per comprendere la durezza di Colli (uomo estraneo tanto al cattolicesimo quanto al marxismo, ma neppure inquadrabile nelle varie versioni del liberalismo laico), e dunque avere documentata una chiave di lettura della sua inattualità - che può rappresentare un segno infallibile della grandezza di un autore - dovremo attendere altri studi. Intanto, seguendo il tragitto che questo ci propone, con «simpatia» (nel senso letterale, greco della parola), possiamo arrivare ai testi di Colli: egli ci insegnò, a proposito di Nietzsche - che fu davvero il «suo» filosofo - che per capire un autore occorre sottrarlo al gioco delle interpretazioni, e risalire ai testi, direttamente. Donde l'importanza ineludibile della filologia, che per Colli era - scrive la Montevecchi - «la via d'accesso privilegiata al pensiero e alla corretta impostazione con il passato».