martedì 23 novembre 2004

boom delle lingue orientali nelle università

una segnalazione di Dicta Cavanna

Il Messaggero Martedì 23 Novembre 2004

LA SAPIENZA
Il prof di cinese: otto ore al giorno di studio

ROMA. Federico Masini è vissuto dieci anni in Cina, faceva l’addetto stampa dell’ambasciata italiana. Ora è preside della facoltà di Studi Orientali della Sapienza. È professore di cinese.
Quali sono i corsi più richiesti della sua facoltà?
«Cinese, giapponese, arabo».
Un laureato triennale in lingue ”esotiche” che padronanza ha raggiunto?
«L’ultimo semestre la maggior parte degli studenti lo passa nel paese straniero. Dopodiché il loro livello gli permette di sostenere il linguaggio basilare, possono andare in giro e farsi capire, sfogliare un giornale e afferrare il senso degli articoli».
Qual è la difficoltà principale del cinese?
«I pochi punti di contatto con la nostra lingua, la pronuncia aliena, la scrittura con gli ideogrammi».
È complicato impararli?
«Sono difficili ma non così tanto, visto che vengono usati da un miliardo e mezzo di persone».
Quanto bisogna applicarsi al giorno?
«Tra lezioni e studio passano 8 ore al giorno. Un allenamento da atleti».
Quali le prospettive di lavoro?
«Con la laurea triennale quasi tutti si sistemano: nelle aziende italiane che operano in Cina, nelle agenzie turistiche, in compagnie aeree, l’ambasciata italiana a Roma ha preso dei nostri laureati...».
L’università italiana come affronta questo arrembaggio all’Oriente?
«Male. Tutti gli atenei sono sottodimensionati rispetto alle richieste. Io non ho i soldi per pagare i professori».
L.P.

Il Messaggero Martedì 23 Novembre 2004
Dall’arabo al giapponese, boom dell’Oriente in cattedra
di LUIGI PASQUINELLI

ROMA Le sue quotazioni sono schizzate verso il cielo come Bruce Lee in una piroetta di Kung Fu. Ripescata negli scrigni della memoria dove, come gemme preziose, riposano i sussurri di Shéhérazade e le grida dei samurai, i balzi di Sandokan e i quiz di Turandot, cattedrali vegetali e serragli animali, soli nascenti e linee d’ombra calanti, pirati e barriti, harem e sushi, la magia dell’Oriente ha stregato le nostre università. Un incantesimo che nasce nel passato ma che si proietta nel futuro. All’orizzonte, simili a penne pellerossa oltre la collina, spuntano cifre e dati, lo sviluppo promette di scuotere le economie tradizionali come il tornado Ivan le coste caraibiche. Cina in primo luogo, poi India: due miliardi e mezzo di nuovi consumatori, affamati di costruzioni, impianti, insegnamenti, importazioni, capitali, strutture, conoscenze, benessere. E poi la galassia Islam, che penetra quotidianamente nelle nostre case, violenta come la paura, seducente come il mistero.
Da un anno all’altro L’Orientale di Napoli porta a casa un più 25 per cento di immatricolazioni e decuplica, da sessanta a seicento, l’offerta di stage. Analoghe progressioni nelle facoltà ”esotiche” della Sapienza, iperboliche performance registra la Ca’ Foscari di Venezia: i tre centri accademici con lo sguardo tradizionalmente rivolto a Levante. Ma sono molti altri, da Lecce a Siena, gli atenei colpiti da sindromi cinesi, giapponesi, arabe. «Quando studiavo cinese classico, a metà anni 70 ricorda Maurizio Scarpari, prorettore vicario alla Ca’ Foscari in tutti i corsi orientali eravamo non più di 40, oggi gli allievi sono 2.124». Affrontano gli idiomi più remoti, vivi e morti, dall’aramaico al bantu, dall’etiopico al persiano allo swahili, con relative civiltà, ma devono conoscere anche inglese, francese, tedesco perché su quelle culture di testi e vocabolari italiani c’è poco o nulla. «Non siamo più isolati dice il rettore dell’Orientale Pasquale Ciriello l’integrazione europea è un fatto, da 15 che eravamo siamo diventati 25. Da noi si insegnano lingue e letterature dei Paesi appena entrati e di quelli che arriveranno come la Turchia. Sta maturando anche una sensibilità per le realtà asiatiche e africane, il mondo è ai nostri piedi, 200 anni fa l’intera vita di un uomo era raggiunta dalla quantità di informazioni contenuta nell’edizione domenicale del New York Times».
Sono giovani, hanno la vista lunga, nei corridoi e nelle aule de L’Orientale, abbarbicata su un vicolo napoletano, respirano il mondo. Fabio Battiato, 25 anni di Catania, neolaureato, fresco di ebraico antico, arabo, aramaico, la lingua degli imperatori persiani, la lingua di Gesù: «Vorrei rimanere all’interno dell’università. In Italia non ho molte prospettive, l’aramaico è difficilmente spendibile sul mercato del lavoro. Più chance con l’arabo, ma all’estero. Cinque settimane in Tunisia e mi hanno offerto due lavori: insegnante di italiano e agente turistico. Ho imparato che non esistono civiltà belle e brutte, migliori o peggiori, ricche o povere ma solo civiltà differenti». In Cina, dice Paola Sellitto, 22 anni, prossima alla laurea, l’occidentale parte in pole position: «Rimangono incantati dai nostri grandi occhi, dal colore biondo, dalla statura. Tutti ti guardano con ammirazione, sei lao wai? Sei straniero? Tre mesi di studio lì equivalgono a tre anni qui. Ho lavorato a Canton in una fiera di motociclette. Un mio amico ha fatto il modello e pubblicità radiofonica pur non essendo un Adone. Forse il mio futuro è lì». I sogni di Licia Pizzi, 30 anni, studiosa di indonesiano e giapponese, hanno un raggio meno esteso: «Penso alla Francia, ma soprattutto all’Olanda, dove esistono importanti centri studi. In Italia sono pochissime le occasioni».
Con il nuovo ordinamento, 3+2, pare che gli studenti si perdano meno per strada ma che siano anche meno preparati: «Per non andare fuori corso racconta il prof di Giapponese Gianluca Coci frequentano tanti corsi e hanno poco tempo per lo studio. Io ho cominciato ad avvicinarmi al Giappone grazie ai cartoni animati degli anni 70. Per molti altri la molla iniziale sono le arti marziali». Pasquale Manzo, assistente del prof Pandey Shyammanohar, ha deciso di dedicare la sua vita all’Hindi, la lingua ufficiale della terra dei maharaja. «Fin da bambino ero attratto dall’India, la scintilla è scoccata dopo aver visto alcuni documentari». Da dieci anni docente e allievo stanno costruendo un ponte che collegherà i due Paesi: un vocabolario Hindi-Italiano.