martedì 23 novembre 2004

Venezia
Carpaccio all'Accademia

La Stampa 23 Novembre 2004
CARPACCIO
I santi in maschera
di Giovanna Nepi Sciré
La mostra Carpaccio, pittore di storie si inaugura venerdì 26 alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Sarà aperta al pubblico fino al 13 marzo 2005, con orario 8,15-19,15 (il lunedì chiude alle 14. Il biglietto di ingresso comprensivo della visita alle Gallerie dell’Accademia costa 9 euro. La mostra è dedicata a Rona Goffen, storia dell’arte americana, grande appassionata della cultura artistica veneziana. Pubblichiamo la prefazione al catalogo (edito da Marsilio) di Giovanna Nepi Sciré, soprintendente al polo museale veneziano e curatrice della mostra.



CARPACCIO è un artista di grande raffinatezza ed autonomia, anche quando si cimenta nel campo della tradizionale pittura narrativa veneziana, traducendola in una propria originalissima visione. La pittura di «storie» è certo l'aspetto più vistoso della sua produzione ed è straordinario che due dei suoi cicli più importanti, quello per la Scuola di Sant'Orsola e quello per la Scuola dalmata di San Giorgio siano sopravvissuti integri nella città per cui erano stati eseguiti: uno alle Gallerie dell'Accademia, l'altro ancora in situ. Alle Gallerie dell'Accademia è anche conservato il telero con il Miracolo dell'ossesso al ponte di Rialto, già nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, uno dei più straordinari «ritratti di città» di tutta la pittura rinascimentale.
Da qui l'idea di riunire, intorno a questo nucleo forte, che tanti musei ci invidiano, i dipinti dispersi di altri cicli un tempo a Venezia. Prima di tutti i teleri della Scuola degli Albanesi, dedicati alla vita della Vergine, di cui due già erano rimasti a Venezia alla Ca' d'Oro e un terzo, dato in deposito demaniale al Museo Correr, è stato recentemente riunito a questi. La pronta accettazione dei colleghi di Brera e dell'Accademia Carrara di Bergamo ha reso possibile la realizzazione del progetto.
Più difficile è stato riunire i teleri della Scuola di Santo Stefano, che hanno subito vicende piuttosto avventurose. Alla soppressione della Scuola nel 1806, le opere vennero disperse. Considerata da Pietro Edwards «da alienarsi», la Consacrazione dei diaconi fu ceduta al mercante Giovanni Davide Weber e finì poi nei musei di Berlino. La Disputa e la Predica giunsero nel 1808 a Brera, ma la seconda pervenne poi al Louvre per uno scambio voluto da Napoleone. La Lapidazione fu assegnata alle Gallerie dell'Accademia, ma ceduta insieme ad altre opere all'abate Luigi Celotti in parziale pagamento della collezione di disegni che era stata di Giuseppe Bossi.
Se il Louvre, il Museo di Stoccarda e il Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi, hanno aderito prontamente all'iniziativa, la Pinacoteca di Brera e i Musei civici di Berlino non hanno ritenuto opportuno far correre i rischi del trasporto alle loro opere. Seppur a malincuore, perché l'occasione era veramente unica, non possiamo non rispettare questa decisione, motivata da scrupoli di tutela. Due riproduzioni in scala 1:1 sostituiscono, per quanto possibile, gli originali, e ci restituiscono la continuità della narrazione.
Del resto i musei difficilmente si separano dalle opere di Carpaccio, pittore tanto raro e spesso non rappresentato anche in grandissime istituzioni. Non a caso l'ultima e unica mostra monografica che gli è stata dedicata è quella memorabile organizzata da Pietro Zampetti nel 1963 a Palazzo Ducale.
Dalle Gallerie, i nostri visitatori potranno andare nel vicino campo Santo Stefano a vedere-all'anagrafico 3467 di San Marco - la facciata della Scuola dedicata al Santo in calle del Piovan e poco lontano, all'imbocco di campo San Maurizio, quella della Scuola degli Albanesi, con gli interessanti bassorilievi in pietra d'Istria. Ma soprattutto potranno arrivare (e utilizzando il biglietto delle Gallerie godere di uno sconto) fino alla Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Castello, dove le storie dei santi Giorgio, Trifone e Gerolamo sono conservate ancora nell'edificio originario.
Come di consueto è stato realizzato un percorso che collega il museo con il territorio, cercando, ove possibile, di restituire al fruitore non solo l'opera musealizzata, ma anche i contesti di provenienza.


La Stampa, stessa data
La nuova stella erede di Bellini
Misteriosa la formazione del pittore
che si affermò con le sacre storie
di Marco Rosci

COLPISCE la scarsità di notizie documentate sulla vita del Carpaccio, tanto che possiamo ipotizzare una nascita intorno al 1460 solo considerando che risale alla fine degli anni ‘80 la commissione del colossale ciclo di teleri - in tutti i sensi, dal numero alle dimensioni - delle Storie di Sant’Orsola per la Scuola omonima, che lo terrà impegnato dal 1490 almeno fin al 1499. Tanto bastava per poi imporlo come nuova stella nella tradizione veneziana dei teleri figurati, in cui le sacre narrazioni sono puro pretesto per racconti di vita cerimoniale in una Venezia mascherata in un fastoso e complesso scenario teatrale adatto ad ogni luogo deputato dalla leggenda, dalla Britannia a Roma a Colonia.
La lucidissima intersecazione prospettica dei piani scenici, nascente dalla maturità del sistema brunelleschiano in Leon Battista Alberti e in Piero della Francesca proietta al di là della staticità ritmica degli scenari di Gentile Bellini e di Alvise Vivarini i racconti di figure e di spazi del giovane, che nel pieno dei lavori delle Storie di Sant’Orsola supera sè stesso nella cronaca veneziana a pieno titolo del Miracolo della reliquia della Croce al Ponte di Rialto per la Scuola di San Giovanni Battista, anch’esso conservato all’Accademia di Venezia come il ciclo di Sant’Orsola.
Nel 1507 questo ruolo di nuova stella gli viene riconosciuto dai Dieci quando viene chiamato a fianco di Giovanni Bellini, essendo morto Alvise Vivarini, all’impresa dei teleri per la Sala del Maggior Consiglio, poi distrutti nell’incendio del 1577, dove Carpaccio dipinge la storia anconetana con il dono del baldacchino al Doge Sebastiano Ziani da parte di Papa Alessandro III. Il pittore ne fa vanto e mezzo di presentazione al marchese di Mantova Francesco Gonzaga al quale scrive nel 1511: «Io son quello pictor dallo excelso consiglio dei diece conducto per dipinger in salla granda, dove la S.V. se dignò a scender sopra il solaro ad veder l’opra nostra che è la historia de Ancona. Et il nome è dicto Victor Carpatthio».
Tutto questo legittima ampiamente la scelta della Soprintendente Nepi Scirè di organizzare per cicli la mostra di un maestro, che nei ventisei anni dopo la grande impresa di Sant’Orsola fu anche un pittore, cromaticamente splendente nell’eredità di Giovanni Bellini, di pale sacre e di almeno due capolavori come le Dame del Museo Correr e il Ritratto di cavaliere Thyssen emigrato da Lugano a Madrid. La scelta è stata quella di affiancare all’Accademia gli otto teleri del ciclo di Sant’Orsola e il Miracolo del ponte di Rialto altri due cicli successivi, quello della Vita della Vergine già nella Confratenita degli Albanesi, con la raffinata Annunciazione datata 1504, e quattro teleri del ciclo di Santo Stefano del secondo decennio del ‘500, il più travagliato e disperso dopo la soppressione della Scuola nel 1806.
Esso comprende un altro momento fra i più alti del pittore, la Lapidazione del protomartire in un ampio scenario naturale, in cui emerge l’evoluzione dell’artista, pur fedele fino alla fine al lume cristallino degli esterni del presumibile maestro Giovanni Bellini, verso il gran respiro di natura emergente dalla rivoluzione di Giorgione e Tiziano. Essendo così strutturata la mostra, ne diviene naturale complemento la visita, in una Venezia di Castello sopra Piazza San Marco ancora per fortuna poco sommersa dai flussi turistici, dell’altro stupendo ciclo, posteriore di due anni alla fine di quello di Sant’Orsola, della Scuola di San Giorgio agli Schiavoni, l’unica rimasto intatto nella sede originaria.