martedì 23 novembre 2004

sinistra
Aprile: il congresso di Rifondazione

aprileonline.info 23.11.04
Centrosinistra. PRC a Congresso: la coalizione elettorale tema centrale
Fare la differenza
Si apre il difficile percorso del congresso di Rifondazione. Il Prc è chiamato a trasformare se stesso e la coalizione in cui ha deciso di stare a pieno titolo. Una scommessa che chiama a raccolta tutta la sinistra radicale, una sfida dagli esiti incerti ma che vale la pena di accettare

“Make the difference” dicono gli Americani. Fai la differenza. Nel linguaggio aziendale vuol dire che una persona o una fantasiosa trovata possono sbaragliare la concorrenza. In quello politico, che un leader, una vision, una certa politica, possono convincere gli elettori a dare il consenso a questo o quello dei duellanti. Ad esempio il conservatorismo teologico (la dottrina dei teocons) è ciò che ha fatto la differenza nelle elezioni presidenziali del 2 novembre. Tradotto in italiano “fare la differenza” perde questa connotazione un po’ destrorsa. E può suonare come “rendere differenti, alternativi, diversi” se stessi e l’ambiente in cui si opera.
E’ questo, forse, il compito che aspetta Rifondazione Comunista alla vigilia di un congresso impegnativo e non scontato. Sei mozioni in campo sono qualcosa che non si vede tutti i giorni. Qualcosa che denota da un lato una dose di pluralismo che è difficile trovare in altre formazioni politiche, ma dall’altra una insidiosa babele di linguaggi, opzioni strategiche, politiche e visioni del mondo.
Fare la differenza, dicevamo. Prima di tutto rendere differenti se stessi. Rifondazione esce da diversi anni di autoghettizzazione ideologica. La tesi delle due destre, l’idea cioè che non vi sia sostanziale differenza tra il centrosinistra e il centrodestra, ha portato Bertinotti e il suo partito prima ad una pesante scissione con Cossutta e Diliberto, che ha privato il Prc di diversi dirigenti, amministratori e quadri e del 2% dell’elettorato. Poi al minimo storico di consenso nel 2001. Quella fascia di elettori ondeggiante tra Ds e Rifondazione non ha visto di buon occhio l’alternatività del Prc rispetto al centrosinistra più che al centrodestra.
In questi tre anni, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti. I movimenti alterglobal, la ripresa della conflittualità di un sindacato che, da Ciampi ad Amato e fino a Dini (e in parte anche dopo), aveva troppe volte subito i diktat delle compatibilità, il sorgere di un rifiuto di massa contro la guerra che ha investito in modo particolare il nostro paese, la nascita di una borghesia intellettuale radicalmente e culturalmente antiberlusconiana. In poche parole, nuove soggettività politiche che hanno preso le mosse non dalle scrivanie dei leader politici, ma dal cuore della società, dalla parte migliore del paese, come si diceva un tempo. Soggettività che non si sono fermate alla denuncia, ma che hanno avuto la capacità – o forse la fortuna – di far diventare senso comune le proprie parole d’ordine.
Queste soggettività sono state la scommessa di Bertinotti e del suo partito. Stare nei movimenti rinunciando all’egemonia su di essi, ma al contrario facendosi contaminare. Una politica che ha pagato perché il Prc è oggi uno dei più interessanti laboratori di idee nel panorama politico italiano, anche al di là dei suoi evidenti limiti in altri campi. Nonviolenza, beni comuni, pacifismo. E ancora analisi della precarizzazione della società e superamento della vecchia concezione della classe operaia. Suggestioni, stimoli, idee nate nei movimenti, che hanno contaminato un partito oggi lontanissimo dalla riproposizione stantia del vecchio comunismo, ma anche dal riformismo pallido dei Ds che non hanno fatto davvero i conti con le trasformazioni della società, ma più semplicemente hanno assunto altre classi di riferimento, altri valori, altra sostanza.
La scommessa che Bertinotti propone oggi al suo partito è più impegnativa: trasformare questo patrimonio in governo. Fare la differenza anche fuori di sé. E usare il governo come strumento per far lievitare i movimenti e le loro idee. Si tratta di una scommessa rischiosa, dagli esisti incerti e che può naufragare con estrema facilità. Una volta arrivati al governo, non è affatto detto che si abbiano gli spazi di manovra per realizzare questo progetto. I movimenti poi non sono certo in un periodo di grande vitalità. Gli alleati potenziali fanno di tutto per divaricarsi dalla prospettiva di un programma comune chiaramente progressista.
Ma è una scommessa che vale la pena di accettare. La società italiana è profondamente cambiata in questi anni. Il deposito delle grandi mobilitazioni è rimasto nella testa e nella pancia delle persone. Gli elettori non sono più disposti ad accettare un leader purché sia, una coalizione purché sia, un programma purché sia. Vogliono cacciare Berlusconi, ma subito dopo pretendono che si facciano, si dicano, si pensino cose di sinistra. Il problema non è più l’alternanza (io farò meglio di te). E’ per davvero l’alternativa (io sarà differente da te).
Detto ciò, non può essere solo il Prc a lavorare in questa direzione. Tutta la sinistra radicale ha di fronte il compito di cambiare se stessa e la coalizione democratica. I ritardi sono enormi: manca, per la coalizione, un programma. Non parliamo solo della lista delle cose da fare, ma dell’idea di società che ti fa compilare una lista invece che un’altra. E in secondo luogo manca alla sinistra radicale una elaborazione compiuta che trasformi le suggestioni in politiche concretamente applicabili. Queste due lacune dovranno presto essere colmate se davvero si vuole fare la differenza.