martedì 23 novembre 2004

sinistra
Pietro Ingrao

Il Mattino 23.11.04
Il governatore si confessa: «Ingrao resta il mio maestro»
di f.v.

Il libro di Antonio Galdo, «Pietro Ingrao, il compagno disarmato» (Sperling & Kupfer editori), è un viaggio nelle passioni di un secolo attraverso i «tormenti e le sconfitte» di un dirigente comunista. Oggi pacifista assoluto, ieri convinto della guerra per necessità contro il nazifascismo, Ingrao si è posto fuori dall’eredità diessina del Pci, di cui era fedelissimo fino a sostenere l’Urss nell’azione in Ungheria nel 1956, pronto allo strappo congressuale per il dialogo interno ma poi pronto a votare l’espulsione dei dissidenti del Manifesto. Contraddizioni e paradossi, ma soprattutto passioni perché Ingrao è stato riferimento per intere generazioni di giovani di sinistra. Ieri, a Città della Scienza, la presentazione del libro con l’autore e l’occasione per una riflessione sul passato e sul presente con Antonio Bassolino e Guglielmo Epifani, segretario della Cgil. Con Bassolino ed Epifani l’editorialista del Corriere della Sera, Paolo Franchi, e il direttore del Mattino, Mario Orfeo. Novantenne, Ingrao «dà lezione a quella parte minoritaria della sinistra che subisce la maledetta tentazione della violenza come strumento di battaglia politica», suggerisce Galdo. Per Bassolino, che fu tra i più vicini a Ingrao, «Pietro, al di là dell’affetto e delle strade che si sono separate, resta soprattutto un maestro». Bassolino si confessa: «È da lui che ho appreso la tecnica oratoria e ho imparato ad affrontare le piazze superando un problema che avevo sin da bambino». I ricordi arrivano alla Bolognina, la svolta che fece del Pci il Pds e che Ingrao non condivise. Bassolino, con Alfredo Raichlin, andò ad accogliere l’anziano leader di rientro dalla Spagna nell’estremo tentativo di convincerlo. «Ma Ingrao disse che ci avrebbe ancora pensato», ricorda il governatore. «Di chi è oggi Pietro Ingrao e per chi vota?», si chiede Galdo, che poi aggiunge: «Credo appartenga a tutta la sinistra e alla democrazia». Da analista, Paolo Franchi affronta i tormenti dell’uomo partendo da un errore che Ingrao non s’è perdonato: il giudizio sull’atteggiamento durante la repressione sovietica dei moti d’Ungheria. Infine Epifani, che traccia un profilo di Ingrao attraverso i paradossi: «Catapultato a 30 anni nella politica, lui che amava poesia e cinema, un uomo che piaceva alle masse ma che dà il meglio di sè da presidente della Camera. Insomma, un uomo che sa scegliere e sbagliare da solo senza farsi condizionare da apparato e da correnti». Per finire la provocazione di Galdo: «Ingrao dà lezioni a quella parte minoritaria della sinistra tentata dall’uso della violenza».

Intervista a Antonio Galdo

Come mai ha deciso di esplorare il mondo di Pietro Ingrao?
Ingrao è uno dei personaggi più interessanti e densi della politica italiana, sia per il percorso politico da direttore dell’Unità a leader di un’intera area della Sinistra italiana, sia per la sua straordinaria dimensione umana. Ingrao, prima di essere, dico con le sue parole, “preso a calci dalla politica per tutta la vita”, è un poeta, uno sceneggiatore, ha scritto “Ossessione” di Luchino Visconti, un ottimo giocatore di tennis.
In cosa si manifesta la sua straordinaria umanità?
In questo libro Ingrao mi ha confessato di aver provato qualcosa in più di una semplice tentazione a farsi monaco. Ci ha pensato, e molto seriamente. Soprattutto dopo le definitive sconfitte della sua parte politica, e i suoi dolori di un uomo che ha fatto, anche in questo libro, un limpido e radicale riconoscimento dei suoi errori. Errori, vorrei ricordarlo, comuni ad intere generazioni di dirigenti comunisti: nessuno di loro, però, ha mai riconosciuto con tanta chiarezza, come si evince in questo libro, gli errori della classe dirigente comunista e post-comunista.
Quali sono gli errori riconosciuti da Ingrao?
L’errore, con la “e” maiuscola, Ingrao lo ha fatto nel ‘56. All’epoca dirigeva l’Unità e, su indicazione di Palmiro Togliatti, che lo considerava il pezzo più pregiato di una nuova generazione di dirigenti comunisti, scrisse un articolo di fondo in favore dell’invasione dei carri armati sovietici in Ungheria, dove il popolo tentava di ribellarsi alla sopraffazione del regime comunista sovietico. Ingrao sbagliò, ed oggi ha l’onestà intellettuale di ammetterlo, riuscendo ad andare anche oltre la semplice autocritica.
Oggi qual è la sua posizione sull’invasione comunista dell’Ungheria?
Secondo Ingrao i comunisti italiani nel 1956 avrebbero potuto dire “no” alla violenza del regime di Mosca e con quell’atto sarebbe cambiata la storia della Sinistra europea. Quindi, come vede, l’errore è giustamente rimarcato da Ingrao con la “e” maiuscola.
Ingrao mette in guardia anche sui rischi della lotta armata. Nel suo libro mi sembra di capire che per lui “il fine non giustifica più i mezzi”?
Ingrao è modernissimo e attualissimo rispetto ad un rischio di lotta armata che lui vede in alcune frange minoritarie della sinistra italiana. Ingrao è un pacifista, e in questo libro archivia Lenin e si avvicina a Gandhi, arrivando ad affermare, per dirlo con le sue parole, “Ecco la nuova stella polare deve essere questa: un pacifismo assoluto”.
E rivolge anche un appello alle nuove generazioni per invitarle alla non violenza.
Sì, una delle cose più interessanti, è proprio l’appello che lui rivolge ai giovani della Sinistra italiana che si può riassumere nello slogan “mai più violenza nella lotta politica”. Un appello molto attuale visto ciò che sta accadendo con gli esprori proletari ed un clima che nel Paese si è fatto molto pesante.
A chi consiglia la lettura di questo libro?
Ai giovani, a chi ha una passione e può trarre insegnamento dalla parole di un uomo che ha speso una vita per i suoi ideali. E ha perso. E oggi è un “compagno disarmato”.