lunedì 13 dicembre 2004

Giappone/Cina
il riarmo giapponese: un'altra mossa per la guerra preventiva che vuole Bush?

Repubblica 13.12.04
LO SCENARIO
Il governo Koizumi rivede la dottrina strategica: Pechino è la minaccia
Giappone, la Difesa non è tabù "Il vero nemico ora è la Cina"
Il documento rispecchia la nuova politica estera e di sicurezza nipponica
Il ministero degli Esteri cinese ha definito il piano "irresponsabile"
di FEDERICO RAMPINI

TOKYO - Washington applaude, la Cina grida al riarmo giapponese: a nessuno è sfuggita l'importanza del nuovo piano quinquennale per la difesa varato dal governo di Tokyo, un netto cambiamento di rotta rispetto alla tradizione pacifista del paese dopo la seconda guerra mondiale. Per la prima volta in un documento ufficiale il Giappone indica esplicitamente una «minaccia cinese» contro cui attrezzare la difesa nazionale. E ne trae le conseguenze: con questo piano quinquennale dà il via alla costruzione di un sistema di difesa anti-missile (in cooperazione con gli Stati Uniti), crea una forza di rapido intervento e potenzia la sua capacità aerea a lungo raggio.
Il piano strategico messo a punto dal governo e approvato dal Parlamento in questi giorni è l'ultima tappa di una trasformazione che il premier Junichiro Koizumi ha impresso alla politica estera e di sicurezza del Giappone. Non a caso l'approvazione di questo piano ha seguito di pochi giorni l'annuncio che il contingente di 600 militari nipponici resterà in Iraq per un altro anno: dopo che per mezzo secolo il Giappone aveva evitato di mandare truppe all'estero, l´intervento in Iraq in appoggio all'Amministrazione Bush è un altro "strappo" rispetto all'interpretazione letterale di una Costituzione che prevede solo l'uso difensivo delle proprie forze armate. Lo stesso Koizumi peraltro persegue da tempo il disegno di una revisione costituzionale che elimini alcuni vincoli e restrizioni al rafforzamento militare del suo paese. Questi cambiamenti strategici, approvati dagli Stati Uniti, sono motivati con la nuova situazione internazionale: la fine della guerra fredda, il graduale alleggerimento della presenza americana in Asia, l'emergere di una potenza economico-militare della Cina sempre più influente, e infine l'imprevedibile Corea del Nord. Al tempo stesso, la nuova dottrina strategica giapponese coincide con una rinascita dello spirito nazionalistico, che lo stesso Koizumi sottolinea con le sue visite annue al tempio Yasukuni dedicato ai caduti del seconda guerra mondiale (inclusi alcuni noti criminali di guerra). Si inserisce in un clima "revisionista" in cui i manuali scolastici a Tokyo vengono riscritti per giustificare l'imperialismo giapponese in Asia negli anni 30, suscitando proteste in Cina e in Corea.
Il nuovo piano quinquennale non rappresenta un boom di spesa militare, anzi il budget della difesa viene tagliato del 3,7%, a 233 miliardi di dollari. Ma la razionalizzazione della spesa si accompagna a una profonda revisione degli obiettivi. Diminuisce di 5.000 unità il numero di soldati, ma viene istituita una forza di rapido intervento di 15.000 uomini con divisioni di paracadutisti e reparti di elicotteri in grado di essere dispiegati rapidamente su teatri lontani. Viene modificato l'embargo sulla vendita di armi all'estero, in modo da aprire la strada a una stretta collaborazione tecnologica con l'apparato bellico americano: i giapponesi potranno fornire tecnologie avanzate al Pentagono, con l'obiettivo di costruire insieme agli americani il nuovo dispositivo anti-missilistico, che guarda alla Cina e alla Corea del Nord come ai due possibili fronti caldi del futuro. È previsto l'acquisto di aerei-cisterna per il rifornimento in volo, che diano all´aviazione militare nipponica la capacità di intervenire a lungo raggio: a breve termine questo dovrebbe servire nel caso si rendano necessarie azioni contro gli arsenali nucleari della Corea del Nord. Ma è la minaccia cinese che spicca come la vera novità, resa esplicita nel documento strategico di Tokyo: «La Cina - vi si legge - ha un grande impatto sulla sicurezza di questa regione. La Cina sta accelerando il rafforzamento delle sue attività nucleari e missilistiche, modernizza la sua flotta e la sua aviazione, espande il raggio d'intervento delle sue risorse navali. Dobbiamo vigilare su queste mosse».
Il mese scorso un sottomarino nucleare cinese è penetrato nelle acque territoriali del Giappone, creando una notevole tensione tra i due paesi. Tensione che non si è veramente sciolta, perché la Cina ha espresso solo «rincrescimento» senza presentare scuse formali, e pochi giorni fa si è resa protagonista di altri due sconfinamenti. Per i giapponesi queste vicende confermano che la Cina sta affermandosi come una potenza marittima sempre più invadente in Asia, anche per effetto di uno sviluppo economico travolgente, che porta Pechino a voler difendere rotte di esportazione e di approvvigionamento verso il resto del mondo.
William Breer del "Centre for Strategic and International Studies" di Washington ritiene che «il Giappone sta aprendo gli occhi di fronte all'ascesa della potenza cinese, che avrà effetti sugli equilibri militari in tutta l'Asia. D'altra parte lo stesso Giappone non si sente più condizionato dalla propria storia. È deciso ad adeguare il proprio dispositivo militare alle nuove minacce potenziali». Le reazioni cinesi sono dure. Il ministero degli Esteri di Pechino ha definito il nuovo piano strategico giapponese come «completamente irresponsabile e privo di fondamenti». Il portavoce del governo cinese Zhang Qiyue ha detto che «per ragioni storiche gli indirizzi strategici delle forze armate giapponesi sono una questione estremamente sensibile». Il direttore degli studi giapponesi all'Accademia delle Scienze Sociali di Pechino, Gao Hong, parla di una «corsa al riarmo». Lu Guozhong, un altro esperto cinese presso l'Istituto di studi internazionali di Pechino, dice ad alta voce quel che pensano molti suoi connazionali, e cioè che «il Giappone è in cerca di alibi per ri-militarizzarsi».
ed ecco cosa diceva il cardinale Ruini pochi giorni fa:
Avanti! 9.12.04
Ruini: dalla Cina il vero pericolo per la religione

L’offensiva laicista contro il cristianesimo? Il fondamentalismo islamico e il terrorismo che ha generato e ha scatenato in giro per il mondo? Tutte minacce da non sottovalutare, certo, ma non sono quelle che preoccupano di più. Bisogna invece guardarsi da quel che succede in Cina e che potrebbe propagarsi per il mondo. Per il cardinale Camillo Ruini la vera sfida arriva dalla “Tigre cinese”. Lo ha spiegato a chiare lettere qualche giorno fa, prima del viaggio in Cina del presidente Ciampi che tanto sta facendo discutere. L’occasione? A ricordo della sua prima messa celebrata cinquant’anni fa, quand’era semplice prete ordinato di fresco, il cardinale ha fatto ritorno per un paio di giorni nella sua diocesi natale di Reggio Emilia. E lì, il 23 novembre, ha espresso una “summa” del suo attuale pensiero sulla Chiesa e sul mondo, con proiezioni sul prossimo futuro. Ruini è vicario del Papa per la diocesi di Roma e presidente della Conferenza episcopale italiana. Il suo pensiero ha quindi un peso speciale nel determinare gli indirizzi della Chiesa, anche in vista d’un cambio di Papa. Tra le considerazioni più urgenti, appunto il giudizio sulla Cina. Poiché in questa civiltà la religione ha un ruolo minore e ignora la fede in un Dio personale, Ruini prevede che essa non aiuterà, in Occidente, un rafforzamento dell’identità cristiana – come oggi avviene con l’Islam – ma all’opposto un suo indebolimento. Che la Cina sia tenuta d’occhio, per così dire, dalla Santa sede, non è cosa nuova. L’agenzia “Asianews” da sempre monitora e denuncia la situazione e ora lancia un nuovo allarme. Esiste un documento segreto elaborato nel maggio scorso dal Dipartimento di propaganda del comitato centrale del Partito comunista cinese (Cpc), nel tentativo di frenare la crescita costante di religione e spiritualità fra i cinesi. Particolare attenzione è rivolta “ai giovani e ai vertici del partito”, i settori in cui si registrano molti casi di conversione. Il governo presta una particolare attenzione ai mezzi di comunicazione, con un riferimento preciso ad Internet, il “canale privilegiato per diffondere l’ideologia marxista”. Esso rappresenta una “nuova risorsa” per “moralizzare” i giovani, i maggiori utenti della rete nel paese. Nel mese di ottobre, durante un vertice sulle religioni a Pechino, il governo ha ribadito che “non bisogna avallare leggi basate sulla mentalità occidentale, perché “le condizioni in Cina sono speciali”. Infatti, per Pechino la libertà religiosa non è un diritto innato della persona, ma una concessione dello Stato. Il documento, segreto e distribuito ai soli membri del partito, è giunto in occidente attraverso membri del Partito contrari alla politica ateista del governo. Esso è stato diffuso dal sito canadese di “The Voice of the martyrs”. Il documento è diviso in otto punti. Per prima cosa viene sottolineato l’importanza di una maggiore ricerca, educazione e diffusione dell’ateismo marxista per frenare la crescita delle organizzazioni di culto, della scienza e della superstizione. Nell’ottica marxista è di estrema necessità “eliminare ogni fatuità e superstizione” e rimpiazzarla con le norme e i dogmi del “pensiero scientifico”. Al popolo vanno insegnati “i processi generali di sviluppo della società umana” in modo che sia il popolo stesso a “fondare la propria cultura sui principi del marxismo”. Per raggiungere tale scopo è necessario educare le persone alle “scienze naturali” in modo che possano riconoscere i principi ispiratori “dell’universo, i principi della vita, le regole dell’evoluzione e rapportarsi correttamente ai fenomeni naturali, alle catastrofi, alla vita, alla morte, alla nascita e alle malattie”. Un aspetto particolare riguarda la cura e la salute fisica, che va favorita aiutando il popolo a “vivere una vita sana, a svolgere attività fisica e a trovare momenti di svago”. Anche la salute, lo sport e il tempo libero devono rifarsi ai “principi ispiratori” dell’ateismo marxista e “alle sue direttive pratiche” fornite dai membri del partito. La superstizione, la cabala, la tradizione e la religione vanno estirpati dai vertici della dirigenza e dai giovani perché ritenuti dannosi. Per realizzare l’obiettivo bisogna creare appositi dipartimenti e centri di ricerca per permettere alle persone “dotate di talento” di approfondire gli studi negli “istituti di ricerca atei-marxisti e nei dipartimenti universitari”. Ma la diffusione del marxismo soprattutto deve servire a rafforzare la leadership al potere: i membri del partito devono “diffondere la cultura materialista e atea e devono diventare un modello da seguire per tutto il popolo”.