giovedì 20 gennaio 2005

Corriere della Sera 20.1.05
Tra inconscio e realtà
GLI SCHERZI DELLA MEMORIA
di Gillo Dorfles


Forse molte persone hanno avuto occasione di sperimentare quello strano fenomeno che consiste nel fatto di "vivere" una determinata situazione, assistere a un evento, trovarsi in un luogo, come se fosse una cosa già vista. Si tratta di quel fenomeno del "dejà vu" così ben analizzato a suo tempo dal grande Bergson (nel suo libro L'énergie spirituelle) e che viene giustificato dal filosofo come se si trattasse di uno sdoppiamento percettivo: ricordare quanto si è appena percepito; dunque è un "ricordo del presente" o anche un "falso riconoscimento". (Un fenomeno, oltretutto, molto analogo a quell'episodio narrato da Goethe, - e che con termine scientifico viene definito "autoscopia" - quando, andando a spasso a cavallo, vide venirgli incontro l'immagine vivente di se stesso, poi tosto scomparsa: altro esempio di "falso riconoscimento").
Sappiamo bene che la nostra memoria è pronta a giocare di questi e di ben altri brutti tiri; a cominciare dal dilemma tra la "memoria di rievocazione", ossia il ricordo di eventi lontani nel tempo, a una "memoria di fissazione" relativa a fatti o nozioni appena accaduti e già svaniti (non solo nel caso di demenze senili).
Ma non è certo di questi dati del nostro sistema mnemonico che intendo occuparmi, dato che si tratta di nozioni ben note e più volte discusse; quello che, invece, è forse meno noto e che concerne altri meccanismi della nostra attività mentale e persino creativa, è la presenza di altre due peculiari tipologie mnemoniche: una memoria "esplicita" - cosciente, "verbalizzabile", che costituisce la storia autobiografica del soggetto; e, per contro, una "memoria implicita" che si riferisce alla prime esperienze infantili per cui non è né cosciente né verbalizzata, dunque preverbale e presimbolica, e costituente un nucleo inconscio non legato alla rimozione; ma tale da poter influenzare il futuro evolversi della personalità del soggetto condizionandone il comportamento e magari le potenzialità creative e artistiche.
Di questa dicotomia mnestica ragiona, con il consueto acume, lo psicanalista (ma soprattutto cattedratico di neuroscienze) Mauro Mancia nel suo recente saggio Sentire le parole (Bollati Boringhieri) dove questa duplice memoria viene analizzata, non solo da un punto di vista neurologico (la ancora imperfetta maturità di strutture necessarie per una memoria rimotiva: ippocampo, corteccia temporale, ecc.) ma da un punto di vista psicanalitico che giustifica la presenza di ricordi non "rimovibili" in quanto non ancora coscienti. Ricordi, oltretutto, che possono risalire anche al di là della stessa primissima infanzia, addirittura a quella fase prenatale nella quale: "gli psicolinguisti attribuiscono molta importanza alla voce materna memorizzata dal feto".
E, sia detto per inciso - perché non identificare proprio in questa fase il verificarsi di quell'"imprinting" linguistico che, secondo Chomsky, verrebbe a costituire la base prima della capacità "innata" di apprendimento del linguaggio infantile?.
Ma non è solo l'aspetto che riguarda l'apprendimento o meno della parlata che merita di essere analizzato quanto il fatto - secondo Mancia - che i ricordi dell'epoca dominata dalla memoria implicita non possono essere rievocati, perché troppo sprofondati nel magma dell'inconscio; e non possono pertanto neppure subire una rimozione attraverso una manovra (psicoanalitica) che ne metta in luce elementi rimossi come avviene per i ricordi della memoria esplitica.
Eppure - ed è qui che il fenomeno appare più conturbante e passibile di contrastanti interpretazioni - tale ricordo - non cosciente, non rimovibile neppure attraverso l'analisi - è tuttavia in grado di agire anche a lunga distanza di tempo, diventando l'artefice di potenzialità espressive, creative; ma anche, ovviamente psicogene e di difficile "manovrabilità". In questo modo: "La creatività umana appare come un ri-creare collegato alla memoria implicita (e quindi all'inconscio non rimosso) la quale non è passibile di ricordo, ma può essere rappresentata nell'attività creativa".
Può esistere, insomma, una doppia memoria: quella dei nostri ricordi e quella dei "non ricordi", che possono però continuare a "lavorare" nei recessi della nostra mente e a un certo punto "reclamare i propri diritti". Il che peraltro non toglie che questa attività creativa e artistica una volta rimessa in gioco possa essere tutt'altro che di indiscusso valore: gli scherzi della memoria implicita possono mettere in circolazione anche immagini tutt'altro che esteticamente accettabili!
Non intendo certo soffermarmi più oltre sui molti affascinanti "casi clinici" che l'autore riporta e che, di per sé, meriterebbero di trasformarsi in altrettante trame di vite romanzate (come quella di una signora che, avendo sbaragliato le resistenze della sua memoria implicita, si era inaspettatamente rilevata scultrice); ma per quanto riguarda i meccanismi e i risvolti della nostra memoria credo davvero che una maggior consapevolezza degli stessi potrebbe giustificare molte avventure e disavventure della nostra esistenza e permettere di renderci conto fino a che punto la consapevolezza dei meccanismi psicogeni, da un lato, e delle architetture neuronali dall'altro, possa essere in grado di chiarire il rapporto, da sempre oscuro e criptico, tra l'attività simbolizzatrice e creativa dell'individuo e la presenza di precoci traumi in quell'area della nostra memoria (implicita) che costituì il primo (inconscio) e inesplorabile nuleo della nostra attività cognitiva.