mercoledì 23 febbraio 2005

burn-out

psicologia. 1
IL BURN-OUT E LO STRESS DA SUPERLAVORO IN UNA RICERCA CONDOTTA SUL PERSONALE DELLA ASL NAPOLI 5
Corto circuito della sfera emotiva
di Maria De Martino

Una ricerca-azione sul fenomeno del burn-out, è stata progettata e condotta sul personale di due distretti della Asl Napoli 5 da Maria De Martino psicologa, psicoterapeuta, nell’ambito della sperimentazione e ottimizzazione di un modello di organizzazione del lavoro. Obiettivo del progetto contribuire alla: motivazione e valorizzazione delle competenze e delle disponibilità professionali ed umane degli operatori.
Lo studio è in linea con quanto contenuto nel piano sanitario regionale 2001-2003 (punto 5.4): (...) la giunta regionale attiverà, nel primo anno del triennio di validità del Piano sanitario regionale, un programma di monitoraggio dei livelli di disagio e malessere psicologico del personale dipendente del Ssr, con particolare riferimento alla sindrome del burnout, senza esclusione di alcuna categoria e figura professionale. Sulla base delle risultanze di tale studio verranno promossi progetti aziendali tesi ad offrire al personale opportune strategie di prevenzione e gestione delle situazioni e condizioni che maggiormente si rileveranno causa del fenomeno. La ricerca-azione, inoltre si raccorda e contribuisce all'analisi delle fasi pratiche per il rilevamento e la valutazione dei fattori di rischio. Tra i rischi per la sicurezza e la salute degli operatori sono stati considerati quelli trasversali organizzativi tra i quali i fattori psicologici.
Per spiegare il Burn-out voglio partire con le parole dette da una operatrice dell’area sanitaria alla psicologa alla quale si era rivolta per avere una consulenza: «Quando cerco di descrivere agli altri la mia esperienza, uso la metafora della teiera: come una teiera, ero sul fuoco e l’acqua bolliva; lavoravo sodo per gestire i problemi e fare del mio meglio. ma dopo vari anni l’acqua era tutta evaporata e tuttavia io ero ancora sul fornello: una teiera bruciata che rischiava di spaccarsi...»
Burnout: è una parola che evoca l’ultimo guizzo di una fiamma, di un guscio vuoto e consunto, di ceppi morenti e ceneri fredde e grigie. la nostra operatrice prova adesso proprio quello che tali immagini esprimono con tanta chiarezza. ella in passato era alimentata dalla fiamma del suo coinvolgimento con altre persone; entusiasta, piena di energia, impegnata disposta a dare tanta parte di se stessa per gli altri. e infatti ha dato, e poi dato, fino al momento in cui non è rimasto più niente da fare. la teiera era vuota.
Il burnout, è un fenomeno che colpisce sia aspetti “professionali” che “privati” di coloro che operano nei servizi socio-sanitari (attività lavorativa che richiede un impegno emotivo). La sindrome del burnout è caratterizzata dalla caduta emozionale nell’esercizio della professione, da un rapporto interpersonale spersonalizzato e da una ridotta realizzazione di sé: come prevenzione della salute degli operatori è, dunque, anche importante cogliere il nesso tra il lavoro e la vita psicologica della persona.
Eziologia del Burn-Out
L’eziologia del burnout si riferisce al logoramento di un macchinario a seguito di un uso ripetuto. una metafora utilizzata per rendere il termine inglese è quella di cortocircuito, secondo la quale l’operatore è cortocircuitato. Quindi esiste un circuito in cui due conduttori sono stati messi in contatto erroneamente: l’operatore e la organizzazione del lavoro in una determinata struttura (servizio o distretto); oppure che è sovraccarico e che pertanto il dispositivo ha smesso di funzionare” (Contessa, 1982).
Come scrive Labos, nel 1987 «quando il senso e l’efficacia del lavoro non sono più influenzabili dalle capacità e dall’impegno dei singoli professionisti, vuol dire che qualche guasto è anche nei meccanismi organizzativi. Il servizio in questione va allora studiato come si esamina un circuito elettrico, per vedere dove l’energia si disperde o dove un contatto improprio fa scintilla». Le conseguenze del “cortocircuito” a mio avviso sono gravi a tre livelli:
1) A livello degli operatori, che pagano il cortocircuito in termini personali, anche attraverso somatizzazioni (mancano dati sulle malattie professionali degli operatori che operano nel sociale e nel nostro caso nel socio-sanitario)
2. a livello degli utenti, per i quali un contatto con operatori in cortocircuito, risulta frustrante, inefficace o addirittura dannoso;
3. a livello sociale, per la comunità del territorio in generale, che vede svanire fonti di investimento nei servizi socio-sanitari.
Una malattia contagiosa
Un altro presupposto da cui sono partita è che il cortocircuito è una malattia contagiosa. Esso procede da un membro dell’equipe ad un altro, dall’equipe agli utenti. Pertanto la sindrome non è affatto una questione personale, di chi ne è affetto, ma riguarda anche «l’organizzazione dei servizi».
Il burnout è un fenomeno diffuso tra gli operatori delle aziende sanitarie; professionisti quali: psicologi, medici, infermieri, assistenti sociali, ecc. a contatto con utenti appartenenti a quelle che sono definite, dal nostro sistema sanitario regionale, "fasce deboli" e cioè bambini a rischio socio-sanitario, anziani, tossicodipendenti, la nuova utenza dei servizi di salute mentale e gli utenti della riabilitazione; ma non solo per es. pensiamo agli operatori che lavorano in un reparto di oncologia pediatrica etc.
La verifica nei distretti
Attraverso la ricerca-azione, nella Asl Na 5, ne è stata verificata la presenza ed il grado tra gli operatori di due distretti sanitari, i quali sono maggiormente esposti al rischio di “bruciarsi”, considerata la loro costante ed intensa«relazione di aiuto» con una utenza particolarmente disagiata. E’ all'interno dell'organizzazione di questi servizi che gli operatori sono maggiormente stimolati a manifestarne i sintomi, ed è più facile arrivare sia a coglierne i fattori di rischio, che a mettere in atto le relative misure di prevenzione.
Il filo conduttore, di tutto il presente studio, è che vi è una stretta relazione tra processi, strutture e impegno nel lavoro, pertanto, a partire dai risultati della ricerca-azione, vengono esplorati due possibili approcci al problem solving.
Il modello teorico
La ricerca-azione fa riferimento al modello teorico tripartito sul burnout, integrando ai fattori individuali, quelli organizzativi e politico-sociali che intervengono tutti nelle genesi del burnout.La letteratura sul burnout è densa di modelli ed interpretazione dei fenomeni ad esso collegati. A questo proposito, Farber (1983 a) riferisce che nel 1982, in un convegno su stress e burnout nelle professioni di aiuto, si stabilì che esso poteva essere visto: (...) non tanto come espressione di un disagio soggettivo, ma come risultante di una azione sinergica di fattori individuali, fattori relativi all'organizzazione del lavoro e fattori determinati dal contesto politico-sociale. Il burnout è dunque ascrivibile ad un modello tripartito, integrato dei tre fattori sopraelencati” (Del Rio, 1993).
Fattori individuali
Gli studi di C. Maslach e Ayala Pines (1977) si collocano in una prospettiva psicosociale individuando tre fattori individuali nella sindrome di burnout: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e autorealizzazione. tali fattori sono alla base del test m.b.i. dagli autori sviluppato, applicato in diversi ambiti professionali e utilizzato anche nella presente ricerca.
Un contributo importante nella genesi del burnout, legato a fattori individuali è quello offerto da Fischer in chiave psicoanalitica: l’autore fa notare che solo alcuni operatori, e cioè tra quelli che idealizzano il lavoro, sono realmente soggetti al burnout.
Per un convegno organizzato dalla società scientifica di analisi transazionale, (torino 1998) restando in una prospettiva psicoanalitica, attraverso i contributi teorici delle “relazioni oggettuali” della Klein e della Mhaler), ho approfondito, i fattori individuali predisponenti il burnout, interpretandoli in chiave analitico-transazionale, individuando il gioco psicologico "dell'operatore dal cuore bruciato». Tale prospettiva, per la sua complessità è stata qui solo accennata. Tornando alla metafora «dell’operatore dal cuore bruciato», devo dire mi è stata ispirata dal capitolo sulle metafore del burnout contenute nel lavoro di Gianni Del Rio e sta a significare che se vogliamo rispondere alla domanda di quale operatore è più incline al burnout, alcuni autori indicano, a colpo sicuro: «Coloro che sentono dedizione ed impegno». è proprio questo sentirsi impegnati nel cercare di dare risposte ad un’utenza sofferente che può spingere nella trappola del burnout.
Vi è un consenso generalizzato da parte di tutti gli autori sul fatto che i soggetti a rischio di burnout sono proprio quegli operatori empatici, sensibili, umanitari, idealisti, altamente entusiastici, ma anche suscettibili di identificarsi fortemente con l’utente.
Tra l’altro, Del Rio, nel suo lavoro, riporta uno slogan, in un seminario sul burnout, che così recitava: «per esserti bruciato devi aver preso fuoco» ed io aggiungo: «devi esserti infiammato».
Sulla stessa copertina di “Burnout il costo del prestare cura” di Cristina Maslach del 1982 è raffigurato un cuore che brucia.
Lavoro e senso del valore
Tra i mezzi che un essere umano utilizza per costruire e mantenere il senso del proprio valore e della propria identità il lavoro è uno dei più importanti; amando e lavorando egli risponde al bisogno fondamentale della propria esistenza di creare, ossia di dare luogo, a sua volta, a nuove esistenze. Del resto anche Freud afferma che la capacità di amare e quella di lavorare sono i segni di una buona salute psicologica dell’individuo.
A quelli che soffrono per il burnout spesso è consigliato di ridurre il loro coinvolgimento nel lavoro, di sforzarsi di meno e di sviluppare altre forme di impegno e di interesse nella loro vita.
(Cherniss, Krantz, 1983a) suggeriscono […] che questo consiglio non solo è sbagliato ma, probabilmente, aumenta il burnout potenziale […].il processo di burnout inizia, pertanto, non con lo stress, ma con la perdita dell’impegno e dell’intento morale nel lavoro
Il contesto lavorativo
Per quanto riguarda i fattori legati al contesto lavorativo e all'organizzazione, posso accennare sinteticamente a due prospettive: quella di Farber, (1983b) e di Hackman e Oldham (1980). Farber distingue fattori connessi al ruolo e fattori connessi al setting organizzativo. All'interno dei fattori connessi al setting organizzativo, egli opera una ulteriore distinzione tra fattori generali, identificabili in qualunque contesto di servizi alle persone, e altri specifici, di una particolare area di intervento e di un certo setting.
Queste due prospettive sono state integrate, e abbiamo individuato una serie di fattori organizzativi che intervengono nella genesi del burnout, appositamente per la ricerca. abbiamo raggruppato tali fattori dando origine ad un questionario che abbiamo chiamato a.c.o.: analisi del contesto organizzativo.
Il contesto sociale
Alcune discrepanze esistenti tra le varie parti della legge di riforma (ispirata nella sua prima parte a un modello di organizzazione del lavoro sistemico-organicistico e quindi funzionale) e nella seconda a un modello di tipo meccanicistico (e quindi strutturale), hanno costituito un fattori di sicura importanza nella genesi del burnout tra gli operatori, dal momento che come dice la olivetti: «I modelli organizzativi non esistono di per sé , al di là e al di fuori delle persone, ma sono anche interiorizzati e su di essi vengono strutturati i modelli comportamentali e relazionali degli operatori stessi».