mercoledì 23 febbraio 2005

storia
la Roma dei papi: un «puttanaio»

La Stampa TuttoLibri 19.2.05
Le fallofore in conclave nella Roma del Seicento
Anacleto Verrecchia

A quanto pare la Roma papalina, che alcuni rimpiangono, era un enorme lupanare. Si dirà che le altre città, ad esempio Londra o Venezia, non erano diverse. D’accordo, però a Roma c’era il papa, il Vicedio o luogotenente del Padreterno, il cui compito era semmai quello di redimere l’umanità e non quello di diffondere la puttaneria. A meno che i papi non seguissero alla lettera le parole di Cristo: «Le meretrici vi precederanno nel regno dei cieli». E se le fallofore hanno la precedenza sulla via del cielo, è giusto che l’abbiano anche sulla terra. Del resto, se la prendono comunque. Le cose si misero male, per le puttane di Roma, quando, con il nome di Alessandro VII, fu eletto papa il senese Fabio Chigi, il quale aveva il gusto per la pederastia, tanto che Gregorio Leti, l’autore di Il puttanismo romano, lo chiama «inclito sodomita». Molti diranno che un pizzico di pederastia non guasta mai, come la salvia e il rosmarino. Ma Leti c’informa che in quell’epoca la corte papale era un vero giardino di Epicuro, dove tutti veleggiavano con il vento favonio, quasi che il papa senese vi avesse operato una vera e propria transvalutazione di tutti i valori in chiave sessuale. Le fallofore, poverine, facevano magri affari, perché erano pochi quelli che bussavano alla porta tradizionale, se così posso esprimermi. Che fare? Ci voleva un papa che non sbagli porta e che sia di esempio anche per gli altri. E qui Gregorio Leti, nato a Milano nel 1630 e morto ad Amsterdam nel 1701, ha un’idea diabolica. Sentite. Siamo nella Roma della seconda metà del 1600. Il pontefice Alessandro VII è in fin di vita e la grande batteria di cardinali e di prelati è in subbuglio per la successione. Ma trovare una figura pulita in mezzo a quel drappello di porporati era come trovare funghi in Arno. A questo punto entrano in scena le puttane, le quali si riuniscono in conclave per sceglierlo loro il degno successore di Alessandro VII.
Diavolo d’un Leti! Di tutti gli attacchi fatti alla Chiesa questo è uno dei più devastanti, perché il sarcasmo uccide più di qualsiasi altra arma. Le puttane vogliono rifarsi dei danni «patiti in dodici anni di pontificato per l’introduzione dell’arte sodomitica, con la quale era affatto distrutta la loro mercanzia, con notabil detrimento dell’umana propagazione». Un libro di grande attualità, come si vede; ma siccome non vorrei essere accusato di partigianeria, metto le mani avanti e dichiaro di essere ascetico, quindi al di sopra delle diatribe sessuali. Vorrei solo aggiungere che oggi quelle fallofore se la caverebbero sicuramente meglio, perché, in caso di necessità, potrebbero sempre farsi eleggere al Parlamento come Cicciolina. A muovere lo sdegno dell’autore è, più ancora del puttanesimo, il nepotismo, cui è dedicata la seconda parte del libro. Si tratta di un dialogo tra Pasquino e Marforio. L’opera procede su tre binari: il primo di polemica anticattolica e contro la dissolutezza della corte papale; il secondo, altrettanto sarcastico, sulla divisione sociale delle donne in categorie; il terzo sulla piaga del nepotismo. Il resto, al lettore. Due parole, ora, sulla figura di Gregorio Leti, che Lichtenberg chiamò sarcasticamente «Leti Cacalibri» per l’enorme quantità di carta scritta. Doveva vivere, il disgraziato, con la penna. La sua vita errabonda ricorda un po’ quella di Giordano Bruno. Anche Leti, infatti, nipote di un vescovo ed educato dai gesuiti, fu costretto ad abbandonare l’Italia e a rifugiarsi all’estero. Prima a Ginevra, dove si fece calvinista, poi in Francia, a Londra e infine ad Amsterdam. Il suo temperamento battagliero lo rese inviso a cattolici e a protestanti. Molti italiani, per sfuggire all’Inquisizione, si rifugiarono all’estero e si fecero calvinisti o protestanti, per poi accorgersi che gli uni valevano gli altri. Il male non era nelle varie confessioni, ma nel cristianesimo come tale, vale a dire nel monoteismo. Un dio unico è geloso del proprio potere e si comporta come quelle piante, per esempio il noce e l’eucalipto, che non lasciano crescere nient’altro intorno a sé. Di qui le guerre di religione e le stragi in nome del buon Dio. E non parliamo dell’Inquisizione, che fece più vittime delle pestilenze e depauperò intellettualmente l’Italia.