La Stampa 23 Febbraio 2005
ALTO MEDIOEVO E CULTURA: UN CONVEGNO A TORINO SFATA UN PREGIUDIZIO
L’intellettuale al servizio dei barbari
di Walter Pohl
SI può parlare di intellettuali nell'alto medioevo? Ma che cos'è un «intellettuale»? Le Goff ha il vantaggio della chiarezza, e dà rilievo alla figura del «maître à penser» in un'accezione molto francese della figura dell'intellettuale pubblico, da Abelardo e Alberto Magno a Sartre, Lévy o Bourdieu. Ma il problema terminologico è generale: c'erano nazioni, stati, vita privata, individui nell'alto medioevo? Oppure si tratta solo di proiezioni moderne? Se ci rendiamo conto del pericolo di trasporre punti di vista anacronistici dalla nostra epoca al passato, è lecito parlare di intellettuali nell'alto medioevo.
Il disprezzo delle attività culturali altomedievali è stato modificato nel frattempo da vari studiosi, tra cui Pierre Riché, Giovanni Tabacco, Rosamond McKitterick e Armando Petrucci. I circa 7000 manoscritti di età carolingia non erano solo pie opere di penitenza o oggetti preziosi mai letti (come i classici della letteratura rilegati in pelle di maiale con caratteri d'oro esposti sugli scaffali di tante famiglie e mai toccati). Al contrario, i manoscritti sono prova di una diffusione attiva del sapere anche nei cosiddetti secoli bui e anche fra i laici. Forse non definiremmo intellettuale Everardo del Friuli, potente aristocratico franco, ma nel testamento lasciava in eredità ai figli un gran numero di libri.
Meglio dunque una definizione sperimentale, più ampia, dell'intellettuale altomedievale: persona che si dedica all'accumulo e alla diffusione del sapere, e fa parte di una rete di scambi. Elemento ulteriore: la relazione dell'intellettuale con il potere, per godere di sostegno per le proprie attività culturali, o per influenzare decisioni politiche secondo ragionamenti intellettuali. Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi vissuto in pieno secolo VIII, proveniente da una vecchia famiglia longobarda di Cividale, fu educato per una carriera ecclesiastica, fu precettore nella corte longobarda e poi attirò l'attenzione di Carlo Magno. Gran parte delle sue opere nasce dal contesto franco e dall'interesse degli intellettuali legati al progetto politico-culturale carolingio. La cultura ecclesiastica dava luogo a studi vari, certamente non solo religiosi, le corti regie e ducali del secolo VIII erano anche centri di diffusione del sapere. Paolo fu un intellettuale vicino al potere per trarne vantaggi: non siamo dunque distanti dagli intellettuali dell'antichità o del rinascimento. Qualcosa era cambiato dall'età classica, quando la paideia corrispondeva ancora con un valore d'alto prestigio. Facilitava l'integrazione dei ceti dominanti dell'impero con valori e pratiche culturali comuni. Se il giovane intellettuale aveva successo, il patrono poteva procurargli un posto di rilievo nell'amministrazione imperiale. Procopio, Agazia, Giovanni Lido o Corippo provenivano dai ceti medio-alti delle province. Erano, in un gioco di parole di Michael Maas, «civil savants», quindi: civil servants, impiegati dello stato, e allo stesso tempo savants, studiosi.
Non fu un collasso l'avvento dei governi barbarici. I potenti aristocratici della Gallia del V secolo continuavano la loro vita raffinata, come dimostrano le dotte corrispondenze di Sidonio Apollinare. Un santo, Lupicino, è davanti al re dei Burgundi. Il re lo chiama falso profeta perché aveva annunciato la caduta della civiltà romana nella regione. Lupicino risponde che la giustizia sarà amministrata da barbari, coperti di pelli, che opprimeranno i poveri. Una situazione paradossale perché proprio l'asceta è barbuto e vestito con stracci sporchi, mentre il re gli sta davanti con vesti preziose e circondato da un seguito raffinato. Il barbaro risponde al santo con una lunga disputatio dotta: l'arrivo dei barbari era avvenuto per volontà divina come punizione per i peccati dei Romani.
Nella prima metà del VI secolo il re ostrogoto Teodorico affidava l'amministrazione in gran parte ai vecchi ceti dominanti con tradizionali incarichi pubblici. Esponente di spicco ne era il senatore Cassiodoro. La raccolta delle sue lettere di stato, le Variae, dimostra come si potesse continuare a governare con tutta la raffinatezza burocratica romana al servizio di un re barbarico \. Dopo la sua emarginazione, Cassiodoro cercò un luogo distante da tutti i centri politici per istituirvi la sua utopia di erudizione cristiana. E se l'esperimento di Vivarium non ebbe un successo durevole \ più persistente fu la tradizione monastica avviata, sempre nel VI secolo, da Benedetto da Norcia. Ma quei monasteri non erano contro-mondi lontani dal potere nasceva la figura del monaco-intellettuale, spesso consigliere del potere. I monasteri irlandesi ed anglosassoni costituivano centri intellettuali ambiziosi in cui si formarono due dei sapienti più importanti del secolo VIII, Beda e Alcuino.
Giocavano un ruolo chiave anche i vescovi, nella Spagna visigota del VII secolo Isidoro di Siviglia produsse una grande sintesi del sapere classico e cristiano. Nascevano dinastie vescovili fiere della loro «buona famiglia», della loro origine senatoriale e della loro erudizione. Intorno al 500 tre vescovi diedero un'impronta ai regni di Gallia: Cesario di Arles influenzò la politica ecclesiastica nel regno dei Visigoti; Avito di Vienne ebbe rapporti stretti e dialoghi sofisticati con due re dei Burgundi; Remigio di Reims avviò la conversione di Clodoveo, re dei Franchi. Alla fine del VI secolo Gregorio di Tours e Venanzio Fortunato, Gregorio Magno e Secondo di Trento, uomini potenti colti e un po' blasé, si consideravano intellettuali loro stessi, e avevano scelto carriere ecclesiastiche, mentre il potere politico cadeva nelle mani delle nuove élites militari di origine barbarica.
Si potrebbe leggere questa svolta come una spinta voluta, come un esperimento culturale. Le generazioni tra tardo IV e primo VII secolo si staccavano dai vecchi canoni letterari, troppo legati a uno stile di vita aristocratico ormai considerato presuntuoso, e cercavano nuove forme di espressione più in sintonia con l'intera comunità dei cristiani, gli intellettuali continuavano ad aggregarsi seguendo linee di forza create dai nuovi poteri, militari ed ecclesiastici. S'indebolisce il carattere urbano, laico, civile, civico delle attività intellettuali, che si aprono ai «rustici», alle chiese e ai monasteri, alla corte regia, all'aristocrazia guerriera. Per noi, intellettuali post-illuministi, la cultura altomedievale che nasce da queste trasformazioni è ben più incomprensibile di quella classica, o di quella delle università tardomedievali e degli umanisti. Ma, se li guardiamo attentamente, possiamo osservare che in fin dei conti quegli intellettuali altomedievali non erano così diversi di noi.
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