mercoledì 23 febbraio 2005

sinistra
Rifondazione e i suoi alleati dopo l'intervista di Bertinotti di ieri

il manifesto 23 Febbraio 2005
REAZIONI CONTRADDITTORIE NEL CENTROSINISTRA ALL’INTERVISTA IN CUI IL SEGRETARIO HA APERTO A BUSH: E’ LA SUA «PRODIZZAZIONE»
Dalla lotta al «governo», Bertinotti sposta Rifondazione

ROMA. E dopo il Prodinotti, brillante neologismo il cui copyright appartiene ad Antonio Del Pennino, repubblicano schierato col centrodestra, adesso arriva la prodizzazione di Bertinotti. Che ha fatto il segretario di Rifondazione comunista? Interrogato dal «Corriere della Sera» sulla svolta di Bush, e sull’apertura di credito a Bush di Prodi, D’Alema, Rutelli e Fassino, ben più rilevante sugli equilibri interni dell’Unione, ha dato un sostanziale via libera e addirittura riabilitato Sharon. «In lui è avvenuto un cambiamento: era l’uomo di Sabra e Chatila, ma oggi compie una scelta che lo espone allo scontro con l’ala più integralista del suo Paese e del suo stesso partito».
Qui va detto, per inciso, che coraggio Bertinotti ne ha quanto e più (fatte le debite proporzioni, naturalmente) di Sharon, poiché la sua abbastanza deflagrante dichiarazione sopravviene a meno di due settimane dal congresso del partito che dovrebbe sancire l’alleanza stabile, ancorché invariabilmente critica, tra Rifondazione e l’Ulivo. Tant’è che, da Bruxelles, un peso da novanta dei movimenti, Vittorio Agnoletto, gli fa la lista della spesa: «Non entro nella polemica, ma faccio notare che Sharon continua a costruire il muro in Palestina, nonostante le richieste Onu di smantellamento. Si ritira da Gaza, ma continua a costruire in Cisgiordania. E attua il vero apartheid: il dispiegamento militare attorno a Gaza».
Indignato «perché Sabra e Chatila non si toccano», un pasdaran della sinistra come Paolo Cento non batte ciglio: «Bertinotti sta compiendo il definitivo passaggio di Rifondazione da forza di lotta a forza di governo». Un passaggio non compiuto, e certo non può esserlo se non dopo il congresso al quale Fausto il Rosso si presenta col 60 per cento dei consensi sulla carta, ed è dato dagli esperti rifondazionologi almeno al 57. Per capirlo, bastava guardare proprio ieri mattina il quotidiano del partito, «Liberazione», che titolava un fondo a due colonne in prima con un bel «Rifondazione sarà radicale, o di governo?». Con tanto di punto interrogativo finale, come si vede.
Chi non ha dubbi, ovviamente, è il fratello-coltello separato, il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto. Per il quale «si può benissimo essere forza di governo restando se stessi» (la citazione è autobiografica). Diliberto precisa di «non voler polemizzare, perché ognuno fa di stesso quel che vuole, ma certo c’è uno slittamento progressivo e inarrestabile di Bertinotti verso Prodi, Rifondazione solo un anno fa era un’altra cosa». Complimenti a Prodi, pare dire Diliberto. Ma certo il coraggio di Bertinotti, non è cosa nuova: nell’arco degli ultimi diciotto mesi c’è stata infatti la scelta non-violenta, poi la scelta di un patto organico con l’Ulivo, leggi Prodi. Ancora, durante il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta, l’equiparazione del terrorismo alla guerra. Infine, la presa di distanza dalle frange più radical movimentiste, consumata con la rottura con Nunzio D’Erme, che pure era stato eletto in Europa, ma che in Europa non è andato.
Quanto a Sharon, Diliberto non crede «affatto che sia cambiato, ma che stia cercando di applicare una politica di pace sì, attuata tuttavia con la costruzione di un muro. E speriamo che funzioni, almeno». Chi si indigna davvero è il filosofo-politico Gianni Vattimo: «È una follia. Prima Prodi che sdogana Bush, e i diesse che finiscono sullo sdoganamento continuo: mi attendo, per domani, un plauso alla Cia. Adesso ci si mette anche Bertinotti». Cosa c’è che non va, è evidente: «Quando un partito si prepara a diventare forza di governo è finito. Asor Rosa dice che, per queste mie considerazioni, io “non sono significativo”. E lui, chi rappresenta?». Interpellato, Asor Rosa non risponde. Nè su Bertinotti, né su Vattimo.

il manifesto 23.2.05
BERTINOTTI
L'ultima svolta del Prc
Intervista choc per stringersi a Prodi e accerchiare l'opposizione interna
A. CO.

ROMA. L'amministrazione Bush? «Non è quella di prima, è attraversata da pulsioni diverse, la sua sicumera è incrinata». Ariel Sharon? «Era l'uomo di Sabra e Chatila, ma oggi compie una scelta che lo espone allo scontro con l'ala più integralista del suo paese. E' bene incoraggiarlo pur mantenendo un occhio critico». E' un piccolo ma significativo strappo quello compiuto da Fausto Bertinotti con l'intervista pubblicata ieri sul Corriere della Sera. Lo stesso segretario e i suoi collaboratori si aspettavano reazioni più tumultuose, soprattutto all'interno di un partito arrivato alle soglie del congresso. Non ne sono quasi arrivate, o sono rimaste allo stato di un disagio pubblicamente non espresso, forse proprio perché il congresso incombe. La mozione del segretario esce vincente dalla fondamentale fase precongressuale. Ha preso più del 59% dei voti, contro il 26% della seconda mozione, quella dell'area detta dell'«Ernesto». I risultati non sono ancora definitivi e l'«Ernesto» contesta le anticipazioni dei bertinottiani. In ogni caso pare certo che il vantaggio del segretario sia superiore a quella vittoria di misura paventata alla vigilia del congresso. Forte di questo successo, Bertinotti arriva alle assise deciso a sbaragliare l'opposizione e a premere l'acceleratore a tavoletta sulla nuova strada imboccata. Si spiega anche così l'intervista di ieri, che, a prima vista, sembrerebbe destinata ad aumentare le difficoltà della maggioranza.
Che Bertinotti sia convinto delle cose che ha detto è più che probabile. Le aveva in qualche misura anticipate persino nel corso dell'ultimo congresso, a Rimini, commentando con parole molto critiche la manifestazione di Roma nella quale alcuni partecipanti sfilarono travestiti da kamikaze. Ma in una momento come questo è difficile credere che Bertinotti non abbia valutato anche l'effetto politico delle sue dichiarazioni, sia all'interno del Prc che nell'Unione.
In parte il leader del Prc voleva certamente bloccare sul nascere un eventuale tentativo di dividerlo da Prodi facendo leva sulle differenti posizioni in materia di politica estera. Bertinotti ha tagliato corto definendo il saluto di Prodi a Bush «il guanto di velluto necessario nelle relazioni diplomatiche». Subito dopo, con la doppia apertura sulle possibili modifiche della politica americana e israeliana, ha dimostrato nei fatti che arrivare a una mediazione sul tema nevralgico della politica estera non è affatto pregiudizialmente impossibile. Non a caso il segretario della Quercia Fassino ha preso la palla al balzo e si è affrettato a dichiarare ieri che l'Unione riuscirà a realizzare un progetto di politica estera comune nonostante le posizioni diverse (incidentalmente smentendo così le incaute parole pronunciate un paio di settimane fa, quando disse a Porta a Porta che un eventuale governo di centrosinistra avrebbe avuto bisogno dei voti della destra sulla politica estera).
Probabilmente però il leader di Rifondazione guardava anche, se non soprattutto, ai futuri rapporti di forze all'interno del partito. Delle tre aree di minoranza, ritiene che la più pericolosa sia quella dell'«Ernesto», caratterizzata per alcuni aspetti da un maggior moderatismo rispetto a quello della maggioranza, per altri da una maggior rigidità.
Bertinotti mira ad accerchiarla e a sottrarle spazio, in parte puntando sulla minoranza di sinistra che fa capo a Gigi Malabarba e Salvatore Cannavò. Con quest'area Bertinotti ritiene che sia possibile mantenere un dialogo nonostante le diversità, possibilità esclusa invece per quanto riguarda l'altra minoranza di sinistra, quella trotzkista che fa capo a Marco Ferrando. Allo stesso tempo, Bertinotti intende togliere all'«Ernesto» il ruolo di capofila del dialogo con il resto dell'Unione, facendosene direttamente carico. Anche con iniziative come l'intervista choc di ieri.