domenica 20 febbraio 2005

da Lotta Continua alla madonna di Fatima
Paolo Sorbi, la coerenza per un uomo è tutto

una segnalazione di Sergio Grom

Corriere della Sera 20.2.05

IL PERSONAGGIO
Sorbi, da Lotta continua al Movimento per la vita e alla collaborazione con Radio Maria: dagli anni Settanta si leva un lezzo morale
«Le femministe guardino a Fatima e lottino per la vita»
Aldo Cazzullo

MILANO - Marzo 1968. Nella cattedrale di Trento il prete stava ammonendo i fedeli sugli orrori dell’Unione Sovietica, quando lo studente di sociologia si era alzato dall’ultimo banco e con la sua voce tonante l’aveva interrotto: «Non è vero!». «Era verissimo. Aveva ragione il prete, e torto io» dice ora Paolo Sorbi. Leader del Sessantotto cattolico, inventore dei controquaresimali, dirigente di Lotta continua, poi dal ’76 del Pci, oggi presidente del Movimento per la vita di Milano e braccio destro di Carlo Casini. Né autocritica, né pentimento, racconta; piuttosto, un’evoluzione. «Sono uscito dal Pci nell’88 proprio sui temi della bioetica e del rispetto della vita. Decisiva è stata la critica alla modernità elaborata da Wojtyla: al centro non c’è la liberazione ma l’antropologia, non la rivoluzione ma l’uomo. L’uomo intero, a cominciare dall’ovulo fecondato, cioè dall’embrione. L’embrione non va usato, neppure a fin di bene, pena cadere in un nazismo secolarizzato. Non ho esitazioni: tra monsignor Sgreccia e Giuliano Amato, scelgo Sgreccia. E farò campagna per l’astensione al referendum».
Sulla propria strada Sorbi ha trovato maestri e modelli. «Il primo fu Pierpaolo Pasolini. Voleva girare un film su Lotta continua, e Pietrostefani per sbolognarlo lo affidò a me, che ero militare. Così Pasolini venne a Napoli, con la sua giacca di pelle nera e gli occhiali scuri anche se era notte, nella caserma dov’ero di guardia, ma non lo fecero entrare. Mi diede appuntamento per il giorno dopo in un albergo di Pozzuoli. Io che avevo visto nove volte il «Vangelo secondo Matteo» lo guardavo adorante, lui mi incalzava: ma perché parlate sempre di rivoluzione? E l’aborto? E la vita? Perché non ne discutete? Tutte domande ortodosse, da inquisitore del Sant’Uffizio». Era verissimo, dice Sorbi, di aborto in Lotta continua non si discuteva; «ma non è un caso che oggi la riflessione nasca proprio da una di noi, Anna Bravo. Adesso attendo Franca Fossati: una donna della sua sensibilità non può tacere. Le nostre femministe furono le più brave a distruggere, e sono le più brave a ricostruire. Ma ora devono fare un altro passo: confrontarsi con la Madonna di Fatima. Avere il coraggio di andare alle radici della donna occidentale, ritrovare Maria di Nazareth».
Sorbi non si sente isolato nel suo percorso. Indica i suoi modelli nel mondo ebraico: Pierre Victor, alias Benny Lévy, il segretario di Sartre «tornato alla Torah come io sono tornato alla Bibbia», emigrato in Israele a creare con l’appoggio di Finkielkraut, Glucksmann e Bernard-Henri Lévy la fondazione Levinas; padre Bruno Hussar, il fondatore di Nevé Shalom, l’oasi della pace per ebrei e arabi; padre Dubois, domenicano tomista e preside della facoltà di filosofia dell’università di Gerusalemme. E poi «i neocon cristiani e il movimento americano pro life, in cui convivono Verdi ed evangelici. E gli stessi Cohn-Bendit e Sofri, con la loro riscoperta laica della centralità dei diritti umani».
Diffida invece dei rinnovatori del mondo cattolico: «Fin dal Medioevo, gli spiritualisti hanno avuto un ruolo molto ambiguo. Il loro moralismo li porta alla ricerca di un capro espiatorio, sovente trovato negli ebrei; mentre la Curia nella sua sapienza è stata rarissimamente antigiudaica». Per Sorbi la rottura di fine anni Ottanta è doppia, con il Pci, «che aveva rinnegato l’operaismo gramsciano per la cultura borghese e libertaria», e con la sinistra cattolica, «che continuava a parlare solo di solidarietà e non capiva l’allarme del Papa sul progresso incontrollato della scienza». Il Sorbi non più comunista fonda la rivista Bailamme con Mario Tronti e Bepi Tomai, ma si ritrova in minoranza anche lì. «Quindi incontro Carlo Casini e con lui comprendo meglio la lezione di La Pira. Poi Nini Briglia, già capo del servizio d’ordine milanese di Lc, allora direttore di Epoca , mi affida un’intervista a padre Livio, il fondatore di Radio Maria: una folgorazione».
Su Radio Maria Sorbi tiene tuttora due rubriche, sulla globalizzazione e sull’ebraismo; ha appena fondato una società di consulenze e vinto la cattedra di sociologia in un ateneo pontificio, l’Università europea di Roma. «Altro maestro è stato Augusto Del Noce, con cui avevo sostenuto un impari duello pubblico sul tema "cosa succede dopo la rivoluzione", in un teatro milanese pieno di ciellini, tra cui ricordo Formigoni. Poi incontro Buttiglione, che come filosofo è eccellente. E vado al Cairo alla Conferenza dell’Onu sullo sviluppo, dove affianco Navarro Valls, un grande, nelle conferenze stampa per spiegare la dottrina della Chiesa alle inviate dei quotidiani arabi, e racconto lo scontro tra le femministe occidentali e gli islamici: le giornaliste portavano minigonne mozzafiato, ma anche i mullah nei loro tabarri neri erano bellissimi».
Dagli anni Settanta, Sorbi sente ora levarsi «un lezzo morale». «La nostra generazione paga la sua ambiguità. Eravamo innovativi per la nostra modernità, ma tradizionalisti per la teoria. La nostra mente marxista era arretrata rispetto ai nostri corpi. Abbiamo fatto coincidere la lotta con la verità morale, e in questo modo abbiamo combinato anche disastri, come Primavalle. Mi è sempre piaciuta un’immagine di Sofri: gli anni Settanta come la corsa dei sacchi fatta da bambini, con la testa all’indietro per vedere la posizione dell’avversario, senza guardare dove si salta». Sorbi non ha rinnegato l’antica amicizia con il suo antico leader, ne parla con affetto e rispetto - «non era affatto antipatico, era autoritario come dev’essere un leader rivoluzionario», ma non ha partecipato alla campagna innocentista. «Il mio sogno è ritrovarlo, libero, in Israele, il luogo del ritorno alle radici, il punto cruciale del ripensamento. Ci rivedremo a Gerusalemme, e ci diremo tante cose, personali e politiche, guardandoci in faccia».