domenica 20 febbraio 2005

metamorfosi, al Mart

L'Unità 20 Febbraio 2005
Al Mart di Rovereto «Il Bello e le bestie», un’intrigante rassegna su metamorfosi, mutazioni e sul rapporto tra uomo e animale
Centauri, sfingi, sirene: l’arte incantata dalle bestie
Paolo Campiglio

Prima che nelle metope del Partenone l’esperienza visiva e concettuale del centauro è per alcuni della mia generazione nella Medea di Pasolini, dove rappresenta miticamente il sacro, la saggezza magica antica contrapposta alla dissacrante esperienza di Giasone, che del sacro crede di beffarsi, emblema, nel teorema pasoliniano, di una società, quella italiana degli anni sessanta, che ha saputo tradire e dimenticare le proprie origini. Ma la figura è indubbiamente alla base della storia dell’arte occidentale e ha la funzione per l’uomo greco di «memento», di un passato irrazionale sacro, o di un assoluto naturale, eroico e ferino, che nella lotta della società razionale può sempre risorgere.
Quell’ archetipo della cultura occidentale è alla base della mostra in corso al Mart di Rovereto, a cura di Lea Vergine e Giorgio Verzotti incentrata sulle ibridazioni tra uomo e animale, sul concetto di metamorfosi. Si tratta di un’imponente mostra tematica che attraversa i secoli, i generi e le interpretazioni che i curatori hanno organizzato enucleando due costanti di massima, quali appunto, l’alterità (termine ormai abusato nell’arte contemporanea) che contempla una lettura del mondo animale e dell’ibrido dai vasi greci a Mattew Barney secondo la logica dello straniamento o allontanamento temporale; e la prossimità, che interpreta la confluenza come metamorfosi ancora possibile o in atto e perciò carica di inquietudini. Si tratta evidentemente di macro aree, compresenti, ad esempio, nella mentalità dell’uomo antico: tali polarità prevedono al loro interno frequenti sfumature. Appartengono, infatti alla prima parte della mostra le sezioni che contemplano l’assoluto naturale (il centauro e il satiro) e quelle dedicate alle figure della «natura matrigna» (sirene, sfingi, meduse). Fanno parte, invece, della seconda parte le sezioni che comprendono la deformazione e la mutazione, l’inconscio e la visione, la lotta dell’umanità contro l’animalità, e l’insorgenza dell’animalità nell’umanità, la linea della morale e della critica sociale, e, infine, il fantastico e il grottesco. Allargando a macchia d’olio il proprio raggio di analisi, la teoria finisce per perdersi forse in sterili distinzioni e distinguo, ma sono le opere a bilanciare il pericolo di un’ esposizione un po’ sommaria , rimandando al corposo catalogo (Skira) ogni ulteriore approfondimento.
E il percorso inizia con l'idea di lotta tradizionalmente associata ai centauri, come espressione di un «assoluto di natura» in alcune opere emblematiche di Böcklin, con Lotta di fauni (1889) e Lotta di centauri (1894) di Von Stuck, con altri importanti testi pittorici di Klinger e De Chirico, erede della linea tedesca, che pongono in luce la violenza gratuita e irrazionale; mentre ai satiri o ai mostri appare affidata una simbologia più connessa alla sfera sessuale, come il Minotauro accarezza una dormiente di Picasso nelle grafiche della Suite Vollard (1933): spesso gli artisti hanno associato una visione arcadica a sirene e centauri come ancora nelle tele di Von Stuck di delicate atmosfere o nell’omaggio di Ontani al pittore tedesco. Ulteriori emblemi attraversano l’occidente, nel proseguo della mostra, come quello della sfinge, immagine di morte incarnata da una figura ibrida femminile, qui rappresentata da due acquerelli di Moreau, o il minotauro, simbolo dell’istinto non governato dalla ragione, che tanto ispirò i Surrealisti, qui anche in una bella terracotta di Arturo Martini; le sirene effigiate in splendidi vasi greci dapprima come ibridi col corpo di uccello, poi con quello di pesce, simbolo della seduzione del fascino femminile, rivisitate nel celebre e sensuale Bacio della sirena (1895) di Klinger e Sirena alla luce della luna piena (1940) di Delvaux fino alla dissacrante Sirena-gnomo di Jeff Koons; non poteva mancare il tema della Medusa, che nella scultura degli anni Trenta in Italia, da Martini a Fontana ha una peculiare fortuna, tutta da indagare e non tanto connessa al ritorno dell’antico, bensì, come appare evidente nell’imponente Testa di Medusa (1948) a mosaico di Fontana (che riprende un modello presentato alla VII Triennale, 1940), come ipotesi moderna di arte per lo spazio architettonico.
La prossimità all’uomo della bestialità, il monstrum e l’ipotesi aperta di una metamorfosi uomo-animale (e viceversa) attraversa i secoli, con il caso emblematico della famiglia Gonzalvus nel XVI secolo, affetta da una curiosa patologia di peluria facciale, ma tocca soprattutto gli artisti contemporanei, in epoca di manipolazioni genetiche, nelle foto di Aspassio Haronitaki e Daniel Lee, o nell’immagine di Creemaster 4 (1994) Mattew Barney. Così, tra surreale, freudiano e grottesco è Savinio con I genitori ( 1931) in una linea che parte dal Simbolismo, con due celebri litografie di Redon, attraversa i bei disegni automatici di Tanguy e Masson per irrigidirsi nei Magritte del dopoguerra, fino alla metamorfosi dell’uomo-scimmia di Bacon, in mostra con tre tele emblematiche, tra cui Scimpanzé (1955).