mercoledì 9 marzo 2005

bullismo

Corriere della Sera 9.3.05
Il caso delle baby gang in un liceo di piazzale Loreto. Il professor Pellai: i ragazzini crescono convinti che la sopraffazione sia vincente
«Allarme bullismo, troppa violenza a scuola»
Uno studio della Statale: in aumento i casi di teppismo. Sotto accusa la famiglia e i professori

Gloria Pozzi

Non un caso isolato. Quello del gruppetto di quattordicenni al primo anno di liceo che per settimane ha umiliato e minacciato una decina di alunni che frequentano una scuola media nella stessa zona (Loreto) della città. Ragazzini che si trasformano in aguzzini; ragazzini che si ritrovano nel ruolo di vittime: «Un fenomeno ampiamente diffuso nelle scuole di ogni ordine e grado; un fenomeno certamente in crescita. Purtroppo», commenta Alberto Pellai, ricercatore dell’Istituto di igiene e medicina preventiva dell’Università degli Studi di Milano nonché autore di diversi libri (pubblicati da Franco Angeli) sui comportamenti a rischio degli adolescenti. Statistiche vere e proprie sul moltiplicarsi nelle scuole e per le strade delle situazioni che oppongono i bulli alle prede sostanzialmente non esistono: «Perché i numeri restano piuttosto oscuri, difficilmente monitorabili, occultati come sono dalla vergogna delle vittime e dal silenzio degli adulti», avverte il professor Pellai. Dedicando la vita a capire il «disagio dell’età evolutiva» ha però la netta percezione che «non c’è classe in qualunque scuola di Milano e del mondo che non viva il fenomeno di persecutori e perseguitati. Neanche alle elementari». Ed offre un esempio per tutti quelli che potrebbe fare: «Nessuno dei 400 ragazzini/ragazzine delle medie interpellati il mese scorso sulla violenza a scuola ha risposto che non sapeva di che cosa si stesse trattando. Chi ha ammesso di essere una vittima, chi di essere un bullo, chi di aver fatto da platea agli eventi».
Ma com’è che si moltiplicano i bulli e le vittime? Semplice quanto drammatica suona la risposta del medico esperto: «Perchè la cultura dominante propone modelli che enfatizzano il ruolo del potere e non quello del valore. Anzi, l’unico valore da perseguire è il potere, indipendentemente dagli strumenti utilizzati per ottenerlo. Giustificata la filosofia e le azioni dei più potenti, i bambini e i ragazzini crescono convinti che la sopraffazione è lecita».
E questo giustificherebbe i bulli. Ma perché le vittime non si ribellano? «Perchè hanno paura di peggiorare la propria situazione denunciando i soprusi. Temono di essere percepiti come spioni, se maschi come femminucce, e di non ottenere nessun miglioramento rivolgendosi agli adulti».
Già, gli adulti. «Che i ragazzi se la sbrighino da sé»: è la ricetta che quasi sempre propongono come soluzione al conflitto tra prepotenti e inermi. Adulti passivi, indifferenti, distanti, incapaci di stimolare «l’intelligenza emotiva», così come incapaci di sentire e di vedere. Adulti che avvalorano le azioni dei violenti in erba e che contemporaneamente fanno da deterrente alle denunce di chi l’azione di quei baby-violenti patisce. «Ed è così che il fenomeno del bullismo adolescenziale si cronicizza e si alimenta», dice Pellai, che tiene a sottolineare quanto il bullismo si esprima soprattutto in prevaricazione psicologica piuttosto che in aggressione fisica. «Il rubare la merenda sistematicamente a un compagno è classificabile come atto di bullismo».
Quali gli adolescenti più a rischio? Tra gli 11 e i 14 anni sembra che nessuno sia esente dal rischio di diventare vessatore o vessato: «I ragazzi che si ritrovano a fare i bulli partono di sicuro da una carenza di autostima, abbinata a un’enorme paura di ciò che significa essere o sembrare diversi rispetto agli altri: più bassi o più alti, più grassi o più magri... Perciò è sempre quello considerato una "pecora nera", quello cui non vorrebbero somigliare, perché non fa parte degli esempi degli spot tv e delle clip musicali, che finisce per essere la vittima».
Questa la diagnosi. E la cura? «Che gli adulti imparino a mettere in discussione la cultura del più bello e forte e potente, a non essere percepiti dagli adolescenti come i punitori, ma come qualcuno che è in grado di fare da garante delle regole per una convivenza consapevole stabilite insieme».