mercoledì 9 marzo 2005

l'omicidio rituale

L'Unità 9.3.05
L’omicidio rituale: una leggenda che ha fatto comodo nei secoli
Leggere per non dimenticare presenta il libro di Massimo Introvigne, proseguendo il filone magia, scienza e mito
Renzo Cassigoli

FIRENZE Cattolici, antisemitismo e sangue - Il mito dell’omicidio rituale. Con questo libro di Massimo Introvigne introdotto da Paolo Rossi Leggere per non dimenticare prosegue il breve ciclo sul nesso fra magia, scienza, filosofia e mito che si concluderà con il Tommaso Campanella di Germana Ernst. Il libro di Introvigne reca in appendice il “voto”, che il Cardinale Garganelli preparò per il Sant'Uffizio e fu approvato il 24 dicembre del 1759. Nel documento l’alto prelato (poi papa Clemente XIV) metteva in guardia i cattolici dal prestare fede a false accuse contro gli ebrei e presentava l’omicidio rituale come una leggenda metropolitana. Di cosa si tratta? Per secoli si è diffusa la cosiddetta “letteratura del sangue” secondo la quale gli ebrei, dovendo bere sangue cristiano, rapivano e uccidevano soprattutto i bambini. Muovendo dall’accusa, il libro insegue la storia, e le storie, in una serie di città che nei secoli hanno rappresentato altrettante tappe dei pregiudizi che colpiscono il diverso, lo straniero, colui che non rientra in quella che stabiliamo essere la norma. «Tuttavia - sostiene Introvigne - né la credenza dei vampiri né l’accusa del sangue possono essere spiegate con semplici richiami psicologici a paure ancestrali. Entrambe richiedono analisi di tipo sociologico». L’autore richiama quindi l’impostazione metodologica di Rodney Stark in tema di antisemitismo, secondo cui all’origine dei conflitti religiosi ci sarebbe la pretesa tipica del monoteismo di costituire l’unica vera religione. Il documentatissimo testo di Introvigne induce il lettore ad alcune riflessioni su aspetti che per venti secoli hanno segnato la chiesa cattolica nei confronti degli ebrei accusati di deicidio. Accusa che solo Giovanni XXIII ha cancellato dalla liturgia e che ha portato Giovanni Paolo II ad esortare la Chiesa a compiere quel «cammino di purificazione della memoria» a proposito delle relazioni con gli ebrei (e non solo, se si considera la richiesta di perdono per gli errori e i delitti compiuti, dalla strage degli Ugonotti alla Shoa). Sempre, nella lunga storia dell'umanità, ritroviamo il “capro espiatorio” che nel gioco di potere è individuato nel diverso, nell'estraneo, di volta in volta gettati in pasto alle folle quali responsabili delle carestie, delle pesti, delle catastrofi magari dovute alla guerra. Del resto il nazismo usò gli ebrei (poi sarebbe toccato agli zingari, agli omosessuali, ai malati di mente fino ai politici) come capro espiatorio della crisi di un paese sconfitto nella prima guerra mondiale (ma anche chi fu tra i vincitori si ritrovò con il fascismo). Il pregiudizio, insomma, non tramonta mai. Ancora oggi i nostri guai trovano un facile capro espiatorio nell'immigrato estracomunitario costretto a un disperante spaesamento causato da un modello di vita e di consumo che, diceva Mario Luzi, si alimenta della fame nel mondo.