L'Arena Mercoledì 9 Marzo 2005
«Il Lido è la nostra Croisette»
Marco Müller: la Mostra del Cinema di Venezia sarà più agile e snella
Il direttore: «Far vedere meno titoli farà senz’altro bene ai film perchè potranno essere visti con attenzione»
Un Festival non è solo una passerella di star, è innanzi tutto la proiezione delle migliori pellicole della stagione. Una Biennale itinerante nel Veneto? Non credo faccia bene al settore
Ugo Brusaporco
Incontriamo Marco Müller nel suo ufficio a Palazzo Giustinian sede della Biennale di Venezia. Ha appena posato una grossa valigia, è tornato da un lungo viaggio e sta partendo per Los Angeles, le sue assistenti lo informano degli incontri che dovrà fare con gli Studios e i produttori indipendenti americani. Pranzo con... cena con... riunioni alle... sembra un uomo d'affari, ed il mondo delle immagini in movimento sono un affare, un grosso affare. E lui, produttore acclamato e vincitore di Oscar, ora direttore confermatissimo della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia lo sa bene che il cinema è un affare e non solo un'arte.
Lo ascoltiamo dare le ultime istruzioni per delle rare pellicole nitrato da restaurare che devono arrivare dalla Cina, poi ci concede questa intervista.
La prima domanda non può che riguardare la Mostra, mancano circa sei mesi alla serata inaugurale, di titoli non si parla, troppo forte la paura della concorrenza, Cannes è alle porte e la corsa ai film è aperta, ma è interessante scoprire come sta oggi la Mostra e cosa ci sarà di diverso dall'ultima edizione. Marco Müller pesa parola per parola.
«Posso dire che innanzitutto, con profitto, la Mostra è uscita da una cura dimagrante che la rende agile e snella, in grado, quindi, di pantografare meglio le nuove tendenze d'autore, i fermenti delle avanguardie popolari e la possibilità d'incontro tra questi due ambiti di esperienze ed il mercato. Poi, naturalmente, corre meglio. È una Mostra che è già in corsa dopo un periodo autunnale passato ad ascoltare. Come il mio amatissimo collega Romeo Castellucci, direttore della Biennale Teatro, anch'io non ho potuto fare a meno di mettermi in ascolto per riuscire a sentire che cosa si stava affacciando di nuovo, in che direzione andavano i film portatori di rinnovamenti continui, sostanziali e, soprattutto, quelli capaci di credere davvero, nonostante tutto, al cinema, capaci di non tradirlo».
A questo proposito possiamo allora dire che i votanti del recente premio Oscar preferendo Eastwood a Scorsese abbiano scelto proprio un film portatore di quel rinnovamento di cui lei parla?
«Clint Eastwood e Martin Scorsese fanno parte entrambi di un'avanguardia commerciale. Non credo che "The Aviator" sia un film tanto più mainstream di "Million Dollar Baby". Il film di Scorsese rompe meno con i codici del cinema americano, Quello di Eastwood è un film di assoluta rottura. Ma non per questo Scorsese si chiama fuori da un discorso di autonomia espressiva e tematica che alcuni grandi registi americani si sanno ritagliare anche quando lavorano per le più grandi case con i più grandi budget».
Ha mai pensato di poter lasciare il Lido e portare la Mostra a Venezia?
«Lasciare il Lido? Voglio rispondere così anche ad alcune sgradevoli dichiarazioni di Dino de Laurentis: rivendico il fatto che il Lido è la nostra Croisette. Pensare diversamente a questo punto vorrebbe dire che il festival non si fa più a Venezia, che la Biennale non è più a Venezia. Non esiste in città, nemmeno all'Arsenale, uno spazio posizionato in modo da diventare il fulcro di un complesso di sale molto grandi, una location che dovrebbe consentire lo spostamento rapido di migliaia di spettatori da una sala all'altra. Soltanto al Lido esiste una logistica che consente di accogliere i grandi numeri di spettatori».
Quanto è importante la Mostra per il Veneto? E questa Mostra è una mosca bianca per il cinema nel Veneto?
«La Mostra diventa importante per il Veneto con la possibilità di mettere in rete quello che noi facciamo con quello che c'è di eccellente nel Veneto e di più nel Triveneto. Come scordare realtà come il "Visionario" di Udine e le altre atttività del Centro Espressioni Cinematografiche che organizza tra l'altro il Far East, uno dei festival di riferimento per i giovani. Come ignorare il lavoro in profondità che da decenni portano avanti Cinemazero e la Cineteca del Friuli e tutti i loro alleati in quello strepitoso cantiere di cinema che sono "Le Giornate del Cinema Muto". E tutto quello che succede a Trieste dove ormai si moltiplicano i festival diversificando la proposta, organizzandola su base continentale, areale», lo interrompiamo, spiegandoli che quello è il Friuli Venezia Giulia e che noi volevamo parlare del Veneto, lui allora riprende: «Restando in Veneto ... da una parte anche nel Veneto ci sono realtà di festival ed eventi notevoli da Conegliano ad Asolo. Attilio Zamperoni ha addirittura messo in piedi un ufficio dei festival veneti e organizzato pochi giorni fa un incontro tra i festival veneti per coordinarsi e meglio usare i potenziali finanziamenti comunitari. Per realizzare infine le attività permanenti della Mostra quello che ci interessa di più è soprattutto il rapporto più forte con Venezia e attraverso questo la possibilità di offrire, noi Biennale, parecchi contenuti nuovi all'Ufficio Cinema creando i presupposti per poi allargare nel territorio veneto la diffusione di opere acquisite all'Asac attraverso le nostre attività di recupero e restauro».
C'è la possibilità di portare poi in decentramento nelle città del Veneto i film della Mostra un po' come fa Berlino che porta i film a Roma o Locarno a Milano?
«Il cinema è fatto da persone che spendono un sacco di soldi per produrre i film e creare per essi circuiti di esportazione e sfruttamento. Un festival dunque serve a creare i presupposti perchè poi ci sia una vera diffusione commerciale dei film nelle sale. Per questo moltiplicare le proposte festivaliere vuol dire procastinare il momento in cui i film incontrano il vero pubblico, quello delle sale dietro casa o delle sale d'essai nei quartieri periferici. Quello del passaggio nelle sale è il tempo in cui il film comincia a vivere davvero. Per cui non ritengo giusto immaginare una Mostra a spasso per il Veneto. Quando sarà il momento, i film usciranno nelle sale: se abbiamo fatto bene il nostro lavoro, dovrebbero rimanerci a lungo».
Anni fa si pensava che il Mifed, allora prestigioso mercato mondiale del cinema, fosse pronto ad inghiottire la Mostra e portarla a Milano, ora con il Mifed in disgrazia si parla con insistenza di una Mostra pronta a farlo suo e portarlo a Venezia, cosa c'è di vero?
«La Mostra di Venezia ha bisogno di una struttura che serva agli interessi di chi produce i film, di chi li vende. Una struttura di servizio che possa coordinare le richieste dei possibili compratori sul modello dell'Industry Office di Toronto e di Locarno, quello fatto nascere da Laura Marcellino, la stessa persona cui è affidato il compito di farlo vivere a Venezia. Sempre più gli esportatori europei ci chiedono di far crescere questa struttura perchè diventi un primo embrione di mercato. Tendenza irrinunciabile. L'anno scorso abbiamo avuto un grosso incremento di compratori alla Mostra e non possiamo dire agli esportatori che a Venezia non troveranno i servizi e le strutture che servono a vendere i film».
Ci sono le strutture?
«Si, ci sono le strutture. Ci vuole la volontà politica e finanziaria anche a livello goivernativo, ci vogliono diversi partner privati. La combinazione giusta sarebbe far partire il progetto insieme alla Fiera di Milano ma non per far rinascere il Mifed nei limitati spazi del Casinò e in quelli limitrofi. Se si vuole a Venezia un mercato delle dimensioni del Mifed per ora non vediamo spazi consoni, dovranno proporceli. Per ora useremo gli spazi del Casinò, del Garden e dell'area antistante al Garden per avere un primo mercato che a titolo sperimentale potrebbe essere aperto solo agli esportatori europei. La forza di Cannes e Berlino è quella di essere festival selezionatissimi con un mercato dove trovi tutto l'esistente cinematografico prodotto in quel trimestre o semestre, e questo fa bene. Sapendo di poter vedere tutto o quasi tutto arrivano molti più compratori, di solito meno interessati ai film delle selezioni ufficiali o parallele che rispondono a criteri personali di poche persone».
Il Direttore del Festival di Berlino ha rinunciato all'ultimo momento ad un film perchè la protagonista Glenn Close non poteva essere presente alla proiezione, lei avrebbe fatto altrettanto?
«Un Festival non è solo una passerella, è innanzi tutto la proiezione dei migliori film della stagione. Non si può rinunciare ad un film soltanto perchè non hai abbastanza presenze glamour per presentarlo. Per molti anni Venezia ha fatto vedere i film di Woody Allen senza che Allen fosse presente alle proiezioni. Questo ha contribuito a costruire la sua reputazione, perchè i film erano veramente notevoli».
Come produttore ha portato il suo ultimo film "Sonze" capolavoro di Alexander Sokurov a Berlino dove non ha ricevuto il premio che meritava, lo porterebbe ancora in quel Festival sapendo come è andata?
«Era il festival giusto per quel film, non potendo portarlo a Venezia non avevo scelta, a Cannes sarebbe stato meno visibile. A Berlino, al di là dei premi, la stampa mondiale ha celebrato il film ed era quello che speravamo».
Quanto pesa la politica locale e nazionale sul destino di un Festival?
«Pesa tantissimo perchè i rapporti di forza legati alla politica di finanziamenti dei festival sono tutti a favore delle istituzioni nazionali e locali. Senza per questo postulare una subordinazione, senza cedere alle pressioni. È tuttavia importante avere un rapporto costante, trasparente e chiaro con quelle realtà istituzionali. Vale per Ministero ed Enti locali lo stesso rapporto che abbiamo con partner e sponsor privati. Lavoriamo in questo momento con Prada sulla politica di programmazione retrospettiva, sui restauri per la Mostra e le attività permanenti, teniamo Prada sempre bene informati perchè vogliamo che sappiano sempre cosa facciamo con i loro soldi».
Recentemente sono state rivolte al Presidente della Biennale, David Croff, accuse di essere politicamente di una parte contro l'attuale governo, lei come si sente rispetto a queste accuse?
«Mi sento come il Direttore che è stato accusato di essere un maoista, un servo di Forza Italia, un filo terrorista, un pupazzo nelle mani dell'attuale governo e via dicendo. Le etichette che ti possono mettere addosso non corrispondono che a fantasiose ricostruzioni di quello che poi uno sarebbe al di fuori del proprio lavoro. Noi ci definiamo nel nostro lavoro per la Biennale».
Avevamo iniziato parlando di una cura dimagrante, cosa vuol dire precisamente?
«I film della selezione ufficiale passeranno alla Sala Grande, anticipati al PalaGalileo per stampa e media e ripetuti al PalaTim per il pubblico. Alle sezioni autonome, Settimana della Critica e Giornate degli Autori, sarà dedicata la sala Perla. Questo porta ad un dimagrimento della selezione ufficiale da 76 a 60 titoli e delle parallele da quasi 30 a 20. Far vedere meno titoli farà senz'altro bene ai film perchè potranno essere visti con tutta l'attenzione che richiedono».
Per finire, possiamo sapere qualcosa sulla retrospettiva?
«Il titolo è: "La storia segreta del cinema asiatico", non ci saranno solo i film di genere ma anche i capolavori dimenticati o addirittura sconosciuti del cinema dell'estremo oriente. Non dimentichiamo che il cinema cinese compie 100 anni essendo nato nel 1905 e noi lo celebreremo con iniziative senza precedenti. Ci stiamo muovendo anche nella direzione più idonea per continuare il nostro lavoro in profondità sul cinema italiano e su quello fatto in Italia o coprodotto in Italia. Insieme alla Cineteca Nazionale siamo riusciti ad avviare il recupero di due film completi o in parte perduti di Orson Welles: Don Chisciotte e Il Mercante di Venezia».
L'intervista è finita, Marco Müller ha il carnet pieno tra incontri, progetti e...un appuntamento dal dentista. Anche i Direttori di Festival hanno un lato umano, Müller ne ha molti di "lati umani", tra questi apprezza il veronese amarone, ma chi preferisce tra Quintarelli e Del Forno?
«In passato: Quintarelli. Ora: Del Forno. Sono cambiati loro, non noi». L'intervista ora è finita davvero.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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