I «matti»
Una recente indagine ha rivelato che nel nostro Paese è in atto una evoluzione positiva dell'atteggiamento della gente verso la malattia mentale. Più informazione, contatti con i malati psichiatrici, migliore livello d'istruzione e sociale sono i fattori determinanti del cambiamento.I «matti» saranno sempre meno emarginati e stigmatizzati. Non tanto e non solo perché sta migliorando il trattamento della malattia mentale, quanto perché gli italiani diventano sempre più istruiti e benestanti.
Nel 1989 quasi la metà degli italiani riteneva opportuno ripristinare i vecchi manicomi. Oggi, ivece, ben il 96% giudica queste strutture più delle prigioni che degli ospedali.
Lo indica uno studio presentato all’ultimo Congresso Wpa dell'Associazione mondiale di psichiatria che, dopo aver toccato città come Yokohama o Vienna, quest'inverno ha fatto tappa a Firenze, raccogliendo quasi 7 mila psichiatri provenienti da tutto il mondo.
Sotto il coordinamento dell'Istituto di psichiatria della seconda Università di Napoli, una trentina di medici di base, hanno raccolto le opinioni, sulle malattie mentali gravi e l'assistenza psichiatrica, di varie centinaia di persone equamente distribuite fra Nord, Centro e Sud d'Italia.
Analizzando i dati raccolti fra uomini e donne di varia età, diversa estrazione sociale e differente livello culturale e professionale, gli psichiatri napoletani si sono così accorti che nel nostro Paese è in atto una evoluzione positiva dell'atteggiamento della gente verso la malattia mentale.
Oltre all'aumento dell'informazione e ai personali contatti con malati psichiatrici, i principali fattori in grado di facilitare l'accettazione dei pazienti psichiatrici nella comunità sono risultati il miglioramento del livello d'istruzione e di quello sociale.
Nell'1989, 48 italiani su cento ritenevano opportuno ripristinare la possibilità del ricovero negli ospedali psichiatrici.
Oggi, invece, ben il 96 per cento della gente giudica i manicomi più delle prigioni che degli ospedali. «Oggi la malattia mentale non è più un tabù - commenta il professor Mario Maj, presidente della Società europea di psichiatria e direttore del Dipartimento dell’Università di Napoli che ha condotto la ricerca - e l'atteggiamento degli italiani è più tollerante e disponibile: il 71 per cento, per esempio, riconosce a questi malati il diritto di votare, mentre 15 anni fa lo pensava appena il 20,6 per cento. Sono i loro bisogni affettivi a non essere ancora percepiti correttamente: il 40 per cento degli italiani pensa che i malati mentali non dovrebbero sposarsi e il 61 per cento che non dovrebbero nemmeno avere figli, soprattutto perché continuano a persistere preoccupazioni circa l’imprevedibilità di chi soffre di patologie psichiatriche, percepita come una minaccia».
Eppure, solo il 10 per cento dei comportamenti violenti in realtà è attribuibile a pazienti psichiatrici e, peraltro, soltanto alla limitata percentuale di quelli affetti da determinati disturbi.
Purtroppo queste convinzioni, risultate maggiormente radicate fra chi appartiene alla middle class, che ha figli minorenni, scarse informazioni sulle malattie mentali e principi di vita conservatori, continuano a rappresentare i principali ostacoli all'integrazione sociale dei pazienti psichiatrici di tutto il mondo.