domenica 15 maggio 2005

la sofferenza delle donne immigrate

L’Adige 13.5.05
Trento. In un convegno del Centro salute mentale analizzate le cause del disagio psicologico
Donne immigrate sole e «disperate»
Il 45% ha meno di 30 anni e cerca casa e lavoro
A. N.

«Salute mentale immigrazione»: questo il tema scelto per l'ultima serata del ciclo di incontri «Salute mentale, empowerment e cittadinanza attiva». Per parlare di un tema così complesso e così nascosto sono stati invitati assistenti sociali, psichiatri e delle donne, nella duplice veste di presidenti di associazioni per gli immigrati e nello stesso tempo protagoniste di un disagio vissuto in prima persona.
Nicola Pedergnana, assistente sociale del Comune di Trento, ha fornito dei dati interessanti: la presenza straniera nella nostra città è stimata al 4,7% sul totale della popolazione. La gran parte, oltre il 50%, sono donne e per il 45% si tratta di persone sotto i 30 anni. Successivamente sono intervenute Aicha Mesrar e Laura Ndrita, mediatrici culturali e presidenti rispettivamente dell´associazione Città Aperta e dell´associazione Amic, oltre a Nadia Kouliatina, presidente dell´associazione Agorà. Tutte hanno messo in rilievo la grande difficoltà in cui si viene a trovare una persona, soprattutto se sola, nel dover affrontare una serie di problemi fondamentali: la ricerca di una casa e di un lavoro.
«Vi è una forte tensione psicologica - ha affermato Aicha Mesrar - in quanto il contratto di lavoro è strettamente legato al permesso di soggiorno. Si tratta di persone con elevati titoli di studio che si trovano costrette ad accettare offerte di lavoro precario e pericoloso. Devono affrontare cambiamenti climatici ed adattarsi a diverse abitudini alimentari e culturali e senza una rete sociale e familiare di sostegno». Dai loro racconti è emerso che la famiglia è, in un certo senso, più protetta rispetto al single, ma i problemi insorgono quando i figli crescono e, giunti all´età dell´adolescenza, entrano in conflitto con la loro stessa identità. I ragazzi non si sentono né carne né pesce e non sanno cosa fare.
Le conclusioni sono state lasciate a Licia Scantamburlo, psichiatra e presidente del Gris (Gruppo di Immigrazione e Salute), che ha evidenziato le cause del fallimento del progetto migratorio. «Sono persone - ha affermato - che spesso devono vivere nella clandestinità, che perdono il loro status e ruolo e che si vedono negata la loro naturale esigenza di affettività e di sessualità. Spesso sono considerati come mera forza lavoro e nulla più».
Renzo De Stefani, responsabile del Centro di Salute mentale di Trento, ha affermato la necessità di fare di più per aiutare queste persone, anche perché ai servizi si rivolgono solo coloro che si sono già integrati e che hanno raggiunto una certa consapevolezza.