domenica 8 maggio 2005

il popolo sovietico, non Stalin, vinse la guerra

Il Mattino 8.5.05
«Stalin? Solo un simbolo: a vincere fu il popolo sovietico»
g.d’am.


Mosca. «Il 9 maggio 1945 fu una festa incredibile». L’accademico Sigurd Schmidt, figlio del celebre esploratore polare Otto, ricorda quel giorno di 60 anni fa come se fosse ieri. «Non si riusciva a riconoscere Mosca – racconta l’ottantrenne storico di fama mondiale, uno dei membri più influenti dell’intellighentzia russa -. Tutti si baciavano, si abbracciavano. Non si poteva quasi percorrere la Piazza Rossa. I reduci dal fronte e i tanti stranieri, soprattutto britannici, nostri alleati, venivano portati in trionfo. Noi studenti organizzammo una manifestazione che passò davanti alle ambasciate amiche, francese, inglese, americana. Certo per molti non era una festa: tante sono state le perdite».
Ben 27 milioni sono stati i morti sovietici: il doppio delle perdite di tutti gli Alleati. Che significato ha questa pagina nella storia russa?
«Enorme. La vittoria sul nazismo ha salvato il Paese dall’occupazione e dalla distruzione del suo patrimonio culturale. I piani dei tedeschi prevedevano di eliminare la cultura slava e russa dopo quella ebraica. Poi, in secondo luogo, abbiamo recuperato l’orgoglio perso: il ruolo dell’Urss è stato fondamentale nel trionfo alleato. Sono dispiaciuto che all’estero, ora, le nuove generazioni abbiano visioni diverse. I sovietici hanno liberato Berlino ed hanno sofferto più di tutti delle conseguenze della guerra. Per un breve periodo, circa un anno, l’intellighentzia, ritornata in patria dopo il conflitto, sperò in un nuovo corso, più liberale. Fu, però, un’illusione temporanea».
Stalin e la vittoria. Tante sono oggi le polemiche.
«Il suo fu un ruolo più psicologico che reale. In lui milioni di persone credevano. Era come un garante del successo. In realtà, Stalin era responsabile per non aver preparato il Paese alla guerra. L’avevano avvertito, ma lui fece eliminare i migliori quadri delle Forze armate. Dunque la vittoria fu del popolo sovietico. La guerra fu un enorme evento psicologico dopo la repressione. La gente era impaurita ed aveva perso la fiducia nel socialismo, che mostrava il volto del totalitarismo. Ma con la guerra, la difesa della patria venne posta sopra a tutto. Vi furono dei figli di ”nemici del popolo“, alcuni li conobbi io personalmente, che si fecero mandare al fronte per mostrare che la loro famiglia era composta da patrioti».
Ma non è in corso oggi in Russia una pericolosa revisione storica?
«In Russia si è giustamente tornati a parlare di Stalin. Per la generazione della guerra, per quelli che sono andati a morire in suo nome, Stalin ha rappresentato qualcosa di importante nonostante i suoi crimini».
L’accademico Afanasiev, uno dei promotori della perestrojka, accusa il potere di imporre una propria visione storica, basata sui concetti di nazione, slavofilia, ortodossia. Cosa ne pensa?
«Quella di Afanasiev è una visione legata a determinati circoli politici. In realtà dagli anni Ottanta in Russia si possono esprimere benissimo opinioni diverse da quelle ufficiali. E Afanasiev tranquillamente può pubblicare articoli contro Putin».