Il maestro che ingannava l'occhio
Tiziana Tricarico
«Un uomo non potrà mai esprimere fino in fondo attraverso l’immagine l’emozione che prova»: questo scriveva Maurits Cornelis Escher. Poi scoprì l’Italia, il suo paradiso. Soprattutto il Sud, dove rimase affascinato dalle influenze moresche. Questo legame profondo - acuitosi nei numerosi viaggi attraverso numerose città tra le quali anche Napoli - è testimoniato dalle opere raccolte nella mostra «Nell’occhio di Escher», la retrospettiva del grande maestro olandese (nato nel 1898 e scomparso nel 1972) che si è inaugurata ieri a Castel Sant’Elmo. Organizzata in occasione del primo centenario dell’Istituto olandese e ospitata a Roma ai Musei Capitolini lo scorso ottobre, l’esposizione presenta 100 opere dell’artista - xilografie (incisioni su legno) e litografie - provenienti dalla Fondazione Escher, da alcuni musei dei Paesi Bassi, come il Rijksmuseum di Amsterdam, e da collezioni private. Il percorso espositivo della mostra, curata da Federica Pirani e Bert Treffers in collaborazione con Lidy Peters (catalogo Electa), illustra l’attività dell’artista dalle prime esperienze grafiche fino alle opere della piena maturità. Figlio di un ingegnere civile, Escher inizialmente seguì le orme paterne distinguendosi in particolare nelle arti grafiche. Nel 1921 fece il suo primo viaggio in Italia, per una vacanza con i genitori: nel Bel Paese lui, artista introverso e cerebrale, trovò sollievo al suo «mal di vivere», la depressione. In Italia Escher visse a lungo, traendo ispirazione dalla natura e soprattutto dalle architetture. «Se la felicità di un uomo dipendesse dal luogo in cui vive rimarrei a Siena per tutta la vita» scriveva Escher, che nei suoi diari annotava qualsiasi cosa, dalla necessità di fare il bagno alle sigarette che aveva fumato. Non solo la Toscana era nel cuore dell’artista. Nel 1923, spostatosi a sud, precisamente a Ravello, nella costiera amalfitana, incontrò la pittrice Jetta Umiker che diventerà poi sua moglie. Escher assorbiva attraverso gli occhi tutto quello che di bello lo circondava. E la realtà riflessa nell’occhio dell’artista diventava visione. Grande viaggiatore, andava in giro per luoghi e paesi sperduti: che ricreava in forse astratte ed enigmatiche, che erano le sue chiavi di lettura del mondo. Davanti agli occhi del visitatore sfilano così le opere del ciclo della «Creazione», i paesaggi arroccati o a picco sul mare, le vedute notturne di Roma. E poi le atmosfere fantascientifiche di architetture concave e convesse, o modulate da continui «su e giù». Fino alla «Torre di Babele», mezzo per vedere le cose dall’alto e diventare il dio della creazione, ai multipli di animali incastrati come tessere di un puzzle, alle «Metamorfosi», ai «Serpenti», la sua ultima opera. E «Le mani che si disegnano», testimonianza della predilezione di Escher per quelle parti del corpo, per lui incapaci di mentire. In mostra anche alcune matrici, oggetti vari e un video sulla vita dell’artista. Affollatissimo il vernissage al quale sono intervenuti, tra gli altri, il Soprintendente Nicola Spinosa, Bert Treffers («Senza l’esperienza italiana Escher non sarebbe mai diventato Escher»), la direttrice di Castel Sant’Elmo Angela Tecce, quella del Museo di Capodimonte Mariella Utili, e del Museo di San Martino Rossana Muzii e l’assessore provinciale Antonella Basilico. L’esposizione, organizzata da Civita e promossa da Regione, Provincia e Comune (inserita nel Maggio dei Monumenti e nel circuito Campania Artecard), è stata prodotta dal Comune di Roma in collaborazione con la Fondazione Escher di Baarn, con il Reale Istituto Neerlandese a Roma e con l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi.
«Nell’occhio di Escher», Castel Sant’Elmo Napoli Aperta fino al 24 luglio.