il manifesto 20.5.05
La lunga marcia dei bambini
L'incredibile e misteriosa vicenda della «crociata dei bambini», marcia della morte di migliaia di piccoli invasati attraverso l'Europa e l'Italia verso un'irraggiungibile Terra Santa
Errico Buonanno
La storia delle crociate, che di recente è ritornata all'attenzione del gran pubblico grazie a mediocri casi cinematografici, è un cammino impressionante di orrori e fede, di fango e argento, d'ipocrisia e di onore, lungo il quale ci è dato di assistere all'ultima rappresentazione di quel medioevo europeo, splendente nei colori delle sue pitture, oscuro nelle notti della ragione, povero nella sua ingenuità d'ideali e favole, che da quel giorno in poi, forse, intraprende una fase differente per avviarsi lentamente verso un moderno disincanto. Quella delle crociate è una vicenda orrenda per intolleranza, calcoli e profitti, non solamente contro i mori: basti pensare a quella spedizione proclamata da Innocenzo III nel 1199 (la quarta, dopo altre due segnate da cocenti sconfitte), conclusasi con quel sacco di Costantinopoli con cui si umiliò e distrusse la cristianissima capitale d'Oriente in aiuto della quale si era, anni prima, scesi in campo; basti pensare alla crociata vergognosa contro gli Albigesi del 1208. Eppure, allo stesso tempo, questo fu a volte anche il teatro in cui venne rappresentato il massimo dramma di una religiosità quotidiana e miracolosa, una visione dell'universo in cui cielo e terra, testo biblico e realtà, venivano a congiungersi per rendere possibile, con la massima semplicità del mondo, l'incredibile.
È proprio in quest'ultima ottica che, tra le molte crociate minori e misconosciute che attraversarono il Mediterraneo accanto a quelle ufficiali, s'iscrive un caso straordinario e commovente; un episodio quasi non testimoniato dalle cronache dell'epoca, forse - come già ipotizzò Corrado Pallenberg - per la sua sconfinata fama, che lo rendeva anche superfluo da raccontare; forse, chissà, per il pudore dei cronisti davanti a una vicenda tanto tragica. Ci riferiamo alla «Crociata dei bambini», che prese il via nell'anno 1212 dalla Germania e dalla Francia, per poi concludersi in Italia con la scomparsa di decine di migliaia di ragazzi, tutti al di sotto dei dodici anni.
Una storia misteriosa
Per tessere le fila di questa storia inverosimile e per certi versi ancora misteriosa, dobbiamo affidarci a pochissime tracce scritte, a partire dai commenti lapidari degli Ellenhardi Argentinensis Annales: «Ed in quell'anno avvenne il viaggio degli stupidi bambini» e degli Annales Maurimonasterienses: «L'anno precedente se ne andarono i bambini, intenzionati a traversare il mare a piedi asciutti». Entrambi non dicono altro: dunque a che cosa, esattamente, si stanno riferendo? Quale evento inquietante si nasconde dietro queste affermazioni?
Per capirlo, ci viene forse in aiuto l'anonimo di Laudon: «Nel mese di giugno del 1212 un bambino di nome Etienne, del villaggio di Cloyes presso Vendôme, di mestiere pastore, diceva che il Signore, sotto la veste di un povero pellegrino, dopo aver ricevuto da lui del pane, gli aveva dato delle lettere da consegnare al re di Francia». Siamo ad un mese solamente dalla grande processione indetta dal papa per fomentare la quinta crociata. Non conosciamo il contenuto delle missive a cui fa accenno questa cronaca, carte che effettivamente Etienne possedeva e che voleva recare al sovrano, ma è probabile che si trattasse di una richiesta d'aiuto a re Luigi per organizzare una massiccia spedizione alternativa in Terra Santa e liberare quella Gerusalemme che il «feroce» Saladino aveva riconquistato già venticinque anni addietro.
Quello che è certo è che, in ben poco tempo, il piccolo Etienne riuscì a convincere un numero impressionante di bambini a unirsi a lui, per lo più disarmati, a piedi, e a partire tutti soli alla volta di Parigi e quindi del Santo Sepolcro. Matthieu Paris, nella sua Chronica Majora, ci riferisce di come «un certo fanciullino, che era fanciullo per età ma di costumi perversi», andasse in giro a predicare. «E un numero infinito di altri suoi coetanei, dopo averlo visto e udito, lo seguivano. I quali, come infatuati da un influsso diabolico, abbandonati i padri e le madri, le nutrici e tutti gli amici, andavano cantando allo stesso modo del loro pedagogo». Si dirigevano verso il mar Mediterraneo, volendo attraversarlo a piedi, convinti che, come davanti agli ebrei in fuga dall'Egitto, anche per loro il buon Dio avrebbe spalancato le acque. «E il loro maestro veniva messo su un carro adornato di palli, stipato di guardie del corpo...».
Questa fascinazione collettiva, che agli occhi dei contemporanei dovette certamente apparire opera satanica - ecco i bambini che, «rompendo le serrature e le pareti», lasciavano le case come nella tragica fiaba del pifferaio di Hamelin, di cui questo episodio fu probabilmente all'origine - era in realtà il frutto coerente di una cultura radicata saldamente in tutta Europa.
Il miracolo non era irrealizzabile
Il miracolo non era cosa irrealizzabile per un popolo bambino, e forse proprio a causa della scarsa purezza dei combattenti le ultime due crociate si erano rivelate misere trappole per topi per condottieri quali il Barbarossa o Riccardo Cuor di Leone, fermati entrambi da un destino avverso. A queste anime innocenti, invece, il Signore non avrebbe certamente lesinato i propri favori e, se già una volta aveva aperto il mare, non c'era ragione di credere che non l'avrebbe fatto ancora.
C'è poi da aggiungere che, proprio nella Francia settentrionale da cui quest'inquietante spedizione prese il via, sviluppatissimo era il culto dei Santi Innocenti, ovvero dei neonati trucidati nell'antichità da Erode durante la celebre strage, che già nel XII secolo la liturgia cattolica accettava pienamente, con festa il 28 dicembre. Durante questo giorno sacro, i bambini erano fra loro autorizzati ad eleggere un vescovo, l'episcopus puerorum, a rivestirlo della mitra e della stola e a portarlo in processione accompagnato da dei tamburini. Il vescovo dei bambini poteva celebrare messa e la sua carica durava, ad ogni effetto, per l'intero giorno. Non c'è poi dunque da stupirsi se al piccolo Etienne fu tributato questo stesso onore e se a migliaia furono pronti a riversarsi nell'immensa processione verso la città santa.
Contemporaneamente, qualcosa di analogo stava avvenendo, in luglio, tra alcuni giovani tedeschi. Leggiamo dalle Gesta Treverorum: «I bambini, giunti da tutte le città e i villaggi della Germania, come se fossero stati ispirati da Dio, si riunirono in alcuni luoghi e, raggruppati in torme, intrapresero il cammino verso Gerusalemme... Il duce e capo di questo viaggio era un certo Nikolaus, un bambino di Colonia, che portava sopra di sé un segno quasi di croce, avente la forma della lettera Thau e che doveva significare la sua santità». La croce a Thau era anche il segno che gli ebrei avevano tracciato con il sangue di agnello sulle porte di casa per scampare alla piaga della morte dei primogeniti (quindi ancora un segno d'innocenza riferito ai più piccini) e Nikolaus, come gli ebrei, era stato visitato da un angelo che gli aveva ordinato d'intraprendere la crociata.
Possiamo immaginarci questa scena straordinaria: decine di migliaia di bambini, di età e ceti diversi (Jacopo da Varagine ci dice che i più nobili erano stati costretti dai genitori ad essere almeno accompagnati dalle nutrici) diretti, in festa, verso le Alpi al suono di inni sacri, a cui man mano si aggiungevano giovani chierici, madri con neonati in braccio, mendicanti...
La storia delle due spedizioni è differente ma unita da un solo tragico destino. La crociata tedesca riuscì in effetti a valicare le Alpi, subendo perdite indicibili a causa del freddo, della fame, delle tremende insidie dei crepacci (da ventimila eran ridotti a settemila). Gli annali di Piacenza e di Cremona ci riferiscono del loro passaggio: «Un bambino di meno di dieci anni arrivò dalla Germania con una infinita moltitudine di poveri dicendo che avrebbe attraversato il mare senza navi». Giunti a Genova, pare che i piccoli crociati presero ad invocare l'aiuto di Dio presso la riva: pregarono, piansero, cantarono, ma il mare non si volle aprire. Fu così che la fede cieca per il giovane Nikolaus venne a scemare, ma a questo punto i più erano troppo stanchi e disorganizzati per ritornare facilmente a casa. Che cosa fare?
«Due navi da essi stessi noleggiate presero il mare; ma fino a ora non si sa se raggiunsero alcun porto né a quali regioni vennero trasportati». Fatta eccezione per questi dispersi, la maggior parte prese a vagare miserevolmente per l'Italia: «Alcuni morirono per fame e gli altri tornarono alle loro case in confusione» (il che vorrebbe intendere non indifferenti turbe psichiche). Molti divennero dei servi, le bambine furono stuprate. Secondo un'altra cronaca: «Gli altri che rimasero caddero in un tale stato di povertà che nessuno volle dar loro ospitalità. Perciò la maggioranza di essi giacque uccisa dalla fame nei vicoli e nelle piazze e non vi era alcuno che li seppellisse».
Ceffi senza scrupoli
Quanto ad Etienne, si sa che il re, a Parigi, non accettò di riceverlo. Giunto a Marsiglia con i suoi compagni, a stare a quel che ci racconta Alberico delle Tre Fontane, egli incontrò due ceffi senza scrupoli dai nomi non raccomandabili, Guglielmo Porco ed Ugo Ferro, che si offrirono, per la gloria del Signore, di trasportarli in nave gratis fino in Terra Santa. «Riempirono con essi sette grandi navi. Dopo due giorni di navigazione due delle navi vennero colte da una tempesta e naufragarono (...). I traditori condussero le rimanenti cinque navi a Bugia e ad Alessandria e colà vendettero tutti i bambini ai principi dei saraceni e ai mercanti.»
Così venne a morire questo stupefacente esempio di fede assoluta e ingenuità; un episodio che racchiude in sé lo spirito tragico e sognante di tutta un'epoca e che, probabilmente, c'illustra meglio di tanti altri quale follia atroce e splendente era sottesa alle crociate. «Questa difatti fu la fine della faccenda» - concludono le Gesta Senoniensis - «E fino ad ora è stato impossibile scoprire che cosa questo fatto inaudito presagisse». Come notò di nuovo il Pallenberg, forse non presagiva altro se non l'inizio di un amarissimo, weberiano «disincantamento del mondo».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»