venerdì 13 maggio 2005

rendersi conto: il manifesto!
ma ci sono o ci fanno?

ilmanifesto.it 12 maggio 2005
La psicoanalisi guarda a coppie e famiglie
Due utili collettanee di studi curati da Anna Nicolò e Gemma Trapanese
NICOLE MARTINA

Nel percorso evolutivo che la psicoanalisi ha conosciuto, soprattutto nel corso degli ultimi cinquant'anni, ha acquisto un ruolo sempre più necessario la cura rivolta alla coppia e la nucleo familiare. Del resto, un precedente era già stato impostato dallo stesso Freud quando affrontò i problemi fobici del piccolo Hans attraverso l'ascolto del padre, che veniva così ricondotto, tramite il suo coinvolgimento diretto, a soddisfare quella richiesta di attenzione da cui (è una delle ipotesi) la patologia del bambino era stata motivata. Due volumi recenti, entrambi curati da Anna Maria Nicolò e da Gemma Trapanese, chiedendosi fin dai titoli Quale psicoanalisi per la coppia? e Quale psicoanalisi per la famiglia? (Franco Angeli, 2005) arrivano a fornire il più esaustivo panorama tentato fino ad ora, collezionando una serie di interventi a ampio spettro, che investono - tra l'altro - tutte le collusioni, e le intriezioni di fantasie implicate nelle dinamiche delle relazioni vissute quotidianamente. Più ancora di un modello forte da adottare, scrivono le autrici, occore che gli psicoanalisti impegnati in questa variante del setting, condividano una prospettiva di osservazione che privilegi il legame tra le persone e le interazioni con l'analista, enfatizzando una attenzione rivolta non più soltanto ai contenuti incosci individuali. Inoltre, non ci si limiterà a analizzare quel che viene detto, perché una speciale considerazione verrà accordata anche a quel che viene agito, prendendo in esame oltre alle fantasie e alla produzione onirica dei diversi membri della famiglia o della coppia anche, se non soprattutto, il modo in cui queste attività della mente si declinano nel rapporto con gli altri, attivando memorie, mitologie e immagini provenienti dalle altre generazioni. Quello che è considerato dalle autrici il manifesto di nascita della terapia familiare ha ormai quasi mezzo secolo, essendo stato scritto da Searles nel 1959: il titolo era di per sé eloquente, Il tentativo di fare impazzire l'altro partecipante al rapporto: una componente dell'etiologia e della psicoterapia della schizofrenia, dove venivano presi in esame i modi di entrare in relazione con l'altro forieri di patologia. Tra gli anni `50 e i `70, nel nord America alcune teorie più o meno derivate dalla psicoanalisi tradizionale si dedicarono in particolare ai problemi della famiglia, e Nathan Ackerman fondò una clinica successivamente intitolata al suo nome che divenne a New York uno dei punti di riferimento di questo genere di cura. Del resto, Ackerman - cui si deve la prima formulazione del concetto di «capro espiatorio» - era stato un precursore, avendo scritto già nel 1938 un articolo titolato The Unity of the Family, cui ne seguì un altro nel 1950, Family Diagnosis in cui analizzava la situazione dei bambini in età prescolare e fondava implicitamente uno dei capisaldi della terapia rivolta alla famiglia. A una posizione analoga si rifaceva anche Murray Bowen che si occupò in particolare delle famigle degli schizofrenici, fondando un reparto in cui venivano accolti e seguiti i familiari dei suoi pazienti più gravi. «Ci vogliono tre generazioni per fare uno psicotico» - diceva - implicitamente alludendo alle componenti patologiche maturate nei legami familiari. Tutti conoscono, per restare agli anni `50, il contributo di Gregory Bateson e i fertili incroci tra la sua rivoluzione epistemologica e la psichiatria ispirata agli studi di Sullivan, temperie di fermenti in cui nacque il gruppo di ricerca che si riuniva a Palo Alto in California, presso il Mental Research Institut. Quando lo sguardo di Gemma Trapanese e di Anna Maria Nicolò si sposta sull'Europa, individua nell'incrocio con il movimento dell'antipsichiatria il contesto ideale in cui la terapia analitica rivolta alle famiglie acquisì un rinnovato vigore. Erano gli anni in cui il disagio mentale veniva imprescindibilmente analizzato alla luce dell'ambito culturale in cui si erano andati formando i suoi presupposti, e Ronald Laing divenne, con i suoi studi, uno speciale punto di riferimento. L'Inghilterra fu probabilmente, il paese in cui si concetrarono le ricerche più avanzate: alla Tavistock Clinic, per esempio, e poi nello studio di Wilfred Bion, che nel `61 inagurò con Esperienze nei gruppi un filone terapeutico che non ha ancora finito di esaurire tutte le potenzialità di studio avviate. Il panorama disegnato dalle autrici tocca naturalmente anche la Francia - in particolare gli studi di Didier Anzieu - e l'Argentina con il contributo di Pichon Rivière, evidenziando tutte le diverse cordinate in cui si iscrive l'attualità di questi studi il cui compito principale è «rimuovere gli ostacoli che impediscono alla famiglia di rispondere alle necessità evolutive» dell'individuo: perché ognuno di noi porta in sé una identità non limitata ai confini della sua persona bensì estesa a inglobare, innanzi tutto, le relazioni che determinano le fasi del suo progresso evolutivo, oppure le sue stasi.