martedì 12 luglio 2005

Bertinotti e Ingrao

Corriere della Sera 12.7.05
L’INTERVISTA
Sì a politiche repressive ma nello stato di diritto
Bertinotti: sfruttiamo l’esperienza con le Br. Incrementare l’attività degli 007, si è dimostrata efficace. No alla superprocura
di DARIA GORODISKY
«La guerra non genera meccanicamente il terrorismo, questo è un soggetto politico autonomo che nasce per scelta strategica» dice al Corriere Fausto Bertinotti. E per combatterlo? «Si possono usare anche politiche repressive, un po’ di legislazione di emergenza: purché ciò avvenga sostanzialmente nello stato di diritto».
ROMA - Fausto Bertinotti, che effetto fa a Rifondazione comunista sentir parlare di leggi speciali, leggi di emergenza...?
«È sconsolante. È sbagliata la filosofia generale su cui poggia l’idea di vararle e sono fuorvianti i singoli punti. Di fronte alla spirale guerra-terrorismo e all’esposizione del mondo al rischio di aggressione e morte, la risposta "leggi di emergenza" è inefficace e giuridicamente regressiva».
L’alternativa?
«Cert amente, non si possono ridurre le libertà dello stato di diritto. Né si può ricorrere a strumenti che istighino la popolazione a cercare nel vicino di casa la propaggine ultima del terrorismo, e che sollecitino la logica del sospetto. Piuttosto, bisogna combattere insieme guerra e terrorismo».
Intende dire che la guerra, nella fattispecie quella in Iraq, è la causa di attentati come quelli di Madrid o Londra?
«No, la guerra non genera meccanicamente il terrorismo. Il terrorismo è un soggetto politico autonomo che nasce per scelta strategica. Non esiste una causa che lo genera. Però, ci sono concause che lo alimentano: povertà, ingiustizia, oppressione, guerra... in particolare, quella immotivata, violenta e imperiale condotta appunto contro l’Iraq».
Per combattere miseria e ingiustizie ci vuole tempo, ma nel cuore delle città europee le bombe esplodono adesso. Che fare?
«Bisogna evitare di fare tutto ciò che può alimentare il terrorismo. Non possiamo offrirgli acqua in cui navigare: perciò, niente guerra e nessun nuovo torto verso le popolazioni islamiche».
Crede che basterebbe?
«Il terrorismo va sconfitto politicamente. Io ho vissuto l’esperienza italiana, certo diversissima, delle Br. Credo che, come allora, si debba capire bene la natura del fenomeno e isolarlo. Mettiamo a frutto quello che abbiamo imparato, pensiamo a una lotta di massa, a ridurre il brodo di coltura del terrorismo. Si possono usare anche politiche repressive, anche un po’ di legislazione di emergenza: purché ciò avvenga sostanzialmente nello stato di diritto».
Scusi, ma che cosa significa «un po’» di legislazione di emergenza? Per esempio, su potenziamento dell’intelligence e rafforzamento dei controlli di telefoni, mail, ecc.: è d’accordo?
«L’intelligence italiana ha dimostrato una certa efficacia. Se il governo - sempre nei limiti dello stato di diritto - vuole incrementare questa attività, lo faccia... e non ci rompa».
E le misure premiali come quelle applicate ai pentiti?
«Non mi convincono: davvero una persona così interna alla spirale di violenza da essere pronto al suicidio sarebbe disponibile a scambi di quel tipo?»
Il blocco dei canali finanziari che nutrono i gruppi terroristi?
«Esiste già questa possibilità, se è provato il legame».
Espulsioni più facili?
«No».
Allora una superprocura?
«Già visto. E poi è davvero contraddittorio proporre un organismo del genere ma, contemporaneamente, volere una norma che blocchi la legittima carriera di un magistrato come Caselli».
I suoi alleati Ds e Margherita hanno offerto al governo collaborazione nella lotta al terrorismo. E Rifondazione?
«Collaborare contro il terrorismo? Tutti dobbiamo farlo. Ma lo ripeto ancora una volta: combattiamo anche la guerra e rispettiamo lo stato di diritto. Anche Stefano Rodotà, che interpreta voci sicuramente non radicali, lo ha scritto».

l'Unità 12 Luglio 2005
INGRAO
La candidatura di Bertinotti farà identificare il popolo della sinistra


Pietro Ingrao e Haidi Giuliani: «Appoggeremo la candidatura di Fausto Bertinotti alle Primarie dell'Unione, che si terranno in ottobre.
Il senso di questa candidatura è innanzi tutto la sua capacità di parlare nell'Unione la lingua della sinistra, rafforzandone le ragioni, l'efficacia, la forza programmatica
La candidatura di Bertinotti può aiutare a identificare quel grande soggetto che abbiamo chiamato popolo di sinistra»


l'Unità 12 Luglio 2005
IL LIBRO
Dal libriccino
«Una lettera di Pietro Ingrao»
curato da Goffredo Bettini (Cadmo edizioni) - nato da una lettera di Igrao scritta nel 1992 a Bettini dopo aver letto un suo articolo che lo riguardava - pubblichiamo un brano.


È vero: ci sono due facce contraddittorie (ma è giusto chiamarle così?) della mia vita. Evidentemente io devo avere una «passione» per la politica che è tenace; altrimenti non si spiega come essa passione duri così a lungo, e ancora adesso - in un’età così avanzata - fatichi a spegnersi.
Posso dire di più: ogni tanto mi accorgo che (diversamente, assai diversamente da quello che qualcuno dice di me) a me interessa, nella politica, anche l’aspetto «tattico» (mi capisci: non nel senso di furbesco...). Me ne accorgo; e ripeto a me stesso che questo - nelle mie condizioni - è esorbitante, e può essere anche un «vizio»; ma poi vedo che mi interessano anche i passaggi «quotidiani»; quante volte sono tentato di impicciarmici!
Perché non staccarsene? Tu spieghi ciò con una motivazione morale. Io ho sempre molte esitazioni ad adoperare questo termine: perché io non sono in consonanza con un certo «eticismo»: il «dover essere» mi sembra che contenga una astrazione; e io credo molto in una corporeità della vita; credo nelle passioni vitali che ci scuotono e ci segnano. (...)
Ti dirò un episodio che rischia di risultare stupidamente lacrimoso. L’altra sera ho visto a Mixer alcuni filmati sui bambini irakeni colpiti durante e dopo la guerra dalle malattie e dalla penuria. Mi sono sembrati dei fatti letteralmente insopportabili. E mi sono rimproverato la mia inettitudine o defezione dinanzi a quella insopportabilità. Scusa queste parole: ho avvertito una nausea psichica. E mi sono vergognato, perché io non ho fatto e non facevo e non avrei fatto nulla di fronte a ciò che diceva, rappresentava (significava) quella realtà. Questo episodio può dire la ragione per cui io rimango incollato alla politica, persino sotto l’aspetto tattico.
Pietro Ingrao


uno stralcio piò ampio:
Repubblica 12.7.05

Una lettera inedita sul senso profondo della militanza

La politica che passione
PIETRO INGRAO

La lettera che qui in parte pubblichiamo è tratta dal volumetto Una lettera di , curato da Goffredo Bettini, destinatario della missiva. Il volume, edito da Cadmo, sarà presentato oggi pomeriggio a Roma (alle ore 19,30, alla Festa dell'Unità in viale Ostiense) da Veltroni, Bertinotti e Bettini.
Caro Goffredo, è vero: ci sono due facce contraddittorie (ma è giusto chiamarle così?) della mia vita. Evidentemente io devo avere una «passione» per la politica che è tenace; altrimenti non si spiega come essa passione duri così a lungo, e ancora adesso - in un´età così avanzata - fatichi a spegnersi.
Posso dire di più: ogni tanto mi accorgo che (diversamente, assai diversamente da quello che qualcuno dice di me) a me interessa, nella politica, anche l'aspetto «tattico» (mi capisci: non nel senso di furbesco...). Me ne accorgo; e ripeto a me stesso che questo - nelle mie condizioni - è esorbitante, e può essere anche un «vizio»; ma poi vedo che mi interessano anche i passaggi «quotidiani»; quante volte sono tentato di impicciarmici!
Perché non staccarsene? Tu spieghi ciò con una motivazione morale. Io ho sempre molte esitazioni ad adoperare questo termine: perché io non sono in consonanza con un certo «eticismo»: il «dover essere» mi sembra che contenga un'astrazione; e io credo molto in una corporeità della vita; credo nelle passioni vitali che ci scuotono e ci segnano.
È vero. Io ho raccontato nel mio ultimo libro che fui trascinato a pedate nella politica dalla resistenza a Hitler. Ho ricordato una cosa che tuttora è in me nitidissima: quando di fronte al rischio che Hitler vincesse (i momenti terribili che la vostra generazione non ha vissuto), ho detto - nella mia mente - : non ci sto.
Anche in quel caso, però, continuo ancora oggi a pensare che fosse qualcosa di altro, o di non riducibile a un dovere etico. Era una resistenza del mio essere, una difficoltà della mia vita ad adattarsi a quell´esito (cioè a una vittoria del nazismo sul mondo).
Tu dici: il punto essenziale è per me dove «si difendono meglio gli umili e gli oppressi». E questo coglie, con parole semplici, un sentimento che è tenace dentro di me. Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili.
Ti dirò un episodio che rischia di risultare stupidamente lacrimoso. L'altra sera (ndr, la lettera risale al gennaio del 1992), ho visto a Mixer alcuni filmati sui bambini iracheni colpiti durante e dopo la guerra dalle malattie e dalla penuria. Mi sono sembrati dei fatti letteralmente insopportabili. E mi sono rimproverato la mia inettitudine o defezione dinanzi a quella insopportabilità. Scusa queste parole: ho avvertito una nausea psichica. E mi sono vergognato, perché io non ho fatto e non facevo nulla di fronte a ciò che rappresentava quella realtà. Non sono sicuro che ciò si possa rappresentare come una motivazione morale. C'entrano gli «altri», in quanto la loro condizione mi «turba», e senza gli «altri» non esisto (nemmeno sarei nato).


Liberazione 12.7.05
Pietro Ingrao e Haidi Giuliani: sosteniamo
la candidatura di Bertinotti alle primarie


Battere Berlusconi. Sconfiggere le politiche del centrodestra che in questi quattro anni hanno devastato il Paese. Avviare un'alternativa di governo che sia anche vero rinnovamento della politica, della cultura, della democrazia italiana. Sono queste oggi le priorità nelle quali ci riconosciamo, pur nella diversità delle nostre storie, opinioni, collocazioni. Per questo, alle elezioni del 2006 ci impegneremo per la vittoria dell'Unione: un'alleanza inedita nella storia d'Italia, che potrà davvero vincere se saprà coniugare l'unità delle forze diverse che la compongono con l'apertura di una grande stagione di partecipazione democratica.

Sono queste le stesse ragioni che ci spingono oggi ad appoggiare, e a sostenere attivamente, la candidatura di Fausto Bertinotti alle Primarie dell'Unione, (che si terranno l'8 e il 9 di ottobre).

Per noi, il senso di questa candidatura è innanzi tutto la sua capacità di parlare nell'Unione la "lingua della sinistra", rafforzandone le ragioni, l'efficacia, la forza programmatica. Essa va ben oltre, di fatto, gli orizzonti di un singolo partito: nasce dalla persuasione che la sinistra non può essere a priori rassegnata a svolgere un ruolo subalterno, o di complemento. Al contrario: sia nella scelta di chi guiderà l'alleanza, sia nella definizione dei suoi contenuti, le idee, i valori, le persone della sinistra debbono poter pesare al massimo delle loro capacità. La sinistra, insomma, non è una realtà minore, è anzi la forza determinante per il cambiamento e l'uscita dalla crisi economica e sociale del paese. Perciò, nel suo concreto riferimento alternativo, europeo, popolare, la candidatura di Bertinotti può aiutare a identificare quel grande soggetto che abbiamo chiamato "popolo di sinistra": tutti coloro che in questi anni hanno detto no alla guerra, al neoliberismo e all'egemonia del pensiero unico, alla invereconda crescita delle diseguaglianze sociali e della stessa distribuzione della ricchezza, alla mercificazione galoppante dei saperi e della cultura, al preoccupante rilancio dell'oscurantismo, alla sciagurata teoria dello scontro delle civiltà. Tutti coloro che hanno dato vita ai vecchi e ai nuovi movimenti e che hanno domandato alla sinistra di essere finalmente se stessa.