martedì 12 luglio 2005

«i greci avevano già inventato tutto»

La Stampa 12 Luglio 2005
Dall’automa alla pila: i greci avevano già inventato tutto
A NAPOLI UNA MOSTRA SUL GENIO DEGLI ANTICHI
Lea Mattarella

NAPOLI Il «Meccanismo di Anticitera» è stato ritrovato nel 1900 a Nord di Creta, nelle acque dell'isola da cui prende il nome, fra i resti di una nave naufragata. Risale probabilmente al I secolo a. C., è di fattura greca e serviva a studiare il movimento dei pianeti: se muovi una leva in senso orario l'intero cosmo si aziona. È stato ricostruito, perfettamente funzionante, in occasione della mostra «Eureka. Il genio degli antichi», curata da Eugenio Lo Sardo, aperta fino al 9 gennaio al Museo Archeologico di Napoli.
È uno dei tanti oggetti che conducono alla scoperta di un aspetto inusuale del mondo classico: non solo fascinazioni estetiche e letterarie, ma anche scoperte tecniche e scientifiche, vita materiale, pensiero astratto, matematico. Euclide, Archimede, Ctesibio, Erone sono alcuni dei protagonisti di questo suggestivo viaggio alla ricerca delle grandi invenzioni dell'antichità. Si scopre così che i greci conoscevano le proprietà del vapore. Lo prova la piccola «Eolipila» che si aziona grazie all'acqua vaporizzata dal calore del fuoco. A cosa servisse questo oggetto che ruotava, questa minima turbina a vapore, non si sa. Forse soltanto a divertire, stupire, incantare. Ma forse ha una funzione meno ludica. Certo è che, oltre al senso delle proporzioni su cui si fonda la storia dell'arte occidentale, oltre a miti e leggende - da Edipo a Crono - che hanno forgiato e magari anche contribuito a curare la nostra psiche, dal mondo classico ci arriva anche questo: un congegno meccanico che anticipa la rivoluzione industriale. Non c'è male.
Gli antichi, esattamente come nei film di fantascienza, sognano di riprodurre degli automi che possano servire alle esigenze dell'uomo. Lo stesso Aristotele afferma che se vi fossero strumenti capaci di assolvere alla loro funzione «come si dice delle statue di Dedalo o dei tripodi di Efesto... i capi artigiani non avrebbero bisogno di operai, né i padroni di servi».
Efesto è, nel mondo di Omero, il dio dell'Olimpo che crea gioielli, armi, strani congegni, ma anche macchine in tutto simili all'uomo. Uno dei primi automi che ci vengono tramandati attraverso la letteratura è Talos, il gigante che difendeva Creta dagli Argonauti. La mostra propone, nella sezione dedicata alle «Macchine del mito», alcuni vasi che raffigurano le sue gesta e la sua strana morte, quella perdita di liquido dal tallone che ricorda tanto la fusione a cera persa. E poi naturalmente c'è Icaro, con il suo volo tragicamente interrotto, come ci giunge attraverso affreschi e cammei.
Tra gli ambienti più affascinanti dell'esposizione c'è quello dedicato alla pneumatica, la scienza che studia il comportamento di fluidi, aria e liquidi. Ecco diversi animali di bronzo che ornavano le fontane, la cui funzione è chiarita dai fori per l'uscita dell'acqua. Anche qui c'è una ricostruzione: un gioco d'acqua descritto da Erone Alessandrino. C'è una civetta che gira e un albero con alcuni uccellini. Quando la civetta si volta, gli uccellini cominciano a cinguettare. Se quella li guarda stanno zitti. Ed è la pressione dell'acqua a creare il suono. Lo stesso sistema dà vita alla musica che produce l'organo idraulico, inventato nel 275 a. C. da Ctesibio. Un reperto di questo antico strumento è stato ritrovato di recente in Grecia, nella città di Dion. Qui ce n'è un esemplare ricostruito, nella sala dedicata agli strumenti, tra corni e siringhe.
Dalla musica al teatro il passo è breve. Anche in questo campo sono molte le invenzioni meccaniche. Un teatro dedicato a Dioniso grazie a uno speciale congegno di ruote, corde, carrucole, contrappesi, permetteva alle Baccanti di danzare in una sorta di girotondo intorno al dio. Le conoscenze astronomiche dell'antica Grecia, poi, sono davvero stupefacenti. Uno dei capolavori che si incontra in mostra e che appartiene alle collezioni del Museo è l'«Atlante Farnese». Regge sulle spalle la sfera celeste. «Le costellazioni - spiega Lo Sardo, sono posizionate in maniera molto precisa. Solo che l'opera ci mostra il mondo dal di fuori, come se il nostro fosse lo sguardo di un dio. Non vediamo, come sarebbe giusto, l'interno della sfera». E, tra congegni che scandiscono il tempo, altri che misurano il terreno, piante, animali e medicinali dell'antichità, riproduzioni del Faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo che illuminava la notte dei naviganti, c'è anche il pezzo forte della glittica alessandrina: la «Tazza Farnese». Un cammeo in agata sardonica, forse appartenuto a Cleopatra, poi a Federico II e a Lorenzo il Magnifico e infine arrivato a Napoli con Carlo di Borbone. Ci riporta dentro confini squisitamente artistici. E il cerchio si chiude.