martedì 12 luglio 2005

l'Unità...
a prima vista un gran bell'argomento... ma poi, tentando di leggere...

una segnalazione di Sergio Grom

l'Unità 12 Luglio 2005
Gli Egizi lo sapevano già: il sogno è la vita
di Ugo Leonzio
Ugo Leonzio è l'autore de «Il volo magico. Storia generale delle droghe» - Edizioni Einaudi e il soggettista e sceneggiatore del film «La porta delle 7 stelle» (2003) di Pasquale Pozzessere

Con qualche eternità di ritardo, i ricercatori del New York Presbyterian hospital (Weill Cornell Medical Center) hanno scoperto che il novantacinque per cento di tutto quello che facciamo, pensiamo, amiamo appartiene alle decisioni di una divinità invisibile, l’Inconscio. Per quanto vecchia, nessuna notizia potrebbe essere più crudele e spaventosa di paurosa per le sue consequenze «inimmaginabili», Rishi vedici, sciamani e veggenti greci hanno dato un volto simpaticamente distruttivo a questo mostro chiamandolo Dioniso, Vuland o Shiva cercando di scorgere qaualche aspetto positivo in una pulsione divinamente cieca ma alla fine nascosero dietro sacri mantra e fiori di papavero l’abisso che avevano intravisto
Cosa sia veramente questo inconscio che vive non dentro di noi (non esiste alcun «dentro» nella nostra mente) ma per noi, cioè, al nostro posto neppure Freud è riuscito mai a definirlo con chiarezza. Si sa che questo ospite segreto non conosce valori, bene, male, moralità o scorrere del tempo. Soprattutto, è tagliato fuori dal mondo esterno che conosce solo attraverso il fantasmagorico, illusorio io degli esseri viventi. Quell’io che usiamo quando mandiamo sms, abbiamo fame o andiamo al cinema. Lo spazio dell’inconscio è incomparabilmente più vasto di quello che ci è dato immaginare e la sua infinità è determinata dalla sua «muta ma possente pulsione di morte».
Dunque l’inconscio si alimenta, non solo secondo Freud, di morte, materia alquanto indigesta per i vivi. Ma ci si puo rifiutare di invitare a cena chi possiede il novantacinque per cento della nostra vita?
Se osserviamo i nostri umori influenzare con implacabile indifferenza decisioni, comportamenti ed emozioni, avremo più di un motivo per non dubitare delle parole del Presbyterian hospital. Non si tratta solo di umori, della scelta di una cravatta, di un partner o di un libro. Si può, senza problemi, uccidere, stuprare, sganciare un’atomica, inquinare, coltivare passioni e orrori pedofili, dedicarsi alla vivisezione, affamare, rubare, mutilare, trafugare organi, seminare stragi, divorare, bruciare, seppellire… tutto proviene dal novantacinque per cento di azioni inconsce, pulsioni, inconsce, decisioni inconsce. Come può il resto della nostra anima, della nostra mente, del nostro cervello, opporsi con il suo esiguo cinque per cento al volere di questo invisibile, onniscente, buio inquilino che siamo pur sempre noi, cioè io e voi?
Non basta. La vera pazzia, a questo punto, è dormire. Passiamo un terzo della nostra vita viaggiando in territori sconosciuti, pieni di pericoli, di volti sconosciuti che ci ingannano con sciocche promesse che a noi sembrano mirabili paradisi. Eppure, ogni notte ci infiliamo sotto le lenzuola, chiudiamo gli occhi, dormiamo. Non dormiamo, lo scopo del sonno è il sogno. Privati del sogno per qualche giorno, il nostro io deperisce e muore e noi con lui. Quindi, così come noi viviamo perché dobbiamo morire, così dormiamo perché dobbiamo sognare. Qui non c’è nessuna scelta, nessun libero arbitrio. La percentuale scende a zero. Perché allora è così importante il mondo dei sogni? Che cosa ci rivela? Una traccia rivelatrice si trova nell’intenso libro di Edda Bresciani La porta dei sogni (Einaudi pp. 190, euro 19,50) quando dice che gli egizi definivano il sogno «reset», risveglio.
Dunque, quando chiudiamo gli occhi, le palpebre diventano pesanti e il sonno ci trascina sempre più giù facendoci agitare rumorosamente tra le lenzuola, in realtà ci stiamo svegliando e se ci svegliamo nel sogno vuol dire che prima, da svegli, dormivamo. Che la vita sia illusione, che l’Io non esista, che tutto dipenda dal riverbero incerto di una luce beata che per motivi inspiegabili si è solidificata negli elementi che hanno creato i mondi (che però continuano a non esistere) è stato predicato dal Buddha Sakyamuni fino alla sua estrema vecchiaia e prima e dopo di lui, molti, moltissimi ci hanno avvertito che la vita è un sogno, un’illusione, un riflesso pieno di furore e rumore «che non significa nulla».
Anche Shakespeare, durante la sua tenebrosa e umiliante passione per il Conte di Southampton, il misterioso «mr.W.H» nella dedica dei Sonetti, ne aveva scritto con una potenza piena di meraviglioso dolore. Cosa c’è di più eccitante di un sogno, di una illusione? I sogni, le illusioni si rigenerano senza fine. Sono le sole cose eterne che conosciamo. Da svegli diventano polvere.
Dunque, dormire per gli Egizi, per i Greci o per gli Indu equivale a svegliarsi, a risvegliarsi. Ma dove ci risveglia?
Nella psicanalisi, il luogo del sogno è un luogo sotterraneo, dove persone diverse da noi vivono e si organizzano sotto i nostri piedi inconsapevoli. In sostanza è l’Ade, con il suo dio invisibile e i suoi ospiti assetati di sangue. I Greci hanno descritto spesso e in modo diverso la discesa nel gelido regno di Ade. A volte come un umido teatro d’ombre, a volte come una farsa o un gioco. Non amavano la morte, la evitavano ma conoscevano la verità.
Svegliarsi quando ci addormentiamo vuol dire che adesso, mentre state leggendo, siete morti e solo più tardi, a occhi chiusi, vi incamminerete sul sentiero della vita che ci libera dal potere del Buio Signore che abita in noi. Ma mentre dormiamo, perché sogni invece di guidarci verso la liberazione ci vengono incontro, con il loro feroce accumularsi e svanire? Quei sogni, quelle persone, quei sorrisi crudeli nei volti invisibili sono l‘implacabile marea del ricordo di quando eravamo vivi, l’intrecciarsi delle emozioni che hanno fatto il nido nei recessi più indiscreti dela nostra memoria e che ci tengono in vita, una vita scombinata e illusoria, piena di nostalgia che però è l’unica che si oppone allo strapotere dell’inconscio e dei suoi inganni, con il suo misero cinque per cento. E che ci porterà in salvo.
Ci sono poche speranze di capire dove siamo e dove andremo attraverso questo forsennato copulare di istinti, avidità e illusione che ci aggredisce nel sonno e da svegli. Come liberarsi?
Una strada viene da dove meno ce la si potrebbe aspettare, dal mondo buio dell’inconscio che ci ha scelto come cordone ombelicale per nascere e riprodursi. Ma l’inconscio, proprio perché immutabile, refrattario ad ogni evoluzione e legato solo alle sue pulsioni, deve per forza agire come uno specchio pareggiando il mondo dei vivi e quello dei morti. L’altra parte, quella che ci sfugge, è identica a quella che vediamo adesso. Se siamo morti, proveremo, le stesse emozioni di prima con qualche elemento tipico di chi vive nell’illusione della vita. Per esempio, avremo una tendenza irresistibile ad amare qualcuno o qualcosa, un gatto, un fiore, un figlio e proveremo un dolore profondo a separarcene, ci commuoveremo davanti a qualcosa di bello senza spiegarcene il motivo se non con l’impressione di un ricordo. Avremo una predilezione per Mozart, Bob Dylan, la Woolf, i poeti cinesi, l’I Ching, le sedie di Hoffman, le more di rovo ecc.
Guardatevi allo specchio. Lo specchio è l’elemento che rivela l’illusione e i segreti della morte. Vi mostra tutto quello che non siete. Lo specchio è un sogno, esattamente come la vita. Contemplate i vostri occhi, la vostra bocca, le vostre orecchie. Vi appartengono solo per il cinque per cento. Lasciate svanire tutto, la beatitudine verrà quando avrete dimenticato anche quella misera percentuale. Lasciatela al Presbyterian hospital.
Siamo morti? Pensateci e se siete delle persone ragionevoli non potrete rispondere di no, a meno che non siate convinti che con lo svanire del corpo vi trasformerete in un bruco, in una verza o qualcosa del genere. Vediamo perché siamo morti mentre siamo convinti di vivere. E soprattutto vediamo se c’è una differenza tra vivi e morti. È buio, Chiudiamo gli occhi. Venite con me. Dormiamo.