domenica 10 luglio 2005

equilibrismi
psichiatria e imputabilità

Corriere della Sera, Salute 10.7.05
Un campo intermedio tra nevrosi e psicosi
di Vittorino Andreoli*

I disturbi della personalità nell’ambito clinico sono una diagnosi frequentissima. E molto frequentemente compaiono nelle aule giudiziarie: per il 90 per cento delle persone che sono sottoposte a giudizio per un reato penale grave si formula questa diagnosi. Bisogna, a questo proposito, fare un richiamo storico: la psichiatria è nata con due comparti che sembravano, inizialmente, non comunicanti: quello delle nevrosi e quello delle psicosi. Il nevrotico aveva un «io» ben definito, carente, fragile, su cui però si poteva lavorare. Nello psicotico, invece, l’"io" era in qualche modo frammentato, alterato.
Con il passare degli anni si è sentito il bisogno di trovare uno spazio che mettesse in comunicazione questi due campi, nevrosi e psicosi, poiché sempre più nella pratica clinica si osservavano situazioni patologiche che mutavano: pazienti considerati nevrotici che, nel tempo, sviluppavano una patologia di tipo psicotico; condizioni che non solo si aggravavano, ma assumevano caratteristiche cliniche particolari.
Si formulò, allora, la definizione di "disturbi di personalità": qualche cosa che si pone "in mezzo", per il bisogno della psichiatrica di coprire forme che non sono nevrosi, ma nemmeno psicosi. Per molti, delle anticipazioni possibili delle psicosi.
Dieci sono i disturbi della personalità classificati. Un esempio, il "disturbo schizotipico di personalità". Schizotipico: la parola richiama subito schizofrenia, cioè un "io" che in qualche modo è diviso, è scisso. Ma si tratta di un disturbo che non ha ancora una forma definitiva, non ha ancora le caratteristiche acute della schizofrenia. In qualche modo, si tratta di prodromi che potrebbero anche avere un esito nella schizofrenia. Un altro esempio, il "disturbo ossessivo compulsivo di personalità", in una zona intermedia rispetto alla patologia ossessiva compulsiva.
Il "campo intermedio" dei disturbi della personalità è ancora una sfida difficile per la psichiatria: è qualcosa di sicuramente necessario, ma nello stesso tempo l’attuale classificazione ha bisogno di essere perfezionata. I quadri clinici delle psicosi erano precisi, quadri gravi, di cui conoscevamo - per la schizofrenia, come per la depressione - lo sviluppo, l’inizio, l’esito; quadri eclatanti in età adulta.
Invece, il "disturbo anti-sociale", per esempio, o il "disturbo narcisistico di personalità", per ricordarne altri dalla classificazione prima citata, sono in fondo definizioni "deboli" e sono molto frequenti negli adolescenti e nei giovani. Ed è anche per questo, cioè per l’età di comparsa, che si dice potrebbero essere anticipazioni di psicosi che clinicamente si esprimono in modo compiuto in età adulta.
Ora, tenendo presente questa premessa, veniamo alla questione dei disturbi di personalità nella giurisprudenza e quindi in relazione a comportamenti anti-sociali (notando, che, come dicevo, c’è un disturbo anti-sociale di personalità).
C’è una constatazione evidente e, se vogliamo, drammatica. Come si è detto, quando uno psichiatra entra in Tribunale, il giudice si trova frequentemente di fronte alla diagnosi di disturbo di personalità. Ma qual è il peso che il disturbo di personalità ha nella capacità di intendere e di volere e, di conseguenza, nella responsabilità nell’aver commesso un delitto?
Il Codice penale fa riferimento alla categorie psichiatriche gravi e quindi alle psicosi per escludere la capacità di intendere e di volere, e la punibilità, parzialmente o totalmente.
Così, fino ad ora i giudici hanno ritenuto che i disturbi di personalità, da soli, non sono in grado di configurare nè un limite parziale, nè mancanza totale della capacità di intendere e di volere. Quindi, chi riceveva una diagnosi di disturbo di personalità non godeva di quelle che, appunto, sono le previsioni di limitazione nella responsabilità. La recente sentenza della Cassazione è, perciò, importantissima: ora, persone affette da disturbi della personalità hanno diritto ad essere considerate limitate nella capacità di intendere e di volere, o addirittura totalmente mancanti. Purché - si precisa nella sentenza - il disturbo sia di intensità e gravità rilevanti.
In pratica, d’ora in poi i disturbi di personalità, sia pure gravi, dovranno assumere per i Tribunali un peso analogo a quello delle psicosi.
Personalmente ho sempre ritenuto che i disturbi di personalità possono essere molto gravi e che si dovesse in qualche modo tenerne conto in ambito giudiziario.
In effetti, la valutazione del comportamento omicida e della capacità di intendere e volere va fatta sempre in relazione al momento del fatto. Se, ad esempio, in un soggetto che ha compiuto un omicidio è presente un disturbo di personalità, è probabile che tale alterazione strutturale della persona (sia pure non grave come una schizofrenia, o come una forma paranaoidea) abbia inciso nel momento in cui il delitto è stato commesso.
Qualche caso giudiziario che potrebbe rientrare in questo quadro patologico?
Mi viene in mente, la vicenda di Luigi Chiatti, il giovane di Foligno con tendenze pedofile, che uccise due bambini.
Forse anche il recente caso del detective privato di Bergamo che, a Verona, violentava le prostitute e le uccideva.
L’ipotesi può essere quella di una doppia personalità: da una parte una vita che ha una certa coerenza, dall’altra una personalità completamente diversa quando, la sera, prende la macchina e va in cerca di prostitute.
Non siamo davanti ad uno schizofrenico, che non sa vivere nel mondo, ma a "due" persone che fanno cose diverse in ambienti completamente diversi.
E a "doppia personalità", forse, potrebbero ricondursi anche casi recenti di mamme che hanno ucciso i loro figlioletti.
Una cosa è certa: questa sentenza della Cassazione rende ancora più necessario che la psichiatria approfondisca l’argomento "disturbi della personalità", che lo chiarisca, anche con una classificazione più coerente.
Pensiamo alla schizofrenia: oggi si afferma che non insorga mai prima dei diciotto-vent’anni di età.
Siamo sicuri che non si possano trovare segnali di schizofrenia già nell’adolescenza?
In quelli che oggi chiamiamo disturbi di personalità di tipo schizoide?
In Tribunale, la poca chiarezza, i punti deboli, delle classificazioni psichiatriche si possono prestare facilmente ad abusi.
* psichiatra


Corriere della Sera, Salute 10.7.05
CRIMINOLOGIA
Delitti
di Alfonso Marra*

Per il nostro Codice Penale (articolo 88) non sono imputabili penalmente coloro che, al momento in cui hanno commesso il reato, erano, a causa di infermità, in stato di mente tale da escludere o diminuire la capacità di intendere e di volere. La giurisprudenza ha sempre ritenuto che ciò si potesse riferire solo alle malattie mentali gravi (in termini medici, le psicosi). Ora, però, le cose sono cambiate. Una recente sentenza della Cassazione (Sezione 1 Penale, Sent. del 3 maggio 2005, numero 16574) ha affermato che anche i "disturbi della personalità", se gravi e consistenti, possono costituire vizio totale o parziale di mente ed escludere l'imputabilità.
Questa la vicenda su cui si sono pronunciati i Giudici: una madre era accusata di aver ucciso il proprio figlio gettandolo dal balcone, come gesto dimostrativo contro il nucleo famigliare dal quale si sentiva fortemente oppressa.
I Giudici di primo e di secondo grado, la riconoscevano colpevole di omicidio volontario, condannandola a 12 anni di reclusione, in quanto la ritenevano sana di mente (sul presupposto che le nevrosi sono irrilevanti ai fini del vizio totale o parziale di mente e quindi dell'imputabilità).
Il parere innovativo
Diversa la convinzione della Cassazione: ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, - ha detto la Corte - anche i disturbi della personalità possono rientrare nel concetto di «infermità». Con due condizioni. La prima: che siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente. La seconda: che sussista un nesso causale con la specifica condotta criminosa, per cui il reato sia ritenuto "causalmente" determinato dal disturbo mentale.
Nessun rilievo, invece, - ha precisato la Corte - hanno le altre anomalie caratteriali, o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché gli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano eccezionalmente in un quadro più ampio di infermità.
In altri termini, deve trattarsi di un disturbo idoneo a determinare - e che abbia determinato nel caso concreto - una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile (totalmente o in grave misura) che incolpevolmente rende la persona incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti e conseguentemente di indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente liberamente.
A tale accertamento il Giudice deve procedere avvalendosi degli strumenti a disposizione, dell’indispensabile apporto e contributo tecnico, e di ogni altro elemento di valutazione e di giudizio desumibile dall’acquisizione processuale.
Uno strumento indispensabile a riguardo è la consulenza medico-legale (disposta dal Pubblico Ministero) o la perizia medico-legale (disposta dal Giudice) per accertare la sussistenza e la consistenza dei disturbi della personalità e il collegamento degli stessi all’episodio criminoso, al fine di verificare se esso sia una manifestazione dei disturbi della personalità, oppure un fatto criminale vero e proprio.
Imputabilità
Questa rivisitazione del concetto di imputabilità costituisce un atto di grande civiltà giuridica ed avvicina l’Italia agli altri Paesi d’Europa. Infatti, i Codici penali francese, tedesco e spagnolo hanno da tempo introdotto un concetto di imputabilità cosiddetto "aperto", che tiene conto non solo delle infermità psichiatriche vere e proprie, ma anche dei disturbi psichici e neuropsichici.
Quali sono, alla luce di questa sentenza, le conseguenze a carico di quella persona affetta da disturbi della personalità riconosciuta autore di un grave delitto?
Le conseguenze sono notevolissime.
Qualora venga ritenuto che il disturbo della personalità ebbe ad escludere la capacità di intendere e di volere determinando il vizio totale di mente, la persona deve essere prosciolta e, solo se socialmente pericolosa, sottoposta alla misura di sicurezza dell’ospedale psichiatrico giudiziario (articolo 222 C.P.) per un tempo minimo di dieci anni se la pena stabilità per il delitto è l’ergastolo, oppure di cinque anni quando la pena stabilita nel minimo sia non inferiore a 10 anni. Se invece il disturbo della personalità ebbe solo a diminuire la capacità di intendere e di volere, determinando il vizio parziale di mente, la persona ha diritto a una diminuzione della pena e, solo se ritenuta socialmente pericolosa, può essere sottoposta alla misura di sicurezza della casa di cura e custodia (secondo l’articolo 219 C.P.) per un tempo minimo di un anno.
* magistrato