martedì 5 luglio 2005

Schopenhauer, negli anni della maturità

Corriere della Sera 5.7.05
Il 12 agosto 1821 Arthur Schopenhauer spintonava ...

Il 12 agosto 1821 Arthur Schopenhauer spintonava energicamente Carolina Luisa Marquet, donna rumorosa e pettegola che aveva fatto chiasso nella sua anticamera. Il filosofo, denunciato, perderà il processo civile e dovrà riparare le procurate lesioni con un vitalizio, sino alla morte della petulante (1842). Quella spinta egli la considerava una legittima difesa contro i rumori che detestava più di ogni altra cosa (nei Parerga e paralipomena confesserà di non sopportare gli strilli dei bambini e i latrati dei cani, oltre gli schiocchi delle fruste dei cocchieri). Né va dimenticato che in quel tempo aveva i nervi tesi: nel marzo del 1820 ci fu un duro scontro con Hegel sul concetto di «funzione animale»; la sua opera maggiore, Il mondo come volontà e rappresentazione, uscita nel dicembre 1818 con la data dell’anno successivo, martoriata dalla critica non si vendeva - andrà quasi tutta al macero - anche se Goethe l’aveva lodata. Inoltre, i tentativi accademici erano finiti male e il viaggio in Italia non aveva prodotto che amori mercenari. Sbirciando tra le carte di quel transito nel nostro Paese, troviamo qualcosa su cui riflettere: «Se solo potessi liberarmi dall’illusione di considerare miei simili questa genia di rospi e vipere! Ciò mi sarebbe di grande aiuto». E più avanti, sempre negli Appunti di viaggio del 1820: «La storia di ogni vita non è forse una storia di sofferenze? E voi mi biasimate se dico che vivere è soffrire!». Si chiude in se stesso e resta indifferente al «dibattito culturale» (si chiamava così anche allora) in corso, considerando le dispute degli idealisti presiedute da Hegel al pari di «una rissa da strada». Crede che la filosofia sia disciplina per anime isolate: si manifesta nella tenda all’imperatore Marco Aurelio o nella torre a Montaigne o nella botte a Diogene o in situazioni analoghe. Nietzsche preciserà anni dopo: «Lontano dal mercato e dalla gloria» (lo testimonierà con la vita anche Piero Martinetti, di cui ora ritorna, riedito da Il melangolo di Genova, il suo Schopenhauer : pp. 240, 20) .
Arthur in quei giorni scrive. Oltre gli Appunti ricordati, vi sono almeno altre quattro opere: l’In-folio, il Taccuino, l’In-quarto, gli Adversaria e la Dialettica eristica. Sono pagine che non si conoscevano e che ora, riunite sotto il titolo Scritti postumi . Volume III . I manoscritti berlinesi (1818-1830), a cura di Giovanni Gurisatti vedono la luce da Adelphi (pp. 1072, 70). Di questa raccolta, diretta per la lingua italiana da Franco Volpi, è uscito il primo volume nel 1996; il secondo è ancora in preparazione.
Pagine dove la breve intuizione e il frammento sono protagonisti; sorta di laboratorio in cui Schopenhauer più che costruire edifici abitua se stesso, e quindi anche l’eventuale lettore, a considerare la filosofia un viatico per la saggezza pratica, per la difficile arte di vivere. In esse non nasconde il suo cattivo carattere, anzi. Ecco allora il desiderio di sopprimere tutte le cattedre di filosofia (in altra parte si augurerà la «moria di bestiame accademico»), la convinzione che «l’uomo comune la rovina appena apre bocca». Taccagno com’era, individuava nella storia, oltre se stesso, altri quattro o cinque filosofi; similmente pensava dei poeti e di altre categorie i cui membri ora si sono moltiplicati come i girini dello stagno. Niente è inattuale quanto lui in un’epoca che riesce ad avere più convegni di filosofia che idee e più scrittori che lettori.
Schopenhauer non si maschera, non finge di amare il prossimo, non cerca idee edificanti né plausi, non consiglia corrette letture. Mena fendenti anche su pagine classiche, ormai idealizzate, come quelle che Proclo dedica al Commentario all’Alcibiade di Platone: «È la chiacchiera più prolissa e verbosa del mondo! Su ogni singola parola di Platone, anche la più insignificante, si ciancia puntigliosamente, introducendovi un profondo significato». Anche in questi frammenti l’odio per Hegel e la «sua banda» si tocca; di contro si avverte una cultura immensa che va dai greci ad Agostino, da Agrippa di Nettesheim agli illuministi francesi, dai classici orientali a Goethe o a Paracelso. Difficile seguirlo, ma queste pagine sono uno zibaldone che fa bene allo spirito e che spiega due o tre cose sul male e sulla vita da utilizzare al momento giusto.