martedì 5 luglio 2005

Analisi collettiva e Liberazione
e l'articolo di Luca Bonaccorsi su Alan Greenspan

Apprendiamo che il pezzo di Aldo Nove apparso su Queer, inserto dell'inserto domenicale di Liberazione, in data domenica 26.6.05, dal titolo "L'ano tra sesso e rivoluzione", oltre a produrre echi, come abbiamo documentato, anche in altre testate nazionali, è stato fortemente contestato da una larga parte della redazione del quotidiano di Rifondazione comunista, e, fatto più significativo, da Bertinotti stesso nell'ultima direzione. Fausto Bertinotti ha trovato il pezzo sbagliato ed offensivo e ha chiesto un chiarimento sulla questione (dal seminario di Lunedì 4.7.05).
Per dopo l'estate in data da definire, si arriverà forse ad un altro incontro, già sollecitato da Bertinotti stesso.

Liberazione, Sabato 2 Luglio 2005

Silenzio, parla Greenspan
di Luca Bonaccorsi


L'ha fatto di nuovo, per la nona volta in un anno, Alan Greenspan ha alzato i tassi di interesse Usa (i Fed Funds) portandoli al 3.25%. Ha iniziato a Giugno dell'anno scorso, quando i tassi erano al minimo storico dell'1%, con una serie regolare di micro-rialzi da un quarto di punto ogni sei settimane. E' una scommessa la sua, sta scommettendo che il mondo sia lo stesso di qualche anno fa e che i tassi possano tornare dove erano. Ma il mercato, la sua platea naturale, quella che lo ha consacrato alla fama, non gli crede più.

Alan Greenspan, non è un banchiere centrale, ma IL banchiere centrale. Quando lui parla il mondo della finanza si ferma, volume delle televisioni al massimo, telefoni staccati. Fino a qualche anno fa c'erano altri banchieri centrali che avevano questo effetto. Vi ricordate il terribile Tietmeyer della Bundesbank che tuonava sempre contro l'ingresso dell'Italia nell'euro (e ogni volta la lira crollava!)? Ora c'è solo lui, Alan. Sia chiaro, non è solo un fatto di impatto mediatico o culturale, le decisioni di Greenspan ‘cambiano' il corso dell'economia mondiale ed hanno una ricaduta, sebbene indiretta, anche sul nostro lavoro, sui nostri risparmi e quindi sul nostro stile di vita. Ultimamente la suspence che circonda i suoi interventi è cresciuta perché sono mesi che IL banchiere parla di un ‘enigma': l'enigma dei tassi bassi.

Nel 2001, all'indomani del crollo delle borse mondiali (post bolla di internet e post 11 settembre) Greenspan decise di abbassare rapidamente ed aggressivamente i tassi ufficiali (erano al 6.5%) per dare respiro all'economia ed evitare una recessione devastante. Lo ha fatto fino a portare i tassi all'incredibile minimo storico dell' 1%. Con tassi così bassi ha sostenuto il consumo di famiglie e imprese tramite l'indebitamento. Allo stesso tempo il governo ha sostenuto una politica fiscale fortemente espansiva, accumulando deficit enormi. E la manovra è riuscita. L'America la recessione l'ha evitata, ora cresce a ritmi di circa il 4% l'anno. Uno degli ‘effetti collaterali' di una politica di tassi bassissimi è la levitazione dei prezzi degli immobili (e dei debiti in generale). Questo perché, se prendere un mutuo costa così poco, tanti sono incentivati a comprare casa. E con tanti compratori i prezzi salgono. Quelli che una casa la possiedono già si sentono più ricchi, perché ora la loro casa vale di più, e la usano come garanzia per indebitarsi ulteriormente.

Circa un anno fa Greenspan capisce che il salvataggio è più o meno riuscito ed è tempo di ‘rimuovere' lo stimolo monetario e di riportare i tassi a livelli più ‘neutrali', stimati intorno al 4%.

In un anno i tassi passano dall'1% al 3,25%. Stiamo parlando dei tassi ‘ufficiali', cioè quelli a cui le banche possono prendere in prestito dalla banca centrale i soldi per periodi brevissimi (1 giorno-2 settimane), ma anche quelli a cui sono indicizzati i mutui. I tassi a cui si prendono i soldi per, ad esempio, 10 anni vengono determinati dal mercato dall'incontro tra domanda e offerta. Questi riflettono più o meno (è una semplificazione che farà rabbrividire tutti i matematici finanziari ma non lontana dalla realtà) un livello vicino ai massimi attesi nel lungo periodo dei tassi ufficiali.

Mentre alza i tassi, Greenspan dispensa al mondo messaggi rassicuranti sull'economia americana, dice a tutti: tranquilli, alziamo i tassi perché l'economia va bene, ce lo possiamo permettere.

Ma qualcosa non torna. Mentre Greenspan alza i tassi a breve dall'1% al 3.25%, quelli a 10 anni scendono dal 4.85% al 3.85%! Da qui l'enigma.

Il mercato cioè, nelle sue previsioni, comincia a scontare che i rialzi finiranno presto e, soprattutto, che non ce ne saranno più per almeno 10 anni! Cioè il tasso che veniva pensato ‘neutrale' viene letto ora dal mercato come tasso ‘massimo'.

Che vuole dire? Cosa vuol dire proiettare per i prossimi 10, 20, 30 anni i tassi a questi livelli? A che mondo corrispondono queste previsioni?

Possono corrispondere ad un mondo senza inflazione. Se i prezzi non salgono più come in Giappone, anzi scendono, non c'è bisogno di tenere i tassi alti. Forse si possono tenere ad un livello ‘simbolico' e lasciare al mercato il resto. Oppure possono corrispondere ad un mondo senza crescita (che poi di solito è anche un mondo senza inflazione).

Allora ricapitoliamo: il mercato sta prevedendo "scenari" piuttosto inquietanti, sorti non necessariamente "progressive". E le autorità cosa fanno? Riflettono, speculano, parlano di «nuovi paradigmi» o anomalie temporanee. Ed in questo Greenspan è apparentemente onesto quando parla pubblicamente di «enigma». Le teorie in giro sono le più varie. E ce ne sono di bizzarre. Essenzialmente si dividono in due campi: il primo spiega l'enigma dei tassi (di lungo periodo) bassi con fattori contingenti e temporanei, come la liquidità delle banche centrali asiatiche o le necessità dell'industria pensionistica mondiale; il secondo parla di mutamento strutturale.

Secondo questi ultimi i mercati ci stanno dicendo che non torneremo mai ai ritmi di crescita a cui siamo abituati. Qualcuno dentro Rifondazione ha il merito di avere sintetizzato molto bene questo momento storico con la frase: «Questa è la prima generazione che non starà meglio dei propri genitori». E quella dopo? I nostri nipoti saranno poveri come i nostri nonni?

Il mondo della finanza non metterà in discussione il postulato che la competizione e il mercato aperto sono sempre forieri di ricchezza e progresso. Anche perché, dal punto di vista prettamente economico, in un'ottica globale questo può essere vero. Ma se questo processo implicasse, per esempio, il trasferimento di un terzo della nostra ricchezza (nel senso della capacità di produzione di reddito) verso i Paesi in via di sviluppo nei prossimi dieci anni? E' uno scenario politicamente esplosivo. Il nesso con la diatriba Italiana sull'euro e sulle merci cinesi non è azzardato. Come non lo è quello con il "no" francese alla costituzione europea.

Il primo mondo si impoverisce ad una velocità crescente. Con la povertà aumenta la sperequazione sociale. E queste, storicamente, vanno insieme a malcontento e cambiamenti politici radicali.

Il banchiere centrale ha detto a Pechino circa un mese fa che lui continuerà ad alzare i tassi ed ignorerà i messaggi preoccupanti che vengono dal mercato. E' pronto a scommettere che mercati e politici si sbagliano nel loro pessimismo. Ma mentre lui dispensa messaggi rassicuranti al mondo, per chiunque si occupi di economia o politica si aprono una serie di interrogativi inquietanti. E' avviato ed irreversibile il ridimensionamento economico dell'occidente? E la nostra struttura sociale può reggere un impoverimento rapido e progressivo senza conseguenze politiche catastrofiche simili a quelle dell'inizio del secolo scorso?