martedì 9 settembre 2003

il manifesto, di domenica 7

il manifesto 7.9.03
Rabbia Bellocchio Il leone a un russo

Un biondo teenager indocile, abbandonato per 12 anni, mette alla prova il padre, che riappare. Sempre pronto a ucciderlo, però, se lui non sarà magnificamente autoritario come deve. Vince a Venezia la "voglia dell'uomo forte", proprio mentre il film sconfitto, di Marco Bellocchio, radiografa la debolezza interiore della violenza più armata. Premiando ieri sera l'opera prima russa Il ritorno, di Andrey Zvyagintsev, Venezia e la sua giuria evidenziano un film da prima serata televisiva, per grandi e piccini, non controverso, che non turbi troppo gli spot o i possidenti di tessera pay. Edizione pensata e gestita con lo stile manageriale Murdoch, mal impaginata e senza coraggio la Mostra entra in una grave crisi di identità, con troppo Marzullo e senza Nicole Kidman. Toronto è di nuovo pronta a ridimensionarla.

Quando il Leone non ruggisce
Il galà degli assenti Un doppio premio per «Il ritorno» del russo Andrej Zvjagintsev. Cerimonia, torrenziale e conferma per de Hadeln. Scoppia la polemica per Bellocchio
CRISTINA PICCINO

VENEZIA La Mostra «fuori fase», orari, programmazione «horror vacui» etc, non poteva finire che sforando tempi e umana resistenza con una delle peggiori cerimonie di premiazione degli ultimi anni. Sul palco, quella che doveva essere la strana coppia, Piero Chiambretti e il direttore Moritz de Hadeln, risucchiato comunque dal torrenziale ex-portalettere che dell'humor coinciso di quei bei tempi sembra avere perduto ogni ricordo... I premi. Tantissimi: menzioni, premi tecnici, leonicini e leoni, 17 in tutto, ognuno accompagnato da un «testimonial». De Hadeln scruta l'orologio un po' nervoso, è quasi tempo del Tg1, ma tanto che importa? Siamo su Raiset, lo dice pure Chiambretti che ci vuole il medium per vederla, i premi circolano sul Lido da almeno due giorni, tutti sanno della «delusione» di Marco Bellocchio, che a Roma per accompagnare in sala il suo Buongiorno, notte ha lasciato sul Lido a ritirare quel «contributo individuale di particolare rilievo» (lo consegna il critico Tullio Kezich, con un ironico «vuol dire tutto e niente») Luigi Lo Cascio al quale il pubblico in smoking e faville della Sala Grande - sì quello che piaceva a Marina Cicogna, anche lei sul palco a consegnare il premio speciale per la regia Controcorrente a Michael Schorr per Schultze gets the blues - regala l'applauso più caloroso. De Hadeln sorride tranquillo, e ne ha di che, il presidente Franco Bernabè lo conferma (se ce ne fosse bisogno) in diretta. Sul palco sfileranno a dispensare premi Iaia Forte, Claude Lelouch, Assumpta Serna, giurata «pazza» di Monicelli, il grande maestro della vita lo chiama affettuosa, Chiara Caselli e Nicoletta Romanoff. In sala stampa davanti allo schermo tv nessuno ride per le battute di Chiambretti, già perché dovrebbero spiegargli a lui e non solo che se si parla solo di italica tv, Marzullo e dintorni, il resto del mondo proprio non capisce... E a proposito di tormentoni: quello su Cannes martella, meglio Venezia o Cannes, come risalire la china discendente? Non solo: la traduzione è un disastro, anzi non c'è affatto, dei premiati ne mancano tantissimi. Non c'è Kitano Takeshi, Premio speciale per la regia con il magnifico Zaitochi. Il produttore ringrazia e dedica il film a Kurosawa, ieri Zaitochi, che ne è un omaggio contemporaneo, è uscito in Giappone: «è lo stesso giorno in cui Kurosawa è morto. È stato lui a indicare Takeshi come suo successore, dal cielo sarà contento». Non ci sono Sofia Coppola e la sua attrice Scarlett Johansson migliore interprete Controcorrente per Lost in Translation, uno dei film più «attraenti» della Mostra. Non c'è Asano Tadanobu, la nuova superstar giapponese, anche protagonista di Kitano, migliore attore però per Last life in the Universe film thai di Pen-ek Ratanaruang. Non c'è Najat Benssallem, attrice emergente premiata per Naja di Jacques Doillon, l'hanno «persa» in Marocco dicono. Sean Penn quando sale in sala stampa è molto applaudito, anche se le sedie sono vuote, la lunga premiazione ha fatto saltare ogni tempo. Ringrazia David Lynch che ha lanciato, Naomi Watts coprotagonista del film di Alejandro Inarritu che lo ha premiato, sigaretta accesa e aria stralunata, affonda polemico, e non risparmia la frecciata all'Academy Awards che lo aveva escluso dagli Oscar, molto per le sue battaglie contro la guerra di Bush. Dice Penn: «questo premio dimostra ancora una volta che l'Academy è lì a celebrare i buoni registi e i buoni film, ma che è soprattutto un gioco di denaro. Con festival come questo il discorso è diverso, sono un riconoscimento per i registi mostrando e sostenendo i film come questo, quelli che a me interessano di più». Katja Rieman, migliore attrice femminile è emozionata. Con Sean Penn ci farebbe subito un film insieme, per ora ringrazia Margarethe Von Trotta, la regista di Rosenstrasse, e dedica la Coppa Volpi alle donne che allora hanno lottato con tanto coraggio. Aggiunge: «trovo assurdo che oggi ancora si chieda se è diverso lavorare con un regista uomo o con una regista donna. Se ancora si fa questa domanda siamo lontani dall'emancipazione».

Il trionfo è per il film russo, Il ritorno di Andrej Zvjagintsev. Lo dedica al suo attore, Vladimir Garin, morto dopo le riprese, questo doppio Leone, l'opera prima Luigi De Laurentiis, (assegni e pellicola, con spottone in diretta alla Bnl), e il Leone d'oro, che guarda al cinema di Tarkovski col ragazzino Ivan quarant'anni dopo la sua «infanzia». «È un premio importante per il cinema russo, la coincidenza con Tarkovski è solo poetica, il premio significa il ritorno della Russia a livello mondiale». Sarà contento «l'amico» Putin, magari un po' meno per lo splendido esordio di Aleksej German jr. L'ultimo treno, menzione speciale opere prime, era nei Nuovi territori, il pubblico si guarda intorno con lieve imbarazzo, come per la menzione a La Quimera de Los Heroes di Daniel Rosenfeld (Controcorrente) che è argentino e non spagnolo come ulula Chiambretti, a prova che non va come dice de Hadeln, che un sacco di film non si arriva a vederli. Randa Chahal Sabbag saluta a pugno chiuso, ha appena preso il Gran premio della Giuria per L'aquilone, coproduzione di ammiccamenti francofoni. Dice: «ho fatto un film impegnato per mostrare al mondo la condizione dei palestinesi. Se Bush ha diviso il mondo in buoni e cattivi, io sto con i buoni e lui è il cattivo». Già però a Alila di Gitai l'hanno dimenticata e in patria, in Israele, per gli Oscar nazionali ha ottenuto un rifiuto secco. Meno sfumato il regista curdo - ma Chiambretti lo presenta come irakeno - vincitore di Controcorrente, Hiner Saleem, con Vodka Lemon. «Mentre giravo è caduto il regime di Saddam, aspettavo quel giorno sin da piccolo, adesso Kurdistan e Iraq sono all'anno zero. Spero che da questa tragedia arrivi la pace e il rispetto reciproco». Grazie Bush, insomma, e quello che accade questi giorni è nulla. Monicelli effervescente come sempre sale pure lui sul palco. Giura che non hanno mai litigato. Che poi oggi sarà polemica (Bellocchio o comunque nessun film italiano), lo sa pure lui e lancia la palla dichiarando a un agenzia «La vera fatica è stato vedere film come Il miracolo e Segreti di stato».