mercoledì 21 gennaio 2004

come parlare della nascita per annullarne la realtà

L'Arena 21.1.04
Sei studiosi affrontano in un volume il tema del «venire al mondo» e dei suoi significati simbolici, sociali e religiosi nel corso dei secoli
Il mistero della nascita
Dalla primitiva Madre Terra alla fecondazione assistita
di Maria Mattei


Cos'hanno in comune le formose Veneri modellate dagli agricoltori neolitici per onorare la fecondità della Madre Terra con l'enigmatica «Madonna del parto» di Piero della Francesca? Cosa unisce le levatrici che aiutavano le donne quando si partoriva ancora in casa e le moderne "banche del seme", dove migliaia di embrioni congelati attendono di essere scelti da una coppia senza figli e di avere così la possibilità di tramutarsi da vita in potenza a vita in atto? Sono tutte interpretazioni diverse, relative all'epoca e alla cultura, dell'essere madre; e in comune hanno lo stesso, insondabile mistero: quello della procreazione e della nascita. In ogni tempo l'uomo ha rivestito il processo che porta alla nascita di una nuova vita di significati simbolici diversi, a seconda della sua importanza nella società, della condizione delle donne, della concezione della natura e del corpo umano. Ricostruire l'evoluzione del valore simbolico della nascita nella storia dell'umanità è l'intento del volume pubblicato dalla Fondazione San Carlo di Modena e dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna, Venire al mondo (222 pagine e 200 illustrazioni, 33,00 euro), nel quale sei studiosi - il filologo Domenico Fasciano, l'antropologa Nicole Belmont, i teologi Cettina Militello e Giannino Piana, la storica Gabriella Zarri e l'etnologa Giovanna Ranisio - mettono in luce i significati mitici, filosofici o rituali attribuiti nel corso dei secoli al gesto inaugurale di ogni vita, fonte primaria di ogni sentimento "religioso", intendendo con questo termine la capacità di cogliere il mistero di cui è pregna l'esistenza umana.
All'alba delle religioni Dio era femmina. Cosa poteva esserci di più divino, per le comunità primitive, della fecondità che la Natura - la Madre Terra - condivideva con le donne, partorendo i frutti necessari al sostentamento di uomini e animali?
Questa visione, secondo cui la donna era considerata sacra per la sua capacità di procreare, è cancellata dalle civiltà indoeuropee: le nuove società patriarcali formatesi a partire dal terzo millennio a.C. non possono tollerare di onorare un'entità femminile quale divinità suprema, e così la Dea Madre è sostituita da un Dio Padre creatore onnipotente del Cielo e della Terra.
Abbandonata l'antica religione materna e cancellato il culto della donna, anche la nascita perde il suo carattere sacro, fino a volgersi nel suo opposto: il parto diviene anzi luogo dell'impurità e dell'espiazione - "Partorirai con dolore", aveva predetto il Dio Padre della Bibbia alla peccatrice Eva, - e il corpo femminile si riduce a mero strumento della procreazione maschile, il "campo" dove l'uomo può seminare il germe della propria discendenza.
La nascita allora non è più un fatto sacro e misterico, ma un evento sociale, che non si compie tanto nel momento del parto, quanto in quello successivo del riconoscimento del figlio da parte del padre, che in questo modo ne suggella l'ingresso nella comunità. È così nel mondo romano, dove il neonato, "ancora rosso del sangue della madre", viene posato a terra ai piedi del padre che, se decide di riconoscerlo e di assumersi l'onere della sua educazione, lo solleva da terra; in caso contrario, il bambino è da considerarsi esposto, abbandonato. Un rituale che nasconde una simbologia complessa: il sollevamento del bambino ripete il passaggio della specie umana alla stazione eretta, che segnò il salto evolutivo dei primi ominidi dalla natura ferina a quella umana.
La sacralità della nascita viene recuperata dal Cristianesimo, che su una procreazione miracolosa fonda il suo messaggio di salvezza, reso ancor più efficace dal fatto che nella figura di Maria la nascita di Dio, che diviene simbolo dell'incontro tra il divino e l'umano, è trasferita dal piano dell'eterno al tempo storico. Maria, tuttavia, è una madre del tutto particolare, difficile da proporre come modello femminile tout court, poiché la sua esperienza va troppo oltre la dimensione umana. Più vicine alle comuni mortali sono invece quelle madri spirituali che, tra il XV e il XVI secolo, si distinsero per la loro capacità di elargire consigli morali e il latte della sapienza: figure come l'inglese Margery Kempe o la bolognese Elena Duglioli, mistiche e visionarie che riunirono intorno a loro vere e proprie scuole di pensiero e di riflessione sulle Sacre Scritture - come racconta Gabriella Zarri nel saggio intitolato Madri dell'anima, - dalla madre di Dio avevano ereditato la possibilità di accedere alla Parola divina, tradizionalmente preclusa alle donne, e di diffondere il Verbo. È questo infatti il significato simbolico che si nasconde dietro l'iconografia medievale della Madonna che allatta il Bambino.
Questi casi di "lattazione spirituale" costituiscono gli ultimi tentativi di opporsi al processo di secolarizzazione che, in età moderna, ha finito per consegnare il corpo materno, sempre più ridotto a macchina finalizzata alla procreazione, alla scienza medica. Certo, esistono ancora ambienti, come il nostro Mezzogiorno dove l'antropologa Giovanna Ranisio ha svolto le sue interessanti ricerche, in cui ancora oggi sulla scena del parto talvolta compaiono fattucchiere e levatrici, e sono diffusi gesti apotropaici e amuleti di ogni genere volti a combattere le influenze negative e le impurità connesse al parto: ne sono un esempio gli "abitini" napoletani, sacchetti di stoffa contenenti immagini sacre o reliquie che le donne usano indossare durante la gravidanza e passare poi al neonato affinché, benedette dall'acqua santa del Battesimo, lo proteggano da ogni pericolo. Nonostante queste eccezioni, tuttavia, non c'è dubbio che il mondo postmoderno, l'era della tecnica e della morte di Dio che nega ogni visione "misterica" in favore di una concezione "problematica" della realtà, ha perduto lo stupore di fronte al mistero della nascita che spinse i popoli antichi ad attribuirle un valore sacrale.
Procreazione assistita e ingegneria genetica, uniti agli strumenti diagnostici sempre più sofisticati che permettono di seguire in diretta ogni fase della formazione di una nuova vita, dalla prima costituzione dell'embrione alla sala parto, hanno trasformato l'atto generativo in una forma di produzione caratterizzata dall'intervento di terzi, modificando irreversibilmente non solo la visione della nascita, ma anche quella della fecondità e della vita tutta, di cui l'uomo pretende oggi di avere il controllo assoluto, fino a farsi creatore di sé stesso e a cadere nelle tentazioni fuorvianti dell'eugenetica e della "procreazione a tutti i costi". Spesso dimenticando che non basta mettere al mondo un figlio per creare un nuovo essere umano: bisogna anche allevarlo, compiendo quel gesto d'amore che i Romani sintetizzavano nell'atto di sollevare il figlio da terra e col quale si dichiaravano disposti ad accompagnarlo nell'accidentato cammino della vita.