mercoledì 21 gennaio 2004

il poeta russo Evgenij Evtushenko
su Lenin

La Repubblica 21.1.04
Lenin il peccato originale del comunismo
LA MORTE DEL FRATELLO MAGGIORE E IL DESIDERIO DI VENDETTA
LE LACRIME IMPURE DI VLADIMIR ULJANOV
di EVGENIJ EVTUSHENKO


Tornato dal lager, il poeta dissidente Jurij [Julij] Daniel, che io avevo difeso all´epoca del suo oscurantistico processo del 1966, mi raccontò che sulle pareti delle latrine dei detenuti erano stati incisi con un chiodo o con la punta di un coltello introdotto di nascosto molti versi del mio poema "L´università di Kazan", tra cui:
Nei giorni del servaggio spirituale,
nei giorni dell´oscurità,
le prigioni - coscienze della Russia,
furono la sua prima università.
Al tempo della stesura del mio poema su Lenin, quando lavoravo negli archivi della città di Kazan, mi imbattei in un prezioso incartamento: le delazioni sullo studente diciassettenne Volodja Ul´janov (diventato in seguito Lenin) raccolte dalla polizia, allora conservate al KGB e protette dal timbro Top secret. In una di esse si narrava il seguente episodio: dopo l´esecuzione dell´amato fratello maggiore, uno studente terrorista, alcuni compagni, provando pietà per il fratello minore, lo trascinarono in una bettola malfamata dove gli fecero bere un intero bicchiere di vodka da 200 grammi. Volodja lo tracannò come un sonnambulo, quasi fosse cieco e sordo, poi i compagni premurosi lo portarono a berci sopra un boccale di birra, accompagnato da cetrioli in salamoia e pane nero di segale. Al tavolo di Volodja presero posto due puttane che si concedevano agli studenti per metà della tariffa abituale, e certe volte in amicizia, "semplicemente così". Queste versarono qualche lacrima come poterono, consolarono Volodja, accarezzandogli la testa, ma lui non notava niente e, con gli occhi fissi in un punto che soltanto lui vedeva, non faceva che ripetere: «Vendicherò mio fratello! Vendicherò mio fratello!».
In un´altra delazione si raccontava che quando gli studenti lo riportarono a casa in quello stato di fissazione ipnotica su un unico pensiero, lui strappò dalla parete la cartina della Russia, la gettò a terra e, con urla da animale braccato, la calpestò e la ridusse a brandelli con le mani e con i denti.
È interessante che Pasternak, il quale non aveva potuto leggere queste delazioni, nel 1917, in una delle sue poesie tuttora poco nota, descrivesse il ritorno di un Lenin assorbito da radiosi pensieri, vedendo finalmente giunto il momento di vendicare il fratello amato. Aleksandr Uljanov, il fratello di Lenin, era senza dubbio nobile e coraggioso, ma se avesse continuato a lanciare bombe, di certo, insieme ai «carnefici dello zar», le schegge avrebbero ucciso parecchi loro servi innocenti, molti passanti casuali e le repressioni della polizia si sarebbero ancora più inasprite.
Ma dunque su chi veramente si riversò la vendetta di Volodja Uljanov?
Le sue tre parole d´ordine prodigiosamente centrate conquistarono il cuore della gente, ormai estenuata dall´insensatezza della prima guerra mondiale: «Il mondo ai popoli! La terra ai contadini! Le fabbriche agli operai!». Ma la prima guerra mondiale si trasformò in una sanguinosa guerra civile; proprietari di terre e fabbriche non furono i contadini ma lo Stato, che requisì a chi lavorava la terra persino i documenti per la circolazione interna, così facendo asservendoli, e che lasciò gli operai praticamente privi di diritti politici e sindacali. Fu la dittatura del burocrariato e non del proletariato, e se sotto Stalin essa si rinsaldò definitivamente, era però iniziata già ai tempi di Lenin. Ci illudevamo, noi della generazione degli anni Sessanta, di lottare con gli "eredi di Stalin", considerando quest´ultimo un traditore degli ideali di Lenin. Ma era stato lui, forse senza rendersene conto, il primo traditore degli stessi suoi ideali, giacché non aveva realizzato nessuna delle prime tre parole d´ordine del bolscevismo che, ingannando il popolo, avevano portato al potere un manipolo di bolscevichi. Fu Lenin, e non Stalin, a firmare il decreto per la costituzione del primo campo di concentramento in Europa, a Solovki nel 1918, destinato a coloro che non condividevano le sue idee. Stalin fu il padre del Gulag, ma Lenin ne fu il nonno. Chi nutre ancora delle illusioni su Lenin dovrebbe almeno leggere la piccola raccolta di sue citazioni compilata da Venedikt Erofeev, La mia piccola leniniana. Fu Lenin che scrisse a Dzerzhinskij la nota in cui si consigliava di «arrestare trenta, quaranta professori» per ristabilire l´ordine. In quel numero imprecisato si nasconde l´inizio del totalitarismo. All´epoca della guerra civile Lenin consigliò a Stalin di minacciare di fucilazione le telefoniste di Caritsin se la qualità delle conversazioni telefoniche fra Mosca e Caritsin non fosse migliorata. Fu Lenin a dare l´ordine di fucilare senza pietà e impiccare i contadini che nascondevano alla confisca dei bolscevichi il grano. E come avrebbero potuto sopravvivere altrimenti? Lenin è responsabile della carestia nelle regioni del Volga, quando le persone iniziarono a sbranarsi a vicenda, come Stalin ha la responsabilità della carestia ai tempi della collettivizzazione forzata in Ucraina. Mio padre, un geologo, mi disse, ancora sotto Stalin, cose che io tenni per me, ma per le quali, secondo le regole della morale staliniana, avrei dovuto denunciare mio padre all´Nkvd, alla polizia politica: «Da noi non c´è il socialismo. Da noi c´è il capitalismo di Stato». Lo Stato divorò tutti i piccoli proprietari, divenendo proprietario di tutto, dai bottoni alle bombe atomiche.
Sì, in epoca sovietica c´erano una buona istruzione gratuita, l´assistenza sanitaria, i centri di vacanze, il tentativo di realizzare l´amicizia tra popoli di diverse nazionalità. C´era una bella costituzione che difendeva i diritti dei cittadini, ma che rimaneva lettera morta. (Non si può dimenticare l´enorme contributo del popolo sovietico alla sconfitta del fascismo.) E tuttavia il diritto umano elementare alla libertà di pensiero era stato negato. Tutto quanto si fonda sulla violenza, sul sangue, prima o poi crolla. Lenin lo capì alla fine della sua vita e rimase inorridito nel constatare il risultato della sua "vendetta per il fratello", ma non era più in grado di fermare il suo discepolo, purtroppo fedele, che aveva paralizzato politicamente il suo maestro già immobilizzato nel corpo.
Lenin va certamente studiato. Ma quando si studia la storia bisogna capire esattamente che cosa occorra imparare e cosa no.
Il passato può essere un maestro prezioso, ma forse anche il maestro più pericoloso.

Traduzione di Andrea Lena Corritore