La Repubblica 21.1.04
DA TOGLIATTI AD AMENDOLA NEL NOME DELL'INTERNAZIONALE
COSÌ L'ITALIA COMUNISTA INNEGGIAVA AL SUO EROE
di NELLO AJELLO
«L´amore per Lenin», disse Umberto Terracini nel 1956, «è sorto da fatti e avvenimenti; quello per Stalin è stato il risultato di un´esaltazione». Pur essendo, secondo Togliatti, «un titano del pensiero e dell´azione», Vladimir Ilic di rado viene evocato, da solo, nelle manifestazioni del Pci. Lo si celebra in coppia fissa con Stalin. Negli articoli che il segretario del partito pubblica su Rinascita, l´accoppiata Lenin-Stalin diventa il versetto obbligatorio di una liturgia. Il Pci è «grande il partito di Lenin e Stalin». Si muovre sulla loro «direttiva». Lavora nel loro «spirito». Mediante la cooptazione di Marx, il dittico diventa spesso una trinità: Marx, Lenin, Stalin.
Ma da un momento in poi, Lenin si ritrova solo. E´ l´indomani del XX Congresso. Stalin, il suo vicino di slogan, è in postuma disgrazia; e allora il richiamo a Vladimir Ilic è usato per ridimensionarne la figura. Occorre tornare alle origini. La togliattiana Rinascita si riempie di moniti del tipo: «Ricordiamoci di ciò che diceva Lenin»; non tralasciamo «la grande scoperta fatta da Lenin»; «Lenin ha studiato...»; «la tenacia azione che Lenin svolse...». Egli assurge a profeta inascoltato: «Non aveva già detto Lenin che l´avvento al potere di un partito comunista non lo esime dal fare degli errori?», è la domanda che Togliatti rivolge al Pci nell´aprile del 1961.
Ma a Giorgio Amendola non bastava. «Lenin, noi non lo citiamo spesso», usava lamentarsi. E lui rimediava, ricorrendo a Vladimir Ilic Ulianov ogni qualvolta voleva impartire a sinistra una lezione di realismo: si trattasse degli eccessi di pansindacalismo nei mesi dell´autunno caldo, o dei «rigurgiti di infantilismo estremista» che egli denunziava nei giovani del Sessantotto (ed oltre). «Lenin», ricordava, «aveva ammonito a non giocare con l´insurrezione!» In questa fase, ha scritto lo slavista Vittorio Strada, Lenin era diventato «un personaggio caramelloso, da succhiare riformisticamente». Enrico Berlinguer, per ersempio, non amava nominare i russi se non era indispensabile. Lenin, però, lo era. Gli riuscì utile, nella sua politica verso i cattolici, una frase di Vladimir Ilic: «Noi non proclamiamo né dobbiamo proclamare l´ateismo del nostro programma». Nel saggio su Proudhon, firmato da Craxi nell´estate del 1978, il leader sardo scorse un ultimatum inaccettabile: «Se non rinunziate a Lenin dalla a alla zeta, non siete occidentali ma asiatici».
Siamo alle ultime battute. «Addio Lenin!»: così giustamente i quotidiani commentarono l´intervista televisiva del 15 dicembre ´81, in cui Berlinguer dichiarava esaurita la «spinta propulsiva» della Rivoluzione d´ottobre. Da allora in poi, Lenin, che in quella rivoluzione s´incarnava, non fu più a sinistra - nella sinistra ufficiale, almeno - un oracolo.
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