mercoledì 21 gennaio 2004

La morte di Lenin/2

La Repubblica 21.1.04
LA GRANDE CONTINUITÀ TRA IL FONDATORE E I SUOI EREDI
LA RELIGIONE POLITICA DAL PARTITO ALLO STATO
legami Lenin e Stalin condivisero l'idea del diritto dei bolscevichi a detenere il monopolio assoluto del potere e a distruggere ogni opposizione
di MASSIMO L.SALVADORI


Il comunismo del XX secolo non ha avuto altro destino se non quello che gli aveva preparato il leninismo. Lenin ha fondato una religione politica che si è fatta Stato e forma di società; che ha dato vita ad una ortodossia la quale ha generato chiese che si sono accusate reciprocamente di eresia e combattute spietatamente; che ha confiscato con i mezzi del terrore la storia presente in nome di una storia futura idilliaca; che, dopo aver promesso il millennio dell´eguaglianza e la fine di ogni violenza ha eretto un sistema di ferrea diseguaglianza, di permanente violenza politica e sociale dei governanti sui governati, culminata nel Gulag. E tutto questo è stato celebrato dalla sinistra di scuola leninista come «la nuova scienza della politica e della società».
Non vi è stato rovescio, non tragedia, non divario tra promesse e fatti che abbiano scosso la fede dei seguaci di Lenin nella dottrina del Fondatore. E allorché i conti mostravano di non tornare affatto, ecco invocare la parola d´ordine: «ritorno a Lenin». Lo invocarono tutti a varie riprese: Trockij, Zinov´ev, Kamenev, Bucharin quando sconfitti da Stalin; Chruscev dopo la morte del dittatore; Mao in lotta contro i «nuovi zar»; Togliatti dopo il 1956; Berlinguer, che ancora nel 1979 protestò contro chiunque parlasse di «fallimento» dell´opera di Lenin; Gorbaciov, che pose il proprio progetto di riforma sotto l´egida del ritorno al leninismo. Mai pregiudizio e illusione furono tanto mal fondati, poiché il leninismo era il sistema sovietico, poiché il leninismo non era stato strutturalmente in grado di produrre anticorpi rispetto al tipo di potere consolidato da Stalin e protrattosi fino al disfacimento dell´Unione Sovietica. Certo, tra i valori del rivoluzionario internazionalista Lenin, il quale, mentre costruiva l´inflessibile dittatura del partito unico e del suo capo, predicava la democrazia diretta e la fine dello Stato, e quelli dello Stalin divenuto un conservatore nazionalista panrusso e superstatalista vi erano differenze e contrasti. Sennonché - ecco il punto - furono le armi e gli strumenti creati dall´uno a rendere onnipotente l´altro. Quel che Lenin e Stalin condivisero furono l´idea del diritto dei bolscevichi a detenere il monopolio assoluto del potere e a distruggere ogni opposizione, l´odio diretto in primo luogo verso i socialdemocratici accusati di tradimento in quanto restavano fedeli ai principi della democrazia borghese, della divisione dei poteri, del pluralismo culturale e denunciavano la dittatura di una élite di partito.
Fu Lenin tra il 1902 e il 1904 a teorizzare il comando assoluto dei vertici del partito sulle masse chiamate a obbedire, la superiorità del principio verticistico e burocratico sul principio democratico, l´inutilità del riformismo. Fu Lenin dopo il febbraio 1917 a dirigere l´assalto contro la nascente fragile democrazia russa; e dopo la presa del potere in ottobre a ordinare la chiusura dell´Assemblea costituente, la liquidazione di tutti gli altri partiti, la repressione di menscevichi, anarchici, socialrivoluzionari; a costruire gli strumenti del terrore rosso contro "vecchie" classi, contadini, oppositori di ogni genere; a militarizzare la classe operaia; a soffocare nel sangue gli insorti di Kronstadt. Quando Lenin morì la sua rivoluzione aveva vinto, ma, appunto, ogni anticorpo all´uso sempre più brutale del potere era distrutto. Nel 1924 la via era aperta a Stalin. Quel che conta, per il giudizio storico, è il fatto che fu proprio grazie al sistema creato da Lenin che Stalin poté fare quel che fece. E´ sotto questo profilo sostanziale che Stalin fu l´autentico erede di Lenin.
Ma perché nessuna degenerazione del comunismo al potere fu in grado di scuotere - se non nel momento dell´ultimo crepuscolo e del fallimento fattosi palese - la fede nel leninismo dei comunisti non al potere, a partire da quelli di casa nostra? La fede comunista aveva al proprio interno un «meccanismo di salvaguardia» che vanificava ogni verifica: l´incrollabile convinzione che fosse in atto una «transizione» dal vecchio al nuovo mondo in base alla quale la bontà della struttura socialista avrebbe immancabilmente posto rimedio ad ogni «provvisorio errore», ad ogni «difetto», ad ogni «necessaria violenza». La storia era ormai in marcia e nulla poteva arrestarla. Era sufficiente attendere e attendere. E il leninismo costituiva un bene non negoziabile.
Eppure, a ondate successive, tutto era stato visto e previsto circa la vocazione del bolscevismo alla dittatura senza freni dai socialdemocratici antibolscevichi e dai comunisti critici del leninismo (per tacere dei non marxisti): prima dell´ottobre dal menscevico Martov, dal Trockij non ancora bolscevico; subito dopo l´ottobre da Kautsky, da Turati, dalla Luxemburg e da Pannekoek. Molti altri nomi potrebbero farsi. Furono derisi e denunciati come nemici, gente che non comprendeva le ragioni del socialismo e i diritti dell´avvenire. Ora la parabola si è compiuta. Di Lenin rimane il sogno - generato dalla reazione al dispotismo zarista e agli orrori della guerra e rovesciatosi in una catastrofe - di una redenzione millenaristica, di una "liberazione" finale dell´umanità concepita alla luce di un dogmatismo intollerante e violento e costruito con i mattoni di una delle più grandi tirannidi della storia infine abbattuti dai bulldozer di Berlino.