mercoledì 21 gennaio 2004

La morte di Lenin/1

La Repubblica 21.1.04
OTTANT'ANNI FA MORIVA IL LEADER COMUNISTA

Solo se processerà quei crimini con la stessa forza usata per fascismo e nazismo la sinistra potrà trovare la sua vera identità
Senza Lenin non si capirebbe lo stalinismo. Fu lui a distruggere la società civile e a far uccidere barbaramente lo zar e la famiglia
Intervista a Martin Amis Alla base degli orrori che il comunismo ha prodotto ci sono le teorie e le azioni del fondatore dello Stato sovietico
di ENRICO FRANCESCHINI


«Ottant´anni dopo la sua morte, Vladimir Lenin non è stato ancora denunciato abbastanza. Bisognerebbe condannare leninismo e comunismo con la stessa forza con cui abbiamo condannato nazismo e fascismo. E soltanto la sinistra può farlo». Martin Amis è uno scrittore inglese, uno dei grandi romanzieri della sua generazione: non uno storico, né un sovietologo. Ma è uno scrittore che con la sinistra e il comunismo ha avuto una stretta parentela: suo padre, Kingsley Amis, fu uno dei più accesi sostenitori della Russia sovietica in Gran Bretagna, prima di abiurarla; lo storico Robert Conquest, che sollevò il velo sulle atrocità dello stalinismo, era un amico di famiglia; lui stesso, Martin Amis, è considerato uno dei padri spirituali del New Labour di Tony Blair. Non è dunque del tutto sorprendente che l´autore di romanzi come L´informazione e Money abbia momentaneamente abbandonato la narrativa per un pamphlet su Josif Stalin: Koba il Terribile, il soprannome del dittatore del Cremlino, uscito anche in Italia da Einaudi. Un libro pervaso dall´orrore: per Stalin, per Lenin, per i milioni di morti del comunismo, per un´ideologia «spaventosa», come dice Amis.
Fino a che punto spaventosa?
«Nella prima pagina del libro cito una frase da un vecchio libro di Conquest sulla collettivizzazione forzata, in cui scrive che venti vite umane furono perdute non per ogni parola ma per ogni lettera del suo libro. Quella frase, di tre righe, equivaleva a 3040 morti. Il libro di Conquest era lungo 411 pagine. E´ come se dentro ci fossero seppellite decine di milioni di persone. Un piccolo esempio dell´orrore agghiaciante che dovrebbe provare chi getta lo sguardo nel baratro del comunismo sovietico».
Lei parte da Stalin. Lo ritiene un´aberrazione di Lenin, una deviazione dal leninismo, o la sua naturale evoluzione?
«Per me, e per gran parte della storiografia odierna su cui mi sono documentato per questo libro, non possono esserci dubbi: Josif Vissarionovic era la logica continuazione di Vladimir Ilic. Ha ragione Solgenitsyn: se uno guarda bene, nella figura di Lenin intravede già lo stalinismo, con tutto quello che ha significato. La differenza è che Lenin non massacrò decine di milioni di bolscevichi, di suoi compatrioti, come ha fatto Stalin: ma può anche darsi che non ne abbia avuto il tempo, la malattia ha interrotto piuttosto presto il suo regno. Ciononostante, fu lui a distruggere la società civile, a far trucidare barbaramente lo zar e tutta la sua famiglia, a creare uno stato di polizia, a usare la carestia come un´arma di repressione e ricatto».
Eppure c´è chi salva il 1917, la rivoluzione d´Ottobre, come una grande ribellione popolare contro il totalitarismo della Russia zarista.
«Non mi vengono i lucciconi a sentire la parola rivoluzione. Ci sono due tipi di persone: coloro secondo cui le rivoluzioni portano giustizia sulla terra, e coloro secondo cui instillano amore per la violenza. Io appartengo a questa seconda categoria. E´ bello, in teoria, pensare che la rivoluzione abbatta la tirannide. Ma il sangue e la violenza generano quasi sempre altro sangue, altra violenza. Se poi parliamo in particolare della rivoluzione del 1917, bisogna ricordare che la Russia dell´inizio del secolo non era più un rigido sistema totalitario, si stava democratizzando, stavano esplodendo il progresso, le riforme sociali, le libertà civili, oltre a un´incredibile ondata di creatività artistica, senza uguali nel resto del mondo. L´Ottobre rosso è calato su tutto questo come una saracinesca».
Lenin non portò nulla di buono?
«Si limitò a distruggere. L´innesto del comunismo nella Russia del 1917 è stata una tragedia di cui quel paese porta ancora le conseguenze. Ci vorranno anni, decenni, perché la Russia se ne liberi».
Nel libro descrive Stalin come un despota allucinato, paranoico, pazzoide. E Lenin?
«Lenin non era pazzo, sebbene lo scrittore russo Ivan Bunin lo abbia definito un ?imbecille congenito´. Era intelligente, ma di un´intelligenza pedante, psicotica, nichilista, che fa venire i brividi. Non aveva alcun senso morale. Per Lenin, il fine giustifica i mezzi, in qualunque circostanza. C´è qualcosa di folle in un cinismo così assoluto».
Anche il comunismo era amorale, cinico?
«Il problema del comunismo è che, al contrario del nazismo, in teoria sembrava una buona cosa. Conteneva l´idea salvifica che la società può essere migliorata. Che può essere creato un Uomo Nuovo. E tutto questo, sulla carta, sembra decisamente meglio dell´idea di ogni uomo per sé. Ma poi in Russia si è visto che cosa ha prodotto questa bella idea: la distruzione dell´uomo, della famiglia, della società».
Perché il comunismo ha resistito tenacemente anche fuori dalla Russia sovietica, nell´Occidente libero e democratico?
«Per molte ragioni. Perché ha riempito il vuoto lasciato dalla religione in chi non credeva. Perché le classi istruite hanno un impulso istintivo ad adottare le idee più radicali. Perché la classe media ha trovato nel comunismo un´evasione dal senso di colpa per il suo benessere. E perché le masse sono state tenute per decenni all´oscuro di che cos´era veramente la Russia comunista».
Come reagisce di fronte a chi continua a dirsi comunista, quindici anni dopo la caduta del muro di Berlino, oltre dieci anni dopo la fine dell´Urss?
«Le utopie sono resistenti, è molto duro rinunciarvi. Quando il mio amico Eric Hobswam si dice comunista io mi dico che Eric non è solo il più grande storico vivente, è un anche un uomo eccezionale, un´eccezione, non bisogna tenerne conto. Ma davanti ad altri casi di cecità mi dispero. E´ molto triste».
Cosa risponde a chi dice: non si può paragonare il nazismo al comunismo?
«E´ vero: non si può. Innanzi tutto perché, come ho notato, sulla carta il comunismo predicava nobili sentimenti. Purtroppo, ha fatto più vittime del nazismo: se contiamo solo quelle ammazzate da Stalin si arriva a trenta o quaranta milioni, per di più quasi tutti russi e in maggioranza comunisti. D´altra parte, il comunismo ha avuto una vita molto più lunga del nazismo: non sappiamo quali massacri avrebbe commesso Hitler, se avesse vinto la seconda guerra mondiale».
Le pare che l´Occidente abbia fatto i conti con il comunismo, così come li ha fatti con il nazismo?
«Assolutamente no. Se la Russia avesse processato il comunismo come la Germania ha processato il nazismo, forse oggi sarebbe già un paese normale. Ma anche fuori dalla Russia è mancato un autentico processo al comunismo».
Nel libro se la prende con il silenzio di tanti intellettuali di sinistra.
«Non è solo un´esigenza morale di verità, la mia. E´ che spetta proprio alla sinistra processare il comunismo. Per la destra è troppo facile, e comunque non basterebbe. Il comunismo apparirà per ciò che è veramente stato solo dopo che la sinistra lo avrà definitivamente condannato e sepolto. Prima non può accadere».
Ma la sinistra europea lo ha condannato, ha preso le distanze, non si dice più comunista da un pezzo.
«Credo che debba fare di più. Credo che debba denunciarlo con lo stesso orrore con cui ha denunciato nazismo e fascismo. E allora, liberata da quel fardello, la sinistra potrà mostrare in pieno la sua vera identità».
E quale sarebbe? In Gran Bretagna, i critici di Blair dicono che, per vincere, il leader laburista scimmiotta la destra.
«Non sono d´accordo, anche se sono critico su tanti aspetti della politica di Blair. Ma il Labour, la socialdemocrazia, la sinistra europea, hanno un´identità ben precisa: quella di un progresso graduale per tutti, di una difesa ragionata dei più deboli, di una solidarietà umana portata avanti con mezzi di pace e non di guerra, di pari opportunità e pari regole per tutti, poiché è questa la vera uguaglianza. Essere di sinistra, oggi, ha ancora un significato molto preciso. Ma con il comunismo e con Lenin non c´entra proprio niente».