giovedì 23 dicembre 2004

antropologia
una mostra sugli Aztechi

La Stampa 23 Dicembre 2004
UNA GRANDE MOSTRA AL GUGGENHEIM DI NEW YORK
Aztechi, l’impero del sole, della luna e dei giaguari
Quattrocento opere ripercorrono l’intera epopea
del popolo centroamericano sterminato da Cortes
di Fiamma Arditi

NEW YORK. QUATTROCENTOTRENTACINQUE opere, realizzate tra il 1300 e il 1500 nell'altopiano dove si estende oggi Città del Messico, arrivate da collezioni pubbliche e private. Molte sono in mostra per la prima volta. Al Guggenheim. «Da dieci anni abbiamo lavorato a questo progetto», sottolinea Thomas Krens, direttore del museo. «È la mostra più complessa che abbiamo mai organizzato». Per realizzarla il museo sulla Quinta strada ha chiesto l'aiuto del Consiglio Nazionale per la Cultura e le Arti (Conaculta) e dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (Inah). A curarla ci ha pensato Felipe Solis Olguin, direttore dell'Inah, che lo scorso anno aveva messo a punto un altro omaggio alla civiltà azteca alla Royal Academy di Londra. L'allestimento invece Krens lo ha affidato a Enrique Norten. «Volevamo un architetto messicano capace di interpretare questo importante capitolo della storia del suo paese e di dare uno sfondo al racconto».
Gli Aztechi erano ossessionati dal pensiero che l'Universo fosse minacciato da forze ostili e cercavano di prorogare l'inevitabile catastrofe con atti di purificazione, riti con sacrifici umani. «Queste sculture facevano parte di templi, spazi monumentali, si vedevano da lontano, qui, invece, separate dal loro contesto, le guardiamo da vicino come oggetti d'arte, un miscuglio di cose diverse, che ci danno una falsa esperienza», osserva Marcello Canuto, archeologo e professore di antropologia all'universita' di Yale. «La loro arte aveva forme rudimentali. Sapevano che se volevano allargare il loro impero avrebbero dovuto raffinare il modo di esprimersi, ma qui entriamo in un discorso politico», dice Canuto. In quel momento di crisi, o meglio di consapevolezza e di passaggio, dopo avere conquistato Cuba, sbarcò nello Yucatan Herman Cortes a capo delle truppe spagnole. Era il 1519. In poco più di due anni conquistò i territori Aztechi, catturò l'imperatore Montezuma e nel 1522 Cortes diventò governatore di questa Nuova Spagna. La colonizzazione era cominciata.
Possibile che un intero impero sia crollato così facilmente? «Cortes poté conquistare il Messico perché scoprì che gli Aztechi avevano potenti nemici a Tlaxcala e si alleò con loro». Ma come riuscivano a capirsi se non parlavano la stessa lingua? «In questo consistette la furbizia del condottiero spagnolo. Se non avesse avuto due traduttori, che parlavano l'idioma dei Maya e il Nahuatl, quello degli Aztechi, non sarebbe mai riuscito a capire quale era la situazione politica interna. Erano una donna, Malinche, e uno spagnolo, Aguilar, arrivato su un galeone qualche anno prima e fatto prigioniero. «C'è di buono che la mostra non insiste sulla solita retorica della colonizzazione», osserva Canuto.
Perché insiste tanto, invece, su schiere di giaguari, coyoti, aquile, serpenti, rane, coccodrilli? Perché queste bestie affollavano l'immaginario azteco? «Sono animali che vivono al limite, riescono a passare da un mondo all'altro, come a simboleggiare il legame tra la realtà e l'al di là e stabilire il collegamento con gli dei», racconta Canuto.
Gli dei principali erano Tlaloc, dio della pioggia e della fertilità della terra e Huitzilopochtli, dio del sole e della guerra, a cui era dedicato il Templo Mayor, nel cuore della capitale Tenochtitlan, l'attuale Città del Messico. Ma ce ne erano infiniti altri come Mictlantecuhtli, dio della morte e del buio, Xiuhtecuhtli, dio del fuoco e poi quello dell'acqua che cade dal cielo, quello dell'inferno, della luna. Nel loro insieme riassumevano le paure di questo popolo di guerrieri, che aveva il culto deglli antenati.
«Dopo molti secoli anche questi diventavano divinità. Un po' come succedeva per i Greci», osserva Canuto. Visto che la mostra del Guggenheim, nel suo allestimento impeccabile con luci che creano effetti drammatici capaci di accentuare il mistero di questa folla lapidaria suggerisce, ma non dice, stuzzica, ma non spiega, come si fa se si vuole saperne di più di questa civiltà spazzata via con la stessa rapidità con cui era fiorita, da chi era attratto dalle conquiste più che dalla conoscenza?