giovedì 23 dicembre 2004

su Liberazione:
«correggere Lenin con Gandhi», un libro

Liberazione 23.12.04
"CORREGGERE LENIN CON GANDHI"
Colloquio con il filosofo francese Jean-Marie Muller, in Italia per presentare il suo ultimo libro "Il principio nonviolenza"
di Dario Danti

È stata una due giorni intensa quella che si è conclusa martedì e che ha visto il filosofo francese Jean-Marie Muller dividersi fra Pisa e Pontedera per presentare il suo ultimo lavoro, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace (ed. Plus, Pisa 2004, Euro 18,00), e anticipare i temi del Forum sociale di Porto Alegre 2005, dove coordinerà una sessione tematica sulla "nonviolenza attiva". Lo abbiamo incontrato nella sede della rivista Satygraha (potere della nonviolenza, alla lettera) - i quaderni promossi dal corso di laurea in Scienze per la pace dell'ateneo pisano e dal Centro Gandhi - diretta da Rocco Altieri, che possiede, fra l'altro, una delle biblioteche più ricche di testi e contributi su pace e nonviolenza.
Si è trattato, in realtà, di un vero e proprio colloquio a più voci, condotto insieme a molti attivisti del movimento nonviolento che andranno a fine gennaio a Porto Alegre con Muller e che stanno preparando per febbraio un forum nazionale sulla nonviolenza a Pontedera. Oltre a Rocco Altieri c'erano il professor Antonino Drago, presidente della commissione ministeriale per la difesa popolare nonviolenta (impareggiabile traduttore), Pietro Pertici, Giovanni Mandorino e Martina Pignatti Morano del Centro Gandhi.
Jean-Marie Muller è uno dei maggiori teorici della nonviolenza, ha 65 anni e per tutta una vita si è battuto contro le spese militari e contro gli esperimenti nucleari attraverso azioni di obiezione di coscienza e disobbedienza. Nel 1971 ha fondato il "Man" (Mouvement pour une Alternative Nonviolente) e attualmente è direttore dell'Institut de Recherche sul la Résolution Nonviolente del Conflits (Irnc).
Con lui non possiamo non parlare dei conflitti e dei teatri di violenza nel mondo: lo sguardo è rivolto alla Cecenia, alla difficile vicenda israelo-palestinese, all'Iraq. "La violenza è la nostra realtà quotidiana - esordisce Muller - ed è difficile opporvisi disonorandola e delegittimandola attraverso altra violenza: giustificare la propria violenza perché si presuppone che altri siano stati i primi ad averla innescata ci rende vittime di una spirale senza fine".
Guerra e terrorismo sono due violenze, ma il terrorismo è un metodo differente dalla guerra. "Quest'ultima è simmetrica, mentre il terrore è asimmetrico - prosegue Muller non si può sconfiggerlo con l'esercito, bensì con l'intelligence, con azioni mirate e di polizia internazionale". Questa guerra infinita dichiarata da Bush ha due ragioni di fondo: una di natura ideologica - il dominio sul mondo - e l'altra economica. "Tante sono le vittime: a Falluja prima i civili sono stati ostaggio dei terroristi, adesso lo sono dell'esercito di occupazione", insiste il filosofo francese. E ancora: "Credo che anche gli stessi soldati siano vittime: oltre mille sono le morti militari e si stimano in 40mila gli arruolati con problemi psichiatrici, che vengono curati e assistiti quotidianamente; gran parte di questi uomini vuole tornare in patria".
A questo teatro di violenza Jean-Marie Muller contrappone un'opzione radicale: la necessità di porsi in una logica differente, scegliendo il principio della nonviolenza.
Una premessa dovuta. Molti indicano la nonviolenza come debolezza o impotenza, come utopia e impossibilità del cambiamento. Muller ritiene che proprio questo asserire che "la nonviolenza è moderata, significa aver già introiettato la visione violenta. La radicalità delle pratiche della nonviolenza è contrastata per due motivi opposti: o perché si ignorano queste pratiche, oppure perché si conoscono fin troppo bene". Sono, appunto le mille pratiche dal basso: dai Sem Terra brasiliani, alle aggregazioni della società civile indiana, ai movimenti pacifisti europei. Tutto questo si cercherà di mettere in rete a Porto Alegre.
Quale l'agire concreto? "Proprio nel momento in cui definiamo un fine - continua il filosofo - si deve avere mezzi adeguati. In questo senso bisogna capire il rapporto che vogliamo avere con il potere". Muller non ha dubbi: "Certo siamo per la presa del potere da parte del progetto nonviolento, ma per un potere senza violenza: vogliamo che sia la partecipazione e il potere dal basso - e non quello del vertice - il protagonista della democrazia". Ecco inevitabilmente riproporsi, assieme alla questione del potere, la questione legalità-illegalità. Anche in questo caso, il ragionamento parte dalle coscienze: "Distinguerei fra legale e legittimo, ossia ciò che sentiamo dentro di noi come giusto. Ritengo che l'azione diretta, l'obiezione di coscienza, il boicottaggio e le tante forme di disobbedienza civile siano la strada necessaria per far maturare processi di cambiamento". In questo modo si viene anche sanzionati, ma si accetta tale sanzione per dimostrare l'assurdità della regola. Alla base, comunque, si tratta di avere un atteggiamento e una modalità di relazione nonviolenta fra gli interlocutori, assumendo come centrale la partecipazione e la moltiplicazione della presa di coscienza.
Non manca, infine, un passaggio sul dibattito italiano. Muller dice di apprezzare la scelta nonviolenta di Rifondazione e di essere molto interessato alle discussioni che stanno avendo luogo nel Prc, e lascia sullo sfondo un nodo teorico: "bisognerebbe correggere Lenin con Gandhi". Gli fa eco Rocco Altieri, ricordando che tale tema era già vivo nella riflessione di Aldo Capitini: una ricerca ancora feconda, da continuare.