Repubblica 21.12.04
Cina, la clinica degli embrioni e i "miracoli" del dottor Huang
Spina dorsale, sclerosi: si prova una nuova cura
Tra i pazienti ricoverati c'è Vanessa, italiana, colpita dal morbo di Lou Gehrig
In questi giorni ci sono 90 pazienti, vengono da ogni parte degli Usa
"Non so perché funziona, ma funziona", dice il medico cinese
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
SANITARIO dei Lavoratori, Xixiazhuang, Shijingshan District. La località più vicina è Badachu, che vuol dire le Otto Meraviglie, perché un tempo era un paesaggio di colline verdeggianti, pagode e monasteri buddisti. Oggi è una periferia squallida e sporca, tutta fabbriche e caseggiati popolari, nella grande area metropolitana di Pechino a un'ora e mezzo di auto dal centro della capitale.
Ma per molti occidentali è la Terra Promessa. Vengono qui in centinaia dall'America e dall'Europa: paralizzati da incidenti alla spina dorsale, paraplegici, malati di sclerosi multipla o del morbo di Lou Gehrig, affetti dal Parkinson o con emiplegie da ictus. La loro speranza si chiama Huang Hongyun, un neurochirurgo cinese che ha studiato negli Stati Uniti ma che solo qui a Pechino può applicare la sua terapia rivoluzionaria a base di iniezioni di cellule embrionali (da non confondersi con le cellule staminali). A 49 anni il professor Huang è una celebrità internazionale, anche se il suo metodo divide il mondo della scienza. L'ho incontrato in mezzo ai suoi pazienti e di questo posso testimoniare: non ha l'atteggiamento di un guru, non cerca di vendere illusioni.
Il primo impatto con l'ospedale non è rassicurante. Il cortile esterno e la facciata, i corridoi d'ingresso, i primi piani sono malandati e bui. L'aspetto è quello di una sanità povera, le condizioni d'igiene lasciano perplessi. Ma questo è l'ospedale pubblico riservato ai comuni mortali, cioè ai cinesi. Al terzo piano, dove un'insegna in inglese indica Neurosurgery Ward e specifica perfino Foreigners (stranieri) c'è un'oasi privatizzata dove un'operazione del professor Huang costa 20.000 dollari (una cifra esorbitante per i cinesi, non per gli standard della neurochirurgia nei paesi ricchi) e qui tutto cambia. I muri sono dipinti di fresco, un accogliente color celeste, le luci sono vivaci, alle bacheche ci sono composizioni di foto di pazienti sorridenti, dalle finestre si vede un giardino di bambù, il personale è di una gentilezza irreprensibile, la pulizia regna e si vedono arrivare vassoi di gastronomia cinese che non assomigliano al rancio della mensa interna. I centralinisti (telefono 00.8610.51625950) hanno imparato l'inglese, e per forza.
L'elenco dei 90 pazienti ricoverati in questi giorni riproduce una mappa completa degli Stati Uniti. Vengono da New York, New Jersey, Michigan, Wisconsin, Texas, Florida, Nevada, California.
Dall'Europa ci sono due belgi. E c'è Vanessa Wessels: è nata in Sudafrica ma lo ha lasciato 25 anni fa, dal 1989 è cittadina italiana, vive a Loro Ciuffenna in provincia di Arezzo. Vanessa ha 40 anni, è una bella donna alta un metro e ottantacinque, bionda e con gli occhi verdi. Ha una figlia di 10 anni e un bambino di 8. È programmatrice informatica e inoltre disegna mobili. È una sportiva, ciclista e maratoneta. Oggi per parlarmi è costretta a farsi togliere il tubo dell'ossigeno, e durante la nostra conversazione deve assisterla un'amica che manualmente le preme la pancia per attivarle la respirazione. Questa amica venuta dall'Italia, Carla Perli, tira su lo schienale del suo lettino d'ospedale e la solleva di peso per metterla in posizione seduta.
È uno sforzo duro ma Vanessa vuole parlare perché altri possano avere speranza. «Nell'estate del 2003 ebbi i primi sintomi di indebolimento: una fatica intensa, non riuscivo più a puntare i piedi o a saltare alla corda. La diagnosi arrivò nel settembre 2003: ho la sclerosi laterale amiotrofica, la malattia di Lou Gehrig. Le cause, da quel che ne so, sono ancora un mistero per la scienza. Da un anno ho perso tutte le funzioni degli arti. Da luglio ho bisogno anche del respiratore artificiale e senza assistenza non riuscirei a mangiare. In Italia ho bussato a tante porte, fino al centro Carlo Besta di Milano, ma nessuno sapeva che fare. Ho trovato medici volenterosi ma deprimenti. L'unico loro consiglio è stato di abituarmi a vivere così per qualche anno, cioè di prepararmi a morire. Io questo non l'ho mai accettato, non c'è verso che mi rassegni. Appena ho saputo del professor Huang mi sono messa a telefonare in Cina per ottenere l'appuntamento. La lista d'attesa qui è lunghissima, all'inizio mi avevano fissato l'operazione per il primo settembre 2005. A furia di insistere, eccomi qua». Vanessa Wessels è arrivata a Pechino il 5 dicembre ed è stata operata il 9. Ai lati della fronte ha le cicatrici di due taglietti, dove Huang le ha iniettato le cellule embrionali.
Parlare le costa una fatica enorme, come ogni movimento. Ma la sua forza di volontà è notevole. Così come non si è mai voluta arrendere alla malattia, oggi raccoglie tutte le sue energie e racconta. Fa aspettare perfino un medico che è arrivato per la seduta di fisioterapia. Le preme mandare la sua testimonianza ad altri malati italiani. «L'intervento è andato bene - dice - e già ci sono dei piccoli miglioramenti. Guardi bene, ora in questa posizione da seduta riesco a tenere la testa dritta, usando i muscoli del collo. Prima era impossibile, la testa mi ricadeva indietro come un corpo morto e rischiavo di soffocare. Adesso sento che tutta la schiena sta recuperando un po' di forza. L'operazione non è stata molto dolorosa, due buchi sulla fronte con il trapano, solo un po' peggio che andare dal dentista. All'origine il programma era di restare qui per sei settimane ma vedo che alcuni pazienti rientrano a casa prima del previsto, anche perché ormai il professor Huang usa l'anestesia locale anziché quella totale, quindi i tempi di recupero si sono accorciati. Io spero di aiutare altri. Sono in tanti a soffrire come me in Italia e l'atteggiamento prevalente è l'attesa della morte, magari di una pillola che lenisca il dolore e acceleri la fine. Ma una condanna a morte è terribile, se c'è una speranza bisogna lottare».
Alla fine della giornata incontro anche il professor Huang. La faccia tonda e gli occhi sorridenti, sembra un po' un Mao Tse Tung giovane. È così semplice e dimesso, nella sua tuta verde, che incrociandolo nel corridoio per un attimo lo scambio per un infermiere. Non ha l'aureola del luminare occidentale circondato dal codazzo di assistenti. Forse è una conseguenza della sua storia personale. Lui si avvicinò alla medicina a 17 anni, dopo che suo padre era rimasto paralizzato da un ictus. Ma la Rivoluzione culturale (1966-76) aveva chiuso le università e come molti studenti cinesi Huang fu mandato a lavorare i campi. La prima facoltà di medicina riaprì solo nel 1978 e Huang aveva 23 anni quando finalmente poté cominciare gli studi. Ma il suo talento gli valse una borsa di studio in America, alla New York University e alla Rutgers dove per tre anni fece esperienza nel laboratorio del neurochirurgo Wise Young. Lì Huang ha esplorato le potenzialità delle cellule nervose del sistema olfattivo, quelle che oggi sono la chiave della sua terapia.
Il naso contiene dei neuroni che mandano segnali al cervello, quando sono stimolati dalle molecole degli odori. Poiché il tessuto olfattivo è esposto all'ambiente esterno (l'aria che respiriamo), contiene cellule che hanno una notevole capacità di rigenerarsi. Se trapiantate in un altro tessuto che ha subito delle lesioni (nel cervello o nella spina dorsale) le cellule olfattive possono farlo beneficiare di questa loro proprietà di rigenerare neuroni. Il professor Huang estrae cellule olfattive da embrioni, e questo rende l'operazione illegale in molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti. I movimenti antiabortisti del mondo intero condannano queste pratiche. In Cina dietro l'uso terapeutico degli embrioni c'è il dramma degli aborti di massa provocati dalla politica del figlio unico: ancora oggi molte coppie abortiscono quando l'ecografia rivela che il nascituro è di sesso femminile.
Ma questo dibattito è molto lontano dalle preoccupazioni quotidiane del professor Huang, alle prese con un pellegrinaggio della speranza che lo assedia dal mondo intero. Il volto arrossato, la fronte e il collo sudati per la fatica dopo tre ore in sala operatoria, parla dei suoi "miracoli" con molta prudenza, interrotto da un cellulare che squilla in continuazione. «Non ho certezze - dice - non ho una dimostrazione scientifica di quel che accade dopo queste operazioni. Presumo che il trapianto delle cellule olfattive dagli embrioni ai pazienti stimoli i loro tessuti nervosi a recuperare certe funzioni. Solo le cellule olfattive sembrano avere questo potere, di aiutare a rigenerare il sistema nervoso centrale. All'inizio io stesso stentavo a crederci. Ma dopo centinaia di operazioni l'evidenza empirica è questa: quasi tutti i pazienti mostrano qualche miglioramento».
La comunità scientifica internazionale è spaccata. Da una parte ci sono specialisti come Paul Cooper, direttore del reparto neurochirurgico al New York University Medical center, che ha dichiarato: «Huang fa cose impressionanti. Non so darmi una spiegazione ma ho visto i risultati. Non resuscita i morti, però dei pazienti che avevano le gambe paralizzate ora riescono a muoverle, altri che non potevano mettersi seduti ora ci riescono, chi non sapeva più stringere un bicchiere in mano ora ce la fa. Di certo non è un ciarlatano». All'estremo opposto c'è il parere di Geoffrey Raisman, del National Institute of Medical Research inglese: «L'opinione scientifica generale è che il lavoro del professor Huang non ha superato test scientifici adeguati».
Di quali test si tratta? Secondo le regole occidentali è fondamentale fare delle "prove cieche", con delle finte operazioni su cavie umane senza uso delle cellule embrionali, per verificare se i miglioramenti possano derivare da un effetto placebo. Il test implica trapanare il cranio a dei malati senza curarli, e in questo caso è l'etica cinese ad essere contraria.
Huang risponde con serenità. «Spero che un giorno la ricerca possa trovare la spiegazione. Intanto io devo occuparmi delle migliaia di pazienti in lista d'attesa. Molti di loro, e le loro famiglie, spesso hanno aspettative eccessive. Io cerco di convincerli che non ho una cura, non prometto la guarigione. Ho solo osservato nei miei pazienti, a pochi giorni dall'operazione, un'alta frequenza di recupero in alcuni movimenti. Non so quanto dureranno questi progressi. Ma intanto possono rappresentare un miglioramento nella qualità della loro vita». Per chi aveva perso ogni speranza, non è poco.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»