martedì 21 dicembre 2004

Jean-Paul Sartre

Corriere della Sera 21.12.04
Un libro-confessione del 1972 descrive i turbamenti del filosofo che ha rinunciato al Nobel
Sartre, rivoluzionario sì ma borghese
CONTRADDIZIONE
di Dario Fertilio

«Il Nobel e la rivoluzione»: un dramma che Jean-Paul Sartre non scrisse mai. Ma adesso la trama potrebbe fornirla un libro, La mia autobiografia in un film (edito da Marinotti, 159 pagine, 14), vera e propria trascrizione, inedita in italiano, di sentimenti ed idee che agitarono il grande filosofo negli ultimi anni di vita. Corre l’anno 1972, e il profeta dell’impegno intellettuale, il padre del Maggio parigino innamorato del maoismo, insomma l’autore de Le mosche e de La nausea, decide di rinnegare pubblicamente le sue origini borghesi. Lo apprendiamo dal dialogo, doloroso e struggente, che si svolge tra lui e i suoi intervistatori. Al centro della riflessione, il gran rifiuto di sei anni prima, il no al Nobel per la letteratura. Che avrei dovuto fare, si chiede Sartre, per non tradire le mie idee? Accettarlo, piegandomi alle ragioni del sistema di potere borghese, o rifiutarlo sdegnosamente? Lui, d’altra parte, non si è votato fin da piccolo con dedizione assoluta alla penna, mosso dall’ambizione d’essere accolto un giorno tra gli immortali di Francia? Non è intento, da decenni, a completare un’opera colossale su Flaubert, prototipo dello scrittore borghese? E insomma lui sarà anche maoista, barricadero, femminista, rivoluzionario, amico dei vietcong nella guerra combattuta contro gli invasori americani; sarà pure schierato a sinistra dei comunisti francesi, accusati di burocratismo e ormai imborghesiti; tuttavia mai potrà rinunciare a quella specie di vizio privato che per lui è la letteratura.
Da questo fondamentale dubbio sarebbe potuto nascere, dunque, il dramma sartriano mai scritto. Il contesto è quello autentico dell’epoca, il 1972, quando l’onda del Sessantotto già incomincia a ritrarsi. Concetti, autocritiche e riflessioni del filosofo sono lì, consegnati a questo film-documentario interrotto per mancanza di fondi e proiettato soltanto nel ’76 al festival di Cannes. Il dialogo è accompagnato da spezzoni sui cortei parigini, i famosi discorsi di Sartre a operai e studenti, vari filmati sulle varie guerre combattute nel Novecento. Riletto oggi, assume soprattutto il valore di una confessione in pubblico, a pochi anni dalla morte. Così, per la prima volta, i lettori italiani più giovani possono ricostruire dal vivo i dubbi e le contraddizioni del filosofo, il suo rifiuto di «dialogare con la borghesia», i tormenti che gli provocava la bruttezza fisica, l’allontanamento una volta per tutte dalla religione, il suo altalenante rapporto sentimentale con Simone de Beauvoir e la repulsione per il rito del matrimonio, la scoperta pericolosa della mescalina, la teorizzazione della famosa «alienazione sociale delle masse». Ci sono passi che colpiscono per la disarmante sincerità di Sartre, come quando si dichiara favorevole all’emancipazione delle donne, salvo riconoscere che, una volta «liberate», queste smetterebbero di interessarlo. C’è l’enunciazione secca e definitiva di uno dei dogmi sessantottini: «Ogni scritto è politico». E ancora, la definizione più sofferta della funzione intellettuale, a suo giudizio basata su due elementi: «Fedeltà e critica». Nel senso che «non si può abbandonare un gruppo politico quando e come si vuole», ma allo stesso tempo «se i principi di una rivoluzione non sono rispettati, bisogna dirlo».
Infine, il Nobel. Quel nodo sciolto con un colpo di spada sarebbe rimasto un suo vanto. «Un autore - dichiara Sartre nell’intervista - lo si uccide con il Nobel ed è ben finito. Sono tutti morti, d’altronde, i premi Nobel, e molto rapidamente. Salvo Mauriac che è durato a lungo. Ma penso di vivere ancora perché l’ho rifiutato». E davvero, fra i tanti errori commessi, quel «no» da solo oggi può valergli un’assoluzione.